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de dysposer et user de moy et de
mon estat au toutes choses, quy se
presanteront pour le contantemant
de Ure S.tete comme dun acquest
quelle a fayt a sy haut prys quyl
ne luy peut james de faylyr tres-
saynte pere, Ure S.tete a par les
deus premyers byenfayt mys ma
consyance et mon royaume au
grand repos mes par la dernyer elle
ma ouert le chemyn de fere youyr
de ce bonheur non ceulemant ceus
quy uyuent mes aussy les autres
quy naytront et uyuront apres nous
de sorte que comme la grace sera
perpetuee a la postery te la memoy-
re et lobly agasyon an seront aussy
eternelles et a fyns que aynsy yl
aduyenne tressaynte pere je pro-
mes a Ure S.tete que je suyurey et
accomplyray la parolle que luy a
donnee mon ambassadeur car ye ne
pouseray yames fame qui ne soyt
uraymant catolyque de façon que
Ure S.tete san contantera reco-
gnyssant auec ycelle que ie feroys
une tresgrande faute den prandre
un autre, yauray tal soyn aussy de
contynuer a menager ludit que fay
fet pour la trancquylyte de mon
royaume que la relygyon catolyque
en receulyera le pryncypal et plus
assuré fruyt comme elle a byen
commancé aynsy que aura repre-
santé mondyt ambassadeur la sup-
plyant de ne sarrester aus auys luy
paurroyent etre donnee du contray-
re car an ueryte yls procedent de
personnes poussey de factyons plus-
tot que de relygyon comme Ure
S.tete congnoytra tout les yours
dauantage parce quy san ansuy-

to prezzo che non le può mai falli-
re. La S. V., beatissimo padre, coi
due primi beneficii tranquillò la co-
scienza e il regno mio, ma con l'ul-
timo aprì a me la strada di far gode-
re questa felicità non solo ai pre-
senti ma sì pure agli altri che na-
sceranno e vivranno dopo noi, di
modo che siccome la grazia sarà
trasmessa alla posterità, eterna pu-
re sarà la memoria e la obbligazio-
ne. E per che ciò sia, prometto alla
S. V. di seguire e compire la pro-
messa che le diede il mio ambascia-
tore: perocchè io non torrò mai mo-
glie che non sia veramente cattoli-
ca: e così la S. V. sarà contenta :
mercechè riconosco io pure con lei
che grandissimo errore commetterei
se ne togliessi un'altra, e di questo
affare avrò cura singolare e conti-
nua per la tranquillità del mio re-
gno e per procurare alla religione
cattolica quel frutto sicuro e prin-
cipalissimo che ha cominciato a rac-
cogliere; come pure avrà rappre-
sentato alla S. V. il mio ambascia-
tore, supplicandola di non far capi-
tale de' contrarii avvisi che le po-
tessero venir dati: poichè per veri-
tà procedono da persone spinte più
presto da partito che da religione,
come la S. V. conoscerà ogni giorno
più da quello che è per seguire.
Quanto alla pubblicazione del con-
cilio di Trento e al ristabilimento
de'gesuiti nel mio regno che la S.V.
ha voluto raccomandarmi di nuovo
con la sua lettera dei XXVI otto-
bre, supplico la S. V. di credere che
io ho questo pensiero così intimo al
cuore come la S. V. può desiderare,

ra,quanta la publycasyon de concyle de trante, et au restablyssemant des Jesuystes au mon Royaume que Ure S.tete a uoullu me recommander de rechef par sa lre du XXVIme doctobre je suplye Ure S.tete de croyre que fay ce pansemant au coeur aussy accant que Ure S.tete le peut desyreret que ie rechercheray touts moyens de donèr sur ce a Ure S.tete tout le contantement quy me sera possyble aynsy que fay nagueres dyt au nonce de Ure S.tete alarcheuesque darles et au pere leonardo Maggyo des comportemans desquels tant au cete poursuyte que au toutes autres occasyons je ne me puys louer asses a Ure S.tete comme luy dyra mon dyt ambassadeur le quel pareylemant luy randra fydelle compte de ce quy ce passe au fayt de saluces portant je supplye Ure S.tete auoyr agreable che ie man remete sur luy pour pryer Dieu uoulloyr conseruer Ure S.tete treslonguemant et tres heureusemant pour le byen general de la chrestyante. ce VI Nouambre a Marcoussys Votre tres deuot fyls HENRY (3)

e che cercherò tutti i mezzi di dare su ciò alla S. V. quel contentamento che mi sarà possibile, come di recente ho detto al nunzio della S. V., all'arcivescovo d'Arles (1),e al padre Leonardo Maggyo, delle azioni dei quali così in questa congiuntura come in ogni altra occasione io non posso lodarmi a bastanza presso la S.V. come le dirà il predetto ambasciatore: il quale simigliantemente le darà conto fedele di quello che riguarda il fatto di Saluzzo(2). Pertanto supplico la S.V. di compiacersi che io in lei mi riposi, e pregherò Dio a volerla conservare lungamente e felicemente pel bene generale della cristianità.

Questo di VI Novembre
a Marcoussys.

Vostro devotissimo figlio ENRICO

(1) Silvio Santacroce il quale governò la chiesa di Arles dal 1565 al 1599 quando col consenso del pontefice e del re rinunciò l'arcivescovato in favore di Orazio Montano (Samm. Gall. chr. pag. 69).

(2) Temendo il duca di Savoia che il marchesato di Saluzzo cadesse in mano degli Ugonotti, tentò di occuparlo. Ma Francesco Lesdiguieres allora eretico e promovitore di eresia il prevenne, e in nome di Enrico III. tolse il possesso del marchesato (Tortora lib. III).

(3) Non ho dato il fac-simile della firma di Enrico perchè dessa è nota a bastante. Ma quando alcuno de' molti documenti che sono negli scrigni del Saggiatore, abbia la firma di qualche insigne personaggio che sia ignota, o rara, si darà il fac-simile di essa disegnato con quella diligenza che in cosiffatte particolarità diplomatiche si richiede.

BELLE ARTI

PARTICOLARI DELLA FAMIGLIA E DELLA VITA
DI GIULIO ROMANO

RICAVATI DA CARTE AUTENTICHE ED INEDITE.

Fra molti scrittori di materie o di storia pittorica che si occuparono di Giulio Pippi detto romano, come a dire il Vasari, il Dati, il Baldinucci, il Lanzi, il Quatremere de Quincy, l'Orlandi, il Tiraboschi e più altri, niuno, che io sappia, descrisse i particolari della famiglia e vita sua: anzi il Vasari che pure fu contemporaneo ed amico di Giulio, contento a numerare e descrivere le molte opere che egli condusse in architettura in disegno in pittura, nulla dice del viver suo, nè a cui fosse figliuolo, nè in che anno nascesse, in che mancasse a' vivi. Ma degli uomini insigni in cui la sapienza di Dio imprime più raggiante la immagine di se stessa, non solo ci piace di vedere e magnificare le opere: si pure vogliamo conoscere i particolari della vita e famiglia loro, le fortune, l'amministrazione, gli strumenti di vendita o di compera, la indole, le qualità, le amicizie e vedere e considerare a parte a parte i libri, le stoviglie, i diversi obbietti che usarono; con che quasi ci sembra di conversare con loro, e di stamparci nell'animo la immagine di loro sembianze. E così ogni colta persona legge con diletto grandissimo lo inventario de' mobili pochi e vulgari che aveva il Calderon, o lo Shakespeare figliuolo a un beccaio di Stratfort, e con diletto grandissimo osserva il calamaio di bronzo con quell'amorino consigliatore di silenzio, che serviva a Lodovico Ariosto quando consegnava allo scritto gli amori di Angelica, i delirii di Orlando.

E la storia di Giulio romano, primo fra discepoli di Raffaele, fra dipintori ed architettori a pochi secondo, merita di essere conosciuta a parte a parte: il perchè essendomi venute

alla mano parecchie carte (1) autentiche nè pubblicate mai, alcune delle quali risguardano il padre, altre i congiunti, altre la persona stessa di Giulio, colmerò questo vano nella biografia degli artefici, e darò, spero, notizie curiose, nuove, importanti.

Pietro Pippi (2), che in una sola delle nostre carte è detto ancora de' Giannuzzi, ebbe tre mogli, una innominata, Antonina, e Graziosa; generò con la prima Giambattista, il nostro Giulio, e tre figliuole Girolama, Laura, Silvia: con la seconda Domenico; con la terza Francesco.

Giambattista il maggiore di tutti avendo tolta in moglie certa Virginia non solo usci della casa, ma si pure dovette avere una giusta porzione de' beni paterni: perocchè nel testamento di Pietro non è nominato mai nè come erede nè come legatario. Esercitò la professione di speciale, ed è strana cosa che nelle nostre carte non è detto mai Pippi, ma sempre del Corno, che doveva essere un soprannome affisso alla persona e discendenza sua in tanto, che aveva fatto dimenticare il cognome di sua famiglia.

per

Pare che Pietro mancasse a' vivi il febraio 1521: certo il suo testamento porta in data il 3 febbraio di questo anno. Dispone che il suo corpo sia sepolto in S. Niccolò (3) e che lo anniversario di sua morte siano dati XXV fiorini alla congregazione dell'Annunziata: chiama eredi i figliuoli Giulio, Domenico, Francesco, tutore ed amministratore senza obbligazione di rendiconto lo stesso Giulio, ma vuole che non procedano alla divisione della eredità prima che le tre figlie

(1) Queste carte o strumenti sono XVIII e furono trovate negli uf

fici Tassi in s. Chiara, e Bacchetti in Campo Marzo.

(2) Nel suo testamento si nomina Pietro de Pippo, o sia di Filippo non de Pippis con che si conosce il nome del padre suo, o sia dell'avolo di Giulio.

(3) In piazza di Colonna traiana prima che fosse scoperto il foro, erano due chiese, l'una s. Eufemia, l'altra s. Spirito la quale nel secolo XVI s'intitolava in s. Nicolò.

Girolama, Laura e Silvia siano maritate e giustamente dotate: e Francesco il più piccolo de' fratelli abbia passato l'anno ventesimo: prescrive che Domenico della dote di sua madre Antonina non possa pretendere che 200 ducati, e lascia a Graziosa sua moglie il trattamento vedovile per tutto il tempo della vita se pure non si mariti in altr'uomo (1).

Giulio messo a capo della numerosa famiglia il 23 febbraio 1523 maritò Girolama in Lorenzo Boni scultore fiorentino, e le diede 400 ducati d'oro in dote che il 29 ottobre dell'istesso anno aveva già pagata, e 150 ducati pur d'oro per lo acconcio e le gioie (2) e una bianca cassetta (3) secondo il costume di Roma. Le parti contraenti promettono di effettuare il matrimonio nel termine di otto giorni, da potersi allargare di comune consenso, sotto pena di mille ducati (4).

Lorenzo Boni non campava la vita solo con la professione di scultore; aveva pure alcuni fondi e nelle nostre carte è descritta una casa presso l'arco de' Foschi nel rione Monti che egli abitò qualche tempo, e due case nel rione Ripa le quali confinavano ed avevano in parte muro e fondamento comune con una casa d'Innocenzo Mancini (5), e però volendo

(1) Donec fungetur vita viduali et veste lugubri. Atto del 3 feb

braio 1524.

(2) Res jocales. Ancora oggidì le donne di Trastevere e de' Monti chiamano giogaglie o scioccaglie da jocales gli orecchini e i vezzi loro.

(3) Cassam albam. Era una cassa di albuccio, legno bianchissimo, che ne' maritaggi del popolo si dava alle spose perchè servisse loro alla custodia delle vesti.

(4) Era ancor questo un costume di Roma nel secolo XVI. Così nell'istrumento degli sponsali di donna Laura figliuola a Bernardino Mattei e di Gaspare Garzoni di Azio cavaliere e conte palatino le parti contraenti promettono di effettuare il matrimonio sotto pena di 1000 ducati. Si trova questo istrumento in un protocollo camerale.

(5) I Mancini, splendida famiglia, erano del rione Regola. Un'altra famiglia Mancini era del rione Monti, e presso Macel de' Corvi si vede ancora la loro casa con questa iscrizione:

Angelus de Mancinis aromatarius fecit hanc domum

sub die X mai MDXXXVIII.

ANN. I.

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