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fallo incorsero scrittori anche di altissima rinomanza, come a dire il gran Muratori, il quale mostrò di credere (1) che romani e longobardi si fossero già confusi prima della calata di Carlo Magno in Italia; nè diversamente pensò il Macchiavelli (2). Di qui la confusione di tutta la storia. Nè queste sono le sole maledizioni che turbin que' tempi. Oltre le lacune di secoli che offrono quelle cronache, v' ha anche di più che i relatori degli avvenimenti, spesse volte ignorantissimi, contaminarono non raramente di favole i loro racconti, cosicchè conviene alla critica separare prima dal possibile il falso, e quindi dal possibile il probabile. Ancora. Il più spesso e forse sempre gli scrittori hanno appartenuto ad un partito, come Paolo Warnefrido, il quale esprime continuo una predilezione decisa pe' suoi longobardi; quindi il suo testimo

(1) Ant. ital. dissert. 21.

(2) Istor. Fior. lib. 1. Poichè qui me se ne offre il destro risponderò volentieri a chi notò nel mio discorso sulle condizioni attuali della storia una inesattezza; cioè che parlando io di coloro che la elevarono all'altezza di scienza filosofica, abbia dissimulato il Macchiavelli. Io so bene che il segretario fiorentino fra i moderni fu forse primo ad accorgersi che bisognava cercare in più lontani tempi le cagioni degli avvenimenti, e che egli non raccontò la storia come un narratore ma sì come un filosofo. Ma la mente del Macchiavelli era troppo diversa da quella del Vico, e i tempi erano ancora troppo immaturi perchè il fiorentino potesse stabilire i principii generali intorno la comune natura delle nazioni; nel che anzi errò gravemente. Ciò fece il Vico ed io in lui mi fermai.

E poichè l'argomento non è straniero, voglio prevenire un'altra accusa che potrebbe essermi fatta. Io dissi che sebbene un italiano fosse il fondatore della filosofia storica, pure gli italiani erano stati ultimi a profittare delle dottrine di lui, prevenuti da tedeschi, inglesi e francesi. La mia proposizione è generale e sotto questo riguardo credo non possa ricevere ragionevoli opposizioni: quindi chi mi citasse la Verona illustrata del Maffei, dove tanti germi sorgono a quelle dottrine conformi, l'opera del Duni, e qualche altro scritto, si appoggerebbe ad eccezioni senza forza. Il che si manifesta in particolare da ciò, che le fatiche del Duni non furono intese e apprezzate secondo il loro valore, ed ora solo riscuotono il plauso dovuto. Tanto è vero quello che io dissi.

nio sempre sospetto. Non basta. La mala lezione de' codici si aggiunse qualche volta, quasi fosse poco quel che abbiamo osservato, ad accrescere la confusione (1), la quale fu veramente grandissima. Nè deve lasciarsi inavvertito altro errore fondamentale nel quale inciamparono gli storici. Essi si misero soventi volte a considerare un secolo nell'uomo che vi acquistò maggiore celebrità; imaginate Cincinnato, Cesare, Nerone; ed in esso lo giudicarono. Non si avvidero che in quel primeggiar che fecero i grandi, quel distinguersi da tutti era caso affatto eccezzionale, e che le regole generali non si possono creare sulle eccezioni; non pensarono che coloro apprestano appunto l'idea meno appropriata e giusta dei contemporanei coi quali l'ingegno non li fa certo confondere, dei quali furono tanto maggiori e diversi. Pure quest'errore fu ed è ancora più universale che non si creda, e storici di prima voce non ne andarono puri. Se aggiungerete a tuttociò che i narratori moderni nel giudicare i fatti di quei tempi presero a misura di giustizia le convenzioni recenti, non solo ignote a que' popoli, ma inadeguate affatto alla loro capacità ed intelligenza, troverete evidentissima la ragione della oscurità della incertezza che confonde la storia di quella età.

Ed essa merita bene che noi ci occupiamo delle sue vicende. Se la venuta de' barbari in Italia è un fatto, se è pure un fatto che dopo una separazione di secoli la necessità la condizione de' tempi condusse ad una unità i nuovi sopravvenuti e gli indigeni; se è vero che la fusione di due diversi elementi genera un corpo tuttaffatto nuovo, è conseguenza

(1) Un esempio di ciò è il celebre e tanto controverso luogo di Paolo « populi tamen aggravati per langobardos hospites partiuntur ». Dopo tante dispute dal Muratori fino al 1844 la questione fu definita dal signor Troya, il quale nella sua ultima venuta in Roma avendo raffrontato sei codici romani ha corretto la lezione partiuntur in patiuntur, dandone bellissima spiegazione.

irrepugnabile e certa che la unione finale dei barbari e degli indigeni maturò quel particolare corso di società, e svolse quel nuovo ordine di cose che produsse quindi i comuni del medio evo, e di anello in anello le nazioni moderne. Dal medio evo dunque incomincia direttamente la nostra storia, quella storia che generalmente ignoriamo; conoscitori degli effetti, ignari delle cause. Ora argomentate chi debbano essere coloro che vorrebbero passare inavvertita la storia del medio evo!

Buon per noi che nel progresso della età nostra quelle voci sono voci al deserto. Il desiderio tanto vivamente espresso dal Manzoni che sorgessero ingegni che alla necessaria e difficile illustrazione di que' tempi intendessero, può dirsi adempito; chè lo studio se n'è fatto universale; gli archivi, polverosi da secoli, sono ansiosamente cercati; ogni documento che valga è meditato illustrato. Nè gli italiani profittano solamente delle loro ricchezze, ma guardano avidamente ad ogni straniera pubblicazione di documenti storici, perchè ne' trascorsi secoli la storia d' Italia è storia pure d'Europa e viceversa.

È perciò ancora che la storia ecclesiastica sta già nelle mani di tutti: perciocchè in essa contengansi i documenti maggioridel medio evo, in particolare nelle lettere dei papi. Ê certo se un avanzo di letteratura sopravvisse ancora in mezzo a quelle calamità si rifugiò nella chiesa, alla quale siamo debitori di tante pagine storiche del genere umano. E qui non vorrò dissimulare una osservazione. Temono alcuni (pietosi si ma poco veggenti) che nello studio del medio evo possa scapitare la storia del pontificato: e quindi ad ogn'ora si adombrano, e stanno come all'erta ad ogni novità. Per verità, a mio credere, rendono costoro brutto servigio alla causa per la quale si mostran si caldi, dubitando di quello che essi difendono e dimentichi che le verità, perchè verità, non temono forza di argomenti. Io tutt'al contrario penso che il più bel

periodo della storia papale sia il primo tempo del medio evo. La razza umana fu allora che pati maggiormente, fu allora che ebbe maggior bisogno di una mano benefica, e questa non poteva esser altra che quella del vicario di Cristo; il quale si sforzò sempre a sollevare l'umanità languente, e più e più l'Italia, della quale era sola speranza. Dappoichè gli imperaratori che se devano sul trono di Costantinopoli e la possedevano col nome e col diritto non col fatto e colle armate, erano divenuti così impotenti che la terra d'onde uscirono i conquistatori del mondo offrivasi sicura preda ai primi occupanti; nè questi erano mancati; gente feroce che con le abitudini delle foreste calpestò l'incivilimento, tenendo schiavi e nel fango i romani. Dei quali uno solo fu salvo, rispettato, temuto; il pontefice, circondato dall'aureola della religione. Levarono ad esso non le mani perchè avvinte ma i volti lacrimosi gli sventurati cittadini d'Italia; nè egli fu indifferente alle lacrime. La sua voce era la sola romana che si facesse udire dall'Alpi al mare: egli parlava armato della forza di Dio, sgomentava senza eserciti, vinceva senza battaglie, chiamava sopra sè la riverenza del mondo. Era in lui solo la speranza del risorgimento del miglioramento. Preghiere, minaccie, forza, aiuti stranieri, tutto adoperò per mitigare i patimenti, per migliorare la sorte de' suoi fratelli: nè fu vanamente, perchè certo senza i pontefici, milioni di uomini sarebbero periti sotto il peso della schiavitù. Se i barbari non erano ammansiti dal cristianesimo, se l'Italia non fosse stata sede del vicario di Dio, che sarebbe stato del mondo, che dell'Italia? Ecco come può scapitare la gloria del pontificato nelle ricerche sul medio evo! Una bellissima prova delle mie parole sta nell'apologia che di Adriano I. dettò il Manzoni contro le accuse di scrittori di partito; nella vita di Gregorio VII scritta dal Voigt, ed in altre di altri pontefici che ultimamente han veduto la luce. Non è mai da confondere gli individui e le loro azioni con i principii che rappresen

tano; e pure avviene quasi sempre il contrario. Gli storici appassionati hanno accomunato uomini, azioni, principii, o difendendo o maledicendo tutto insieme senza distinzione di luoghi, di tempi, di cose. Mal per noi se questo modo di esporre la storia fosse durato!

Pel periodo del quale teniamo ragionamento ciò non è più; chè oramai non si fa passo senza dimostrazione. Non son pochi gli scritti che di ciò fanno malleveria; ma fra essi sicuramente primeggia la storia d'Italia del medio evo scritta da Carlo Troya: egli in cinque parti che servono come d'apparato al grande lavoro, e che ne sono i fondamenti da saggio dei documenti preziosi e innumerevoli, della grandezza delle vedute, della severità della critica; percorre i tempi passo passo e, con avvertenze e distinzioni non prima pensate, spiega quello che era rimaso mistero e mostra che a chi ha ingegno e sapienza la storia del medio evo non è una disperazione. Il suo discorso sulla condizione dei Romani vinti dai Longobardi è cosa veramente classica e che cresce il patrimonio delle cognizioni storiche. Il Manzoni nell'eccitare l'Italia agli studi del medio evo disse, che se anche le ricerche più accurate e filosofiche su lo stato della popolazione italiana durante il dominio dei Longobardi (e noi diremo anche degli altri barbari) non potessero condurre che alla disperazione di conoscerlo, questa sola dimostrazione sarebbe una delle più gravi e delle più feconde di pensiero che possa offrire la storia. Perocchè una immensa moltitudine di uomini, una serie di generazioni che passa su la terra, su la sua terra, inosservata senza lasciarvi un vestigio è un tristo ma portentoso fenomeno; e le cagioni di un tanto silenzio possono dar luogo ad indagini ancor più importanti che molte scoperte di fatto. Le fatiche però del sig. Troya su questo punto, e le conseguenze di esse son tali che il dubbio del Manzoni non ha più luogo, e potremo studiare i fatti e la storia. Noi il seguiteremo ne' suoi stupendi lavori, e

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