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messo alla Maestà del Re (1); la quale nel decreto detto, dice queste parole « Qui postea negocium pro necessitate latius consultent, et opi» nionem suam, una cum Helectore Saxoniae, Regic Maiestati pro» ponant; in quo Maiestas sua deinceps quicquid ad finalem concordiam controversiae religionis facere et promovere posset, illud pa» terno et generoso animo et extrema diligentia facturam se se offert ». A me pare troppo strano che in detto decreto nulla sit facta mentio de Smo D. N. PP., cum divini iuris sit negocia fidei ad apostolicam sedem referri debere. Però quando Diomede Visano, mio segretario, tornò da questa Dieta, m' affermò avere inteso dai Consiglieri del Re che, se bene non era fatta nel Decreto mentione di S. Santità, la Maestà sua nondimeno con le sopra dette parole s' intendeva haver dichiarato che haverebbe rimesso il titolo a S. Beatitudine; ma sia detto questo insieme con il resto, salva la verità. Così ancora è cosa degna da esser considerata questa; che li prelati di Germania et il Re serenissimo hanno creduto che il Colloquio qui in Roma non fusse biasimato; perchè essendo corsi alcuni mesi dall' ordinatione all' esecutione di quello, essendosene havuta qui publica notitia, non si divenne a rimedio alcuno per disturbarlo; anzi si lasciò partire di qua due Gesuiti deputati al detto Colloquio. Parve bene, et io credo certo essere stato vero miracolo di Dio, che quando la Santità di Nostro Signore mandò quel Dottore al Re, all' hora in favore della santa mente di S. Beatitudine, eccitò il signor Dio dissensione tale fra li medesimi Heretici, che fu dissoluto il colloquio (2).

Hora perchè fra le cose, che nella presente dieta d'Augusta s' hanno a trattare, non havendo havuto effetto il Colloquio di Wormatia, di nuovo si trattava con quale dei quattro mezzi si possa levare il dissidio; sapendo io che il Concilio Generale non piace nè agli Heretici nè ai Cattolici di Germania, perchè, se quelli temono la condannatione, questi poco desiderano la riformatione; oltra a che non tocca ad altri che a S. Santità congregare il concilio, et s'aspetta a lei sola giudicare, così quanto al tempo come quanto al luogo del congregarlo; supponendo io che il serenissimo Re, conforme a quello che la Maestà sua ha fatto fin' hora, abhorisca il concilio nationale, la voce del quale non solo è nuova nella Chiesa di Dio, ma al parer mio sapit

(1) Questa commissione del non nominare S. Beatitudine, et in cose massimamente che per divina ordinatione toccano a lei sola, non si può tollerare.

(2) Le cagioni della dissoluzione di quel famoso colloquio sono dottamente esposte dal Fleury nel libro 152 della sua storia ecclesiastica. Pfeffel mette a Naumburg quello che Fleury ed il nostro Delfino narrano avvenuto a Vormazia.

heresim; sapendo io non esser solito delle Diete trattare circa i particulari della fede; penso et temo che, non facendo sua Beatitudine qualche provisione, sarà un' altra volta nella dieta deliberato il Colloquio. Acciocchè, quando S. Beatitudine giudicasse essere a servitio di Dio opponersi a questa pratica, ella possa havere, oltra all'authorità che Dio gli ha data, et oltra alle ragioni ordinarie che si possono addurre, qualche gran fondamento, dico che, dal recesso delle tre case fatte in Naumburg nel 55, et da due lettere che le dette tre case hanno scritto a S. Maestà si posson cavare ragioni tali, che essa stessa Maestà non potrà negare che non si vegga manifestamente la durezza et estrema ostinatione de i Confessionisti; et dalle quali sarà parimente constretta a confessare, che con li heretici riusciranno vani tutti i Colloqui; li quali non per altro da loro sono domandati, che per speranze in che sono di potere con il mezzo di essi fraudolentemente guadagnare qualche cosa a fomento della setta loro, et danno della santa fede Cattolica. Et questo dico, perchè mi consta che la detta setta non è tanto de i seguaci di quella confessione, essendo chiaro che di loro si può con verità dire « tot capita tot sententiae », quanto che alcuni maladetti conspirati sotto questo nome di Confessionisti ad impugnare la santa fede Cattolica, oltra che acquistano in un medesimo tempo suprema autorità nell' Imperio, levano ogni reputatione alla casa d'Austria, et caminano in somma a gran camino di condurre pian piano la Maesta di Ferdinando con li serenissimi suoi figliuoli nelle heretiche loro opinioni; per modo che se Dio et Sua Beatitudine non proveggono, l'honore et la conscientia di questi Principi restano certo in troppo evidente pericolo.

Mi resta a dire a V. S. Illustrissima che, per quanto io intesi (1) essendo alla corte della Maestà del Re, et da molti altri, la suspensione dei mandati contra communicantes sub utraque specie, fu ad tempus, cioè fino alla dieta di Ratisbona. Di più quel che n' ho riportato è che, havendo molti anni prima li stati d'Austria ricercato il serenissimo Re, che concedesse loro potere communicare sub utraque specie, la Maestà sua constantemente sempre gli haveva rebuttati; ma che essendosi ultimamente ostinati in affermare, per suggestione dei ministri dei Duchi di Sassonia et di Wirtermberg, che si sarebber piuttosto dati in preda al Turco, che havere aiutato S. Maestà, quando non havesser potuto ottenere il loro desiderio; ella pertanto si contentò sospendere i mandati suoi contra communicantes, fino alla Dieta di Ratisbona.

A me fu detto all' hora dai Consiglieri del Re in privati ragionamenti, si come accade, l'infrascritti particolari. Prima, che sua Mae

(1) Vedasi una mia lettera di Vienna dei 25 di Marzo 1556.

stà s'era dichiarata talmente contra quelli che erano stati inventori di sollevare li stati d'Austria a questa petitione, che si poteva credere, quantunque la suspensione dei mandati fusse per finire al tempo predetto, che mai più, vivendo la sua Maestà, sarà chi ardisca tentar da lei simil cosa.

Di più che se la Maestà sua havesse suspesi i suoi mandati (1) et le pene comprese in quelli, non però haveva sospeso le pene che alli Heretici danno le leggi civili et canoniche, aggiungendo che quanto prima a Dio piacesse dar forza a sua Maestà, ella farebbe gagliardamente demostratione. Può essere che la cosa stia altrimenti; ma io l'ho intesa appunto come l'ho scritta; et ho creduto che detta suspensione sia spirata; me ne rimetto però alla verità. Ma presupposto ancora che la cosa stia in questo modo, viva sicura V. S. Illustrissima, che è seguito in questo caso l'istesso che di sopra ho detto dei recessi; cioè, che li heretici hanno interpretato a lor modo la suspensione (2), et che dipoi che ella è stata fatta, n'è seguito grandissimo male et manifesta tolleranza di sua Maestà.

Dio volesse Monsignore Illustrissimo, che le cose concernenti la santa fede fussero state sempre trattate con quella reverentia di Dio et viva fede che hoggi sono trattate dalla Santità di Nostro Signore ; et Dio volesse che quello heretico spirito di cercare d'accordare gli heretici e i Cattolici, non havesse regnato, et hoggi non regnasse in molti; perchè di qua stimo io che sia nato tutto il fondamento del male che hoggi si pate la Christiana Republica; et peggiori son questi che stanno di mezzo, più dannosi questi mediatori della concordia, che non sono gli Heretici manifesti.

Quanto ardire habbia dato agli Heretici, et quanto fomento accresciuto alle petitioni loro di potere impune communicarsi sub utraque specie, l'esser notorio che l'anno del 41 il Reverendissimo Legato, che all' hora era in Ratisbona, si tolse il carico di proporre alla santa memoria di Pavol Terzo, che concedesse quest' uso, si come per una lettera che è nel registro che io ho dato al Reverendissimo Alessandrino chiaro si vede che la Reverendissima Signoria sua s'affatica di persuadere; et quanto ancora habbia in ciò nociuto il sapersi notoriamente che la santa memoria di Pavol Terzo mandò non molto dopo suoi Nuntii in Germania con facultà di concedere questo medesimo, lascio pensarlo alla prudentia di V. S. Illustrissima. So bene io,

(1) La detta suspensione, per ogni ragione, et massimamente perchè fu subito imitata dal Duca di Baviera, è detestanda.

(2) L'Auditore di Monsignore di Verona saprà dire, se fu confirmata o prolongata.

che simili cose non possono essere accordate senza lagrime da chi è Christiano; et concludo che chi è tale, deve piuttosto voler morire, che lasciar levare ad istantia d' Heretici un sol iota delle sacre scritture, nè alterare la verità della santa fede, o vero vendere li santi dogmi di quella per denari da far guerra al Turco. Et tanto basti haver detto, non per interpretare o glossare recessi, nè meno per difendere o vero accusare alcun Principe che in quelli habbia havuto parte, ma solo per informare V. S. Illustrissima di quanto ho letto et udito: rimettendo il tutto humilmente alla sancta correctione di sua Beatitudine et alla censura d'ogni meglio informato della verità ec.

ARCHEOLOGIA

DECADI EPIGRAFICHE DEL MARCH. Giuseppe melCHIORRI, PRESIDENTE DEL MUSEO CAPITOLINO, SOCIO ORDINARIO E CENSORE DELLA ROMANA ACCADEMIA DI ARCHEOLOGIA, ec. ec. ec.

Decade Seconda (1).

Num. I.

Dal suolo dell'antica città d'Ostia, feracissimo ognora di preziose memorie, negli anni 1825 e 26 venne a luce, fra le molte lapidi d'ogni genere, questa epigrafe, per le escavazioni che vi si facevano, per comando del cardinale Giulio Maria della Somaglia decano del sacro collegio, nei terreni della mensa vescovile, dai signori fratelli Cartoni. Ebbi campo allora di visitare sovente quegli scavi per commissione del sullodato eminentissimo personaggio, e mi fu dato di veder ben spesso venir fuori a nuovo giorno una grande quantità di marmi scritti, alcuni de' quali di sommo pregio, e che tutti

(1) La prima di queste decadi fu da me pubblicata nelle Memorie Romane di Antichità e Belle Arti. Vol. III, pag. 91.

ebbi trascritti nelle mie schede. Le lapidi passarono poscia nei magazzeni del museo Vaticano, dove attendono ancora un collocamento.

Fra quei marmi distinguevasi sopra tutti per mole un grande masso quadrilungo di marmo lunense, che dalla sua forma, dalle traccie de' perni che vi si osservarono nel piano superiore, e sopra tutto dalle iscrizioni scolpite sul d'avanti, ed in un lato, si conobbe essere stato destinato a sorreggere una statua equestre. Il luogo del ritrovamento fu l'area posta innanzi al maggior tempio d' Ostia, ossia a quello di cui rimangono più grandiose vestigie, tempio che fu dagli scrit tori delle cose ostiensi sino ad ora giudicato per esser stato sacro a Giove, ma che ora dopo le nuove scoperte fatte può meglio attribuirsi al culto di Roma ed Augusto.

Ora intanto che mi vado occupando di un lavoro più vasto intorno ai marmi scritti delli due porti romani, avendo di già raccolte ed ordinate tutte le lapidi ostiensi e portuensi, per quindi produrle tutte riunite in un solo corpo, ko creduto ben fatto di dare una qualche spiegazione a questa che qui sottopongo, e che nella classe delle onorarie è una delle più insigni (1).

(1) Può dirsi quasi inedita, benchè dalle mie schede la togliesse Clemente Cardinali, che senza alcun annotamento la pubblicò nei diplomi militari (pag. 183 n. 327), ponendola in fascio con altre molte a denotare gli esempli delle lettere più alte. Io stesso nell' Antologia di Firenze (Lettere archeologiche ec. ann. 1826) nel dar conto degli scavi sudetti pubblicai soltanto l'iscrizione del lato.

ANN. I. VOL. II.

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