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namento de' circhi e delle naumachie. Ai rozzi legni, che da principio formavano lo steccato de' luoghi destinati ai pubblici spettacoli, furono sostituiti edifizi tali, che dopo dieciotto secoli di esistenza, ci attestano ancora la solidità dell'opera. In vece de' cavalli, e de' pugilatori de' prossimi Vejo e Cere, godeva il popolo di vedere i combattimenti delle fiere, che con immensi tesori si facevano venire dai deserti dell' Africa, e dell' Asia; e i discendenti di coloro, che un tempo esultarono per breve ora allo spettacolo in piedi, prolungavano spesso per tutta la notte i divertimenti del precedente giorno; e talvolta più notti e più giorni passavano, senza che mai il divertimento s'interrompesse. Forse non esagerò il poeta che scrisse populus qui dabat olim Imperium, fasces, legiones omnia, nunc se

Continet, atque duas tantum res anxius optat
Panem et circenses (1).

Sciolto l'impero, mancarono a Roma i mezzi onde procurarsi spettacoli cosi sontuosi. Gli anfiteatri, ed i circhi, abbandonati, incominciarono a rovinare per la diuturnità del tempo distruggitore di ogni cosa. Alcuni furono in tutto o in parte distrutti per adoprarne i materiali in altri edificii e non pochi furono convertiti in fortezze da' potenti patrizi. I duelli, ed i torneamenti introdotti dai popoli settentrionali in Italia, furono adottati anche in Roma, e sostituiti agli spettacoli dei gladiatori e de' pugilatori. Ed alle caccie delle fiere dell'Asia, e dell'Africa furono sostituite quelle degli indomiti tori, che con minore dispendio si avevano dalle suburbane campagne.

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Facevansi tai giuochi ogni qualvolta il richedesse motivo alcu no di pubblico giubilo; così Saba Malaspina descrivendoci l'inaspettato arrivo in Roma di Carlo Conte di Provenza destinato Re di Napoli nell'anno 1265, e gli onori a lui fatti dal popolo romano, ci dice. che tutti i nobili secondo le proprie ricchezze avevano ra,,gunato una compagnia di cavalieri vestiti in divisa, co'quali andarono incontro all'ospite illustre. Ed allor quando veniva loro dato il segno, correvano alcuni in due linee, altri in trè; mar,, ciavansi incontro coll'aste in resta, e formavano correndo de' circoli, mentre altri cercavano d'insidiar loro una tale evoluzione prevenendoli con formare altro circolo anch'essi (2),,..

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(1) Juven. Sat. X v. 78-81.

(2) Antiq. med. aevi - tom. II dis. 29 pag. 836.

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Ed in quanto alle caccie de' tori, il Monaldeschi ne' suoi annali ce ne conservò la memoria di una solennissima fatta nell'a no milletrecentotrentadue. Si fece ( egli dice ),, lo joco dello to,.ro allo Coliseo, che avevano raccomodato tutto con ordini di tavoloni e fù jettato lo banno per tutto lo contorno, acciò ogni Barone ci venisse. Tutte le matrone di Roma stavano sopra li balconi foderati di panno roscio: tutte le nobile da una banda, e l'altre di mezza mano dall'altra, e i combattenti dall'altra. ,, Uscirono in campo Galeotto Malatesta da Rimini, Cicco della ,, Valle, un figlio di messer Ludovico della Polenta, messer Aga,, pito della Colonna, Annibale degli Annibali, Giacomo Cencio, e molti altri: tutti assaltarno lo toro, e ne rimasono morti dieciot,,to, e nove feriti, e li tori ne rimasono morti undici. Alli morti se fece uno granne onore (1).

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Ma l'epoca in cui i romani de'tempi di mezzo sfoggiavano tutta la loro magnificenza in simili spettacoli, si era quella del carnevale. Quanto di sontuoso poteva fornire una pompa secolaresca, quanto la grandezza dello stato, e le forze del publico erario potevano somministrare, tutto impiegavasi per le feste carnevalesche. Le comuni di Tivoli, e di Corneto, di Terracina, e di Piperno, quelle di Ninfa, e delle Castelle di Acqua-puzza erano obbligate a mandar uomini a Roma per accrescer decoro allo spettacolo, e contribuire a mantenere la tranquillità pubblica, troppo facile ad essere alterata in quei tempi scabrosi: gli Ebrei, vilipesi in ogni tempo, erano costretti di prestare personalmente la loro opera nei più abbietti servigi, e di pagare un ragguardevole tributo di mille e centotrenta fiorini d'oro. Il circo agonale ed il campo di testaccio erano i luoghi allora destinati ai carnevaleschi giuochi.

La più antica memoria, che finora mi sia venuta sott'occhio, relativamente a quest'oggetto, è un' istrumento dell' insigne archivio di S. Alessio al monte aventino, in cui leggo, che nel milleduecentocinquantasei il monte di testaccio è detto monte del pallio, perchè appunto al pallio si correva alle falde del medesimo. Vidi quindi un breve di Gregorio X del milleduecentosettantuno, in cui il pontefice rimprovera il vicario temporale di Roma, perche avesse intimato a diverse circonvicine città ut certam comiti

(1) Murat. R. I. S. 5 tom. 12 pag. 535.

vam ad urbem trasmitterent causa ludi di testaccio vulgariter nuncupati, qui in dicta urbe annis singulis exercetur (1).

Nel famoso codice di Cencio Camerario abbiamo una disposizione con cui il medesimo pontefice ordinò, che in die carnis privii circa vesperas in domo domini Pape dentur pauperibus sex fidandi de pane, unus bos, et quinque cassie vini.

Giunto il dì della festa, ragunavansi in campidoglio coloro che dovevano figurare nello spettacolo, e quindi si avviavano alla volta dei divisati luoghi, conducendo solennemente i cavalli, i tori, i carri, e gli altri oggetti destinati ai giuochi. Ogni rione di Roma inalberava la sua bandiera, e portava un'emblema a sè adesivo. Tutti i magistrati secolari v'intervenivano, e soldatesche in gran numero guarnivano la pompa. Accadeva talvolta che questa, dopo aver fatta mostra per diverse vie della città, giunta in un determinato luogo si scioglieva, ma ordinariamente recavasi al circo agonale, o al campo di testaccio.

Sappiamo, che negli antichi statuti di Roma fu stabilito che ludi agonis, et testacie, debeant solemniter celebrari (2): dovevansi per tal effetto preparare quattro annelli di argento dorati, due de quali portavansi nell'agoni, e due in testaccio, ad quorum unum (si legge nello statuto) cives hastiludere debeant, ad reliquum scutiferi (3).

In testaccio poi inoltre portavansi trè pallii tessuti d'oro e di seta, al primo de' quali correvano i cavalli de' romani, al secondo quelli degli stranieri, ed al terzo gli asini. Mettevansi di più sulla vetta del colle sei carri, sopra ognuno de' quali legavansi due giovenchi ed altrettanti majali, ed il tutto si copriva con un panno rosso. Precipitavansi quindi i carri così accomodati per le scoscese balse del colle, ed il basso popolo fra il muggire ed il grugnire de' precipitati animali, e le rise degli spettatori, schiamazzando correva in folla per impadronirsi del panno, e degli animali, che in un'istante facevansi in mille pezzi.

Ciò premesso, non vi rincresca di sentire la descrizione di una festa di testaccio, che conservasi manoseritta in varii archivi di Roma. Essa porta il nome di Nardo Scocciapile notaro alli mon

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ti, ed è relativa al carnevale del 1372 celebrato con gran solennità da un certo Mathaleno uomo potente. I puristi barbassori della crusca, mi permetteranno, che io riferisca il testo del notaro alli monti tal quale lo rinvenni nell' archivio Colonnese. Ecco adunque quanto scrisse Nardo Scocciapile,, venuti quelli di ultimi ,, di carnevale, onni caporione faceva annare lo suo toro incoronato ,, per lo rione, ariscotere robbe per manicare, e fare collatione ,, quello dì, et questo toro era menato dalli conista voli. Non vedevi se non pietriche piene de di presutti, ciamelloni, e coppie di provature secche e fresche, boni fiaschi di vino di tutte le ,, sorte rosci e bianchi, e sopresati salciccioni bolognesi, casi ca,, valli, e pizze de pasta di provatura. Venuto lo sabbato grasso, che se fece la mostra delli tori nella piazza di campidoglio, fu,, ro menati in navoni. La domenica di carnevale a ore decidotto si cominciò avviare la festa da campidoglio vierso testaccio, ,, sempre suonanno la campana grossa alla distesa. Li primi era,, no li artisti uno per ciascheduna casa, e foro onne arte la sua insegna, foro da trentaduamila persone tutta jente vestuta; da poi erano tredici carri trionfali, uno per ciascheduno rione con ,, diversi modi, onni uno lo suo signafucato avea tirati dalli bu,, fali et dalli cavalli. Poi ivano dieci jocatori per ciascheduno ,, rione a uno a uno con quattro tromme vestuti essi et li cavalli ,, di colore bianco, e nero ... et ivano vestuti all'antica con le ,, cioppe perinsino in terra, con le tromme de fino ariento suo,, nanno. Poi venivano doi a cavallo con due para de nacheri de ariento sonanti. Certo ch'era honesto et magnifico sono. Parea », che favillasse. Et erano questi vestuti all'antica de lungo. Di », poi venivano li mastri justizieri, il cavaliere de campidoglio con li sbirri, et lo boja con la mannara, et lo ceppo. Poi venia li doi concilieri del popolo romano, lo senatore con li conservatori. Poi veniva trecento lanze chineche tutte vestute di novo, di torchino et bianco, li quali erano per sua guardia. Poi venia lo ,, magnifico Mathaleno in uno cavallo bianco, come fioca de ne,, ve. Poi era seguitata da molti baroni, e da molti jentiluomini ,, romani tutti a cavallo con quattrocento cavalli leggieri. Arriva., ti nella piazza di testaccio, vedevi tutto pieno di jente, che non ,, ce avria potuto buttare uno vago de miglio, tant'erano le ma

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cheri che non c'era nè fine, nè fonno. Si cominciò la festa, e lassaro venire per lo monte alla imo doi tori, doi carrozze; nel

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le carrozze vi era quattro porci legati de bona maniera con una ,, canna de rosato; non foro più presto arrivati nella piazza a mez,, zo prato, tu vedesti trecento persone con le spade nude alla uscita loro per volere rubare li porci, et lo panno roscio

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di poi si corsero tre pallii; la correria era dallo monte di testaccio in fino alla colonnella di monte aventino. La fu molta bella ,, e te saccio a dire, che di quelle magnanime, che si facessero in quello tiempo (1).

Chè se alcuno mi opponesse essere lo scritto di Scocciapile riputato da molti critici un romanzo anzichè una cronica, io dico, che circa la descrizione della festa di testaccio lo scrittore fu verace in questo loco perchè analogo a quanto della medesima hanno lasciato registrato autori di una fede certissima, come vedremo fra poco.

ANTONIO COPPI.

(Il resto nel venturo fascicolo).

LETTERATURA

DELLE PERMUTAZIONI DELLA POESIA

Art. I.

Antichità ed uffici della poesia.

La poesia o venne a luce una con l'uomo o di breve intervallo conseguitò la origine dell'uomo. Le antiche tribù parlando un idioma aspro, povero e sufficiente appena a'mutui bisogni della vita sociale, ed avendo le forze della fantasia vergini e rigogliose comecchè non menomate dal civile raffinamento, dovevano e ne' familiari discorsi, e nelle pubbliche adunanze adoperare traslati di ogni maniera, e spirare sentimento e vita nell'univers a natura: nel che dimora la

(1) Vedi anche Bicci, notizie della fam. Boccapaduli p. 589.

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