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vogliamo sperare che i nostri leggitori si accorderanno con noi a credere che raramente troveremo più utile materia da trattenerli

ACHILLE GENNARELLI.

DUE LETTERE INEDITE DI ENRICO IV RE DI FRANCIA
A CLEMENTE VIII.

Nell'archivio della eccellentissima casa Doria in una cartella ornata delle armi gentilizie de' Pamphily che sono la colomba col ramuscello di olivo e le tre sbarre, esistono due lettere autografe (1) di Enrico IV re di Francia a Clemente VIII, e le risposte di Clemente ad Enrico.

Non è difficile il determinare in che modo siano pervenute queste lettere all'archivio Doria. Il cardinal Pietro Aldobrandino dopo la morte di Clemente VIII suo zio si restò possessore di queste lettere; e una con altre scritture di famiglia le chiuse nell'archivio del suo palazzo presso s. Maria in via Lata che egli aveva comprato dal duca d'Urbino. Il 1681 mancata a' vivi donna Olimpia sua sorella maritata prima in Paolo Borghese, di poi in Camillo Pamphily, i beni degli Aldobrandini furono divisi fra l'una e l'altra casa, ed ebbero i Pamphily il detto palazzo il quale una con le altre ricchezze e il cognome di questa casa estinta il 1760. pervenne ai Doria.

Portano in data la prima « Marcoussys VI Novembre >>

(1) Per mezzo di Girolamo Amati erudito giovane, nell'interpretare e nel descrivere le carte antiche pazientissimo e peritissimo, feci esaminare il fac-simile di queste lettere a M. La Clausade che avendo pubblicato alcune lettere autografe di Enrico trovate negli archivî della Navarra, e della Linguadoca, conosce perfettamente il carattere di lui la ortografia le breviature che egli nello scrivere usava, e n'ebbi risposta che fuori ogni dubitazione queste due lettere sono scritte di propria mano dello istesso Enrico.--La seconda di esse, a cagione di altri scritti che debbono aver luogo nel presente, è rimessa al venturo fascicolo.

la seconda pure « Marcoussys VII Novembre » la data dell'anno è omessa. Ma poichè nell'una e nell'altra discorre Enrico di sua conversione alla fede della chiesa romana, e nella prima promette al pontefice di dare opera che la compagnia di Gesù sia rintegrata nel regno di Francia, è chiaro che l'una e l'altra lettera si riferisce a qualcuno degli anni che decorsero fra il 1595 in che Enrico fece l'abbiura nell'abbazia di S. Dionigi nelle mani di Rinaldo de Baulne arcivescovo di Bourges, ed ebbe l'assoluzione in Roma ne' procuratori suoi Giacomo Duperron e Arnaldo d'Ossat, e il 1604 in che il regio editto che richiamava i gesuiti in terra di Francia, ebbe eseguimento.

Più: Enrico non si trovò in Marcoussy che il 1595, e solo il novembre e dicembre di questo anno: egli è dunque fuori ogni dubitazione che l'una e l'altra lettera si riferisce al 1595. Con che si emenda il Daniel (1) il quale afferma che l'assoluzione di Enrico in Roma fosse fatta il 17 novembre 1595: perocchè se nelle nostre lettere che al VI ed al VII di questo anno appartengono, come è detto, Enrico ringrazia il pontefice di «<< averlo per sua grande bontà ricevuto in seno alla chiesa santissima » è chiaro non potersi l'assoluzione del re riferire al 17 novembre dell'istesso anno. Ma già questa menda del Daniel è rifiutata dal Ciaconio e dal Bonanni (2), che pongono l'assoluzione del re Enrico sotto il 17 settembre 1595.

Tengo per certo che queste lettere non abbiano veduta mai la pubblica luce. Il Ciaconio (3) dice che Enrico con lettera scritta di sua mano sotto il 12 novembre 1695 e piena di riverenza e di ossequio rendette grazie della ricevuta assoluzione a Clemente, che il card. Silvio Antoniano segreta

(1) Hist. di Fr. p. 1749.

(2) Num. pontif. T. II.

(3) Tom. IV. col. 254. Literis officio et reverentia plenis sua manu scriptis Clementi gratias egit quam maximas (12 Novembris).

rio del papa la volgarizzò, e che egli stesso vide copia di questo volgarizzamento in casa a certo Cerasola in Roma, e che volentieri l'avrebbe recitata se amore di brevità non l'avesse stolto da questo pensiero. E poichè non ha sembianza di vero che Enrico per ringraziare il pontefice della desiderata ri conciliazione scrivesse di suo pugno e con si breve intramessa di giorni due lettere, la prima delle nostre e quella memorata dal Ciaconio, credo che questa sia per appunto la nostra e che il Ciaconio in vece del VI novembre abbia indicato per fallo di memoria il XII dell'istes

so mese.

Ringrazia Enrico nella prima lettera il pontefice e lo accerta del suo animo deliberato e fermo di pubblicare in Francia il concilio di Trento e di ristabilire i gesuiti. La condizione sotto la quale Clemente accordò l'assoluzione ad Enrico, prima, importante, in che quasi tutte le altre si comprendevano, era di pubblicare nel termine di quattro mesi il concilio tridentino e di procurarne la osservanza. Ma non poté Enrico per la crescente audacia della fazione calvinistica adempire a questa condizione, comechè il volesse molto e tentasse più modi di effettuarla. Adempiè per converso la promessa che aveva fatto di richiamare i gesuiti e che alcuni sospettarono essere stata una delle condizioni secrete di sua assoluzione. Alcuni parlamenti di Francia ligi alle massime di Calvino, e la università di Parigi gelosa della riputazione letteraria che i gesuiti si conciliavano già da molto tempo, macchinavano di perderli o certo di menomarne la influenza e il potere, e poichè Giovanni Chatel assassino del re aveva appreso alle loro scuole i rudimenti della letteratura, di questo incidente si valsero que' tribunali per gridare i gesuiti fautori o complici dell'assassinio e decretarne l'esilio: argomento illusorio, falso e che feriva del pari la università alla quale lo Chatel aveva studiato filosofia. Nel resto la storia imparziale e veritiera fondata nelle concordi asserzioni

del Fleury (1) del Dupleix (2) dello Chiverny (3) rivendicò la fama de' gesuiti di Francia: nè qui cade in acconcio di mostrare i fondamenti e le prove della difesa. Dieci anni durò il loro esilio, finchè il 1604 piacque ad Enrico di richiamarli e di fondare per la educazione delle nobili famiglie il collegio de la Fleche, castello ove egli era stato generato.

Nella seconda lettera, avendo Clemente VIII significato ad Enrico la determinazione in che era venuto, di stringere i principi e signori della cristianità in una santa alleanza contro i nemici di Dio, loda il re cosiffatta determinazione, e prega il pontefice di notificare al suo ambasciatore (era il duca di Nevers) que' mezzi che crederà più spediti ed opportuni alla conclusione di tanto affare.

Non trovo nelle storie alcuna traccia o sentore di questa generale federazione, che meditava Clemente: egli mandò, è vero, (4) 12000 fanti e 1000 cavalli sotto il comando del nipote suo Gian Francesco Aldobrandino a fine di espugnare Buda e fiaccare la potenza de' turchi; ma in questa impresa ebbe alleato e aiutatore principalissimo il solo Massimiliano II imperatore. Forse era questo un disegno che nel suo animo maturava il pontefice, che solo ad Enrico significò come a carissimo figliuolo e principe avvedutissimo, e che avrebbe incarnato senz'altro, se avesse avuto più tranquillo e più lungo pontificato.

Lettera prima (5)

PAOLO MAZIO

Tressaynt pere, Ure S.tete ma Santissimo Padre. La S. V. mi oboblygé a magnyfyer son (6) saynt bliga a magnificare il suo santo no

(1) Lib. 184. n. 5.

(2) Hist. de Henri le grand p. 163.

(3) Mem. d'Estat.

(4) Alaleona Diar.

(5) Nel descrivere queste lettere ho conservata con grandissima diligenza la ortografia e le breviature dell'autografo: il volgarizzamento segue con fedeltà l'originale.

(6) Quando l'ultima parola di un verso non aggiunge il vivagno del

nom au plusyeurs et dyverses sortes premyeremant elle a uoullu par sa tres grande bonté me receuoyr an gyron de leglyse tressaynte (au la quelle merytoyremant elle presyde) auec plus desperance uoyre de confyance de la syncery te de ma foy que mes actyions ne luy accoyent ancores donné de suyet, despuysyl a pleu a Ure S.tete meue du soyn paternel quelle a tous yours eu du bien unyuersel de la chrestyanté de nous procurer et donner une pay generalle de la quelle ye recognoys auoyr au particulyer tyre plus davantages que nul des autres, et freschemant Ure S.tete a uoullu ancores pour sue combler d'oblygatyons me fere esprouuel la yustyce admyre de tous auec tant de tesmoygnages de la contynuasyon de sa byenueylance anuers ma personne et mon Royaume que comme fay faute de parolles sufysantes pour remersyer dygnemant Ure S.tete de ceste dernyere grace fay estymé pour excuser mon ynsufysance luy rapresenter la souuenance et le ressantymant que fay de la grandeur des precedentes doncques Ure S.tete mayant aynsy fauoryse extraordynayremant et par dessus mou mery te pour toute actyons de graces de cete dernyere gratyfyeasyon ye la suphyeray comme ye fays tant afectueusemant quyl mest possybyle

me in più e diversi modi: e prima ella ha voluto per sua grande bontà ricevermi in seno alla chiesa santissima (alla quale meritamente presiede) con maggiore speranza e fiducia nella sincerità di mia fede che le mie azioni le abbiano ancora ispirato. Poi alla S. V. mossa dalla cura paterna che ebbe sempre del bene universale della cristianità, è piaciuto di procurarci e di darci una pace generale, della quale riconosco avere ricavato, io particolarmente, più vantaggio che verun altro: e di recente la S. V. ha voluto, per mettere il colmo alle mie obligazioni, farmi provare la sua giustizia ammirata da tutti, con tante testimonianze della continuazione di sua benevolenza inverso la mia persona e il mio regno, che mi mancano parole bastevoli ringraziar degnamente la S. V. di questa ultima grazia, e però a scusare la mia insufficienza ho creduto di rappresentarle la memoria e il sentimento, che io ho, della grandezza de' beneficii precedenti. Pertanto avendomi la S. V. favorito in modo così straordinario e sopra il mio merito, per compiuto ringraziamento di questo ultimo benefizio, io la supplicherò, come fo il più affettuosamente che mi è possibile, di disporre e usare di me e del mio regno in tutte cose che si presenteranno pel contentamento della S.V. come di un acquisto fatto in così al

la carta, nè piacque ad Enrico di tagliare a mezzo la parola seguente, si vede nell'autografo un segno (ed è un'asta con una linea serpeggiante all'intorno) che toglie a' falsatori la possibilità d'interpolare il testo originale.

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