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e gli altri sensi in buoni significati di accortezza e provvidenza: ma il Mantovano più alte e significanti interpretazioni di ogni cosa diede, dicendo: o quanto propriamente a questo Vertunno pieno di fallacie convengono questi colori, questi abiti e queste imprese: il color mutabile e vario, perchè ognuno mi dice che egli si trasforma più che Proteo, la volpe perchè è astutissima, la seppia che torbida l'acqua chiara, per la pronta varieta ed arte d'ingannare, l'Ulisse perchè non fere se non di notte gente che dorme, cioè si fida di lui, l'alicorno che primo di tutti beve, significa che per se vuole la prima parte degli utili, e con il corno dell'autorità, anderà levando ai compagni il sospetto del tossico, cioè del sindicato, quasi voglia dire: lasciate rubare a me quel che mi piace de'vostri magistrati, o gente paurosa, e di quel che a me avanza fatevene ancor voi parte senza paura, che io vi difenderò. Non so se io vi saprò dire i motti delle lancie di ciascuno; so bene che quello del gran cancelllere diceva « seu versare dolos, seu certae occumbere morti » quella del fratello« o utinam ne te in praeceps agat ira Deorum, nubila dum frater Phaeton novas ardua tranas » questa iscrizione mi mostrò che erano malsicuri del fine, quella del fiscal Pecchio « commissi ante oculos sceleris versatur imago, quae miserum ultrici semper me tabe peredit. Da questo motto il mondo si chiarì che anco egli alla corte aveva morduto il Signore. Quella del sig. Cesare « me pater ipse dolis inventa fraude labantem, sustinuit cum forte toga spoliarer adempta » si fece allora palese, che per animare più il padre contro il sig. D. Ferrando la corte nemica al Signore gli aveva fatto dare quel poco ricoprimento del senatoriato, per occultar la vergogna, che se gli faceva, togliendoli la dignità: quella dell'Arzon « cosa non è brutta ch'io non faccia, purchè alle donne il mio Saturno piaccia ». Di qui si scoperse che costui di cosa poco onorevole serviva all'amico. Incontinente quella del Visconte senatore a I doni che per uso ognuno aspetta ci toglie il terminar le liti in fretta quella del sig. Benedetto Pecchio «perficiam scelus, aut moriar, fratrique meoque nusquam abero Domino deprensa fraude timenti» quella di Lorenzo Vassallo « facilis jactura sepulcri quella dell'Olmo « nunc omnes terrent aures, sonus excitat omnis ». Fecero mostra di loro con visi ridenti e bocche saporite, perchè si credesse che avevano il gioco sicuro: ma il capitan di Giustizia, nel volto del quale la moltitudine si specchiava, gli levò il credito col predicarli per gente fallacissima, e bugiarda, onde non si tirorono dietro il sperato favore della ignobile canaglia, che più oltre non vede che la superficie.

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provisamente in Milano. Secondo l'asserzione del nostro anonimo il Taverna gli avrebbe con le molestie accorciata la vita.

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Venne il sig. Contador (4) vestito di velluto celeste egli ed il cavallo assai riccamente adorno, e del medesimo erano anche vestiti i suoi scudieri, tra quali monsignor Bibienna (2) più degli altri si fece guardar dietro per la qualità dell'uomo contrafatto si che non fu alcuno che in quello spettacolo contenesse il riso. Egli è un omicciuolo piccolo, gobbo, sicchè appena fuor dell'arcion si vedeva. Parve ad ognuno l'Arcivescovo Turpino, che scrisse i fatti della tavola ritonda. Aveva sotto un cavallo che imperversava più degli altri, sicchè come male avvezzo in questi bisogni si moriva dl paura, e stette molte volte per cadere. Vi era anco il Duarte, Carlo Antonio Gambaloyta e Sinodoro Lavezzaro che gli portavano le lancie, altri non conobbi, credo che fossero Spagnoli. Erano vestiti di azurro, aveva, se bene mi ricordo, nel cimiero un coccodrillo che piangeva, con un motto che dlceva « l'uomo uccisi, il mangiai, mi piacque, or piango e nello scudo, David che con la fromba uccideva un gigante, egli aveva dinanzi un gran stuolo di trombetti, ma perchè sono per lo più, Spagnoli, non ebbi cura di conoscerli, o per dir meglio di raccordarmeli. So bene, perchè a questo posi mente che avevano nei guarnimenti, che dalle trombe pendevano, un Dedalo che da se si fabricava le ali per volare ognuno voleva interpretare il significato delle imprese, ma il Mantovano prevenne, e mi disse; e'par quasi che a questo uomo rincresca di essere stato contro il sig. d. Ferrando, non vedete che se ne vergogna, e confessa il delitto, e quasi ne chiede perdono: come, dissi io! rispose egli: il coccodrillo mangia gli uomini e poi gli piange, fa tuo conto che voglia dire « peccavi tradens sanguinem justum » quel tirar si lungi di fromba, ed uccider Golìa vuol dire, che con il mandar accuse alla corte ha ferito il Signore. Il Dedalo che si fabbrica le ali mostra che con propria industria è volato fuori della torre della povertà in che egli nacque, ma per troppo alzarsi, se gli potrebbe liquefar la cera al sole delle virtù del sig. D. Ferrando ed affogarsi, come Icaro, nel mare travaglioso degli affanni di questo mondo, che gli pare di aver già passato, e s'inganna. Aveva anche egli scritto un motto sopra la sua lancia che diceva « placida sub imagine amici, decipiam, dolus an virtus, quis in hoste requirat ». Era in quella di monsignor Bibienna « un uowicciol come io, s'alza da terra col dir de'grandi ed attaccar la guerra. Quella del Duarte «hic supremus honos genti debetur hiberae, vos latii agricolae, et veteres migrate coloni ». Aveva una medesima iscrizio

(1) Ibarra detto il contador, perchè era pagator generale delle milizie di Cesare in Piemonte.

(2) Francesco Bibiena questore del magistrato fu anch'esso uno de' Commissari e Prefetti dell'estimo.

ne nelle lancie il Gambaloyta, e Sinodoro, la quale diceva « impellit cupidos fallax nos cura peculi ».

po,

Non avevamo appena finito di veder questo poco, quando ci arrivò addosso d. Raimondo di Cardona (1) non men pulito degli altri. Era egli ed i suoi scudieri, e trombetti riccamente vestiti di un drappo in color d'oro, nel quale erano di rilievo figurati rami di persico, che a quei quadretti tutto lo distinguevano, e tra i rami erano i frutti di quell'albero si bene imitati che parevano naturali, nel mezzo de' quadretti era la Fortezza, che spezzava una colonna. Aveva per cimiero piume altissime e belle del medesimo colore, nel mezzo delle quali si vedeva il fulmine col fuoco e con l'ali; aveva nello scudo un lano con due faccie, e nei guarnimenti delle trombe, che avevano i suoi, un Perseo, che aveva con la spada ucciso il mostro, e liberata Andromeda. Qui ebbe a seguire non piccolo disordine perchè mi si era accostato uno Spagnuolo, che sentendo il Mantovano dar vergognose interpretazioni a quelle cose che aveva d. Raimondo d'intorno, la pigliò per lui molto calda. [11 Mantovano era anco egli ardito la sua parte: se io non mi mettevo in mezzo, era principio di una gran rissa. Voleva lo Spaguolo che a d. Raimondo convenisse il fulmine, come a capitano delle artiglierie del camIano perchè si persuadeva di essere persona che considera bene il presente, avendo ottimo risguardo anco al futuro. Voleva parimenti che Andromeda liberata dal mostro, fosse la provincia di Milano liberata dalla servitù del sig. d. Ferrando. Le foglie di persico e i frutti, per la lingua spedita e cuor vivace più di ogni altro, atteso che la foglia del persico si assimiglia ad una lingua, il frutto ad un cuore umano, e sapeva si ben dire i significati delle cose che pareva essere intervenuto alle invenzioni. Il Mantovano voleva che avesse il fulmine, perchè lo meritava, avendo così vituperosamente mancato al sig. d. Ferrando, e che le due faccie e molte lingue interpretassero poca vergogna, e molte bugie, gli molti cuori, perchè cento de' suoi non farebbero un buono, come mille de' conigli non farebbono quello di un leone. Voleva anche che la vergine Andromeda, significasse la innocenza liberata dal mostro della brutta congiura. Qui fu il tumulto, nondimeno io, come vi ho detto, non lasciai di seguir disordine; per questo non vi saprò dire i nomi de' trombetti, e di quei che gli portavano le lancie, che venghi il cancaro a quello Spagnolo che mi sturbò. So bene che egli aveva un motto nella lancia scritto, che diceva « irruite Hispani, et densis concurrite telis ».

(1) D. Raimondo Cardona militò molti anni sotto il comando di d. Ferrante: combattè alla Ceresola il 1544.

ANN. I. VOL. II.

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Seguiva il Vicario della provisione (1), del quale vi dirò poco, perchè non ha fatto poi nella giostra quella riuscita che da principio prometteva, anzi mi par vedere, che nel dar del premio non avrà ardire di comparire. Egli aveva per cimiero un libro de'conti, non so se dicesse o giornale o libro mastro. Aveva le tre parche che filavano nello scudo, ed i suoi trombetti avevano un Fetonte dipinto nel guarnimento delle loro trombe con un brieve che diceva « in magnis voluisse sat est ». Era egli ed il cavallo e tutti i suoi guarniti di un sottilissimo zendado di color della foglia che s'imbianca, e nella lancia aveva scritto « aude aliquid brevibus gyaris, et carcere dignum, si vis esse aliquid ». Non pensate che mi fossi scostato per quella briga dal Mantovano, ci eravamo ben tirati in parte dove lo Spagnolo non poteva più sentire, e benchè gli bollisse ancora l'animo per le parole avute con lo Spagnolo, nondimeno fece bocca ridente, e disse: quel libro altro non è che il registro delle sue tristezze, le parche la sua morte vicina, non vedi tu che su la rocca non vi è più stame di canape da tirar giù? perchè non dite lino dissi io? perchè non l'ho voluto agguagliare agli uomini dabbene, e del canape che su le rocce manca, glie ne hanno fatto un capestro, con che in breve sarà impiccato. Il Fetonte più di ogni altra cosa gli conviene, perchè la terra gira contra di lui, e Giove per la sua temeraria arroganza, presto lo fulminerà. Gli portavano le lancie Gio. Ambrogio Spanzotta, Alessandro Sola, Bartolomeo Zancate, ed alcuni altri avevano tutti questi scritto nella lancia un medesimo motto che diceva « vivamus socii, insubrum communibus herbis ».

S. III.
Incogniti

Seguiva uno degl'incogniti, che alla qualità della persona agli gesti ed al sembiante fu universalmente giudicato essere il principe di Ascoli (2), vestito egli e tutti i suoi di velluto more lo, tutto intertesto di un mirto implicato con rami di oliva, sicchè la maggior parte di quel velluto coprivano con bellissimo disegno. Aveva per cimiero il

(1) Il vicario di provisione era uno de' primi officiali così del banco di s. Ambrogio, come del tribunale di provisione fondato il 1364. che soprantendeva al ripartimento de'carichi, ed al regolamento dell'annona e de' pubblici forni. Latuada. descr. di Milano. T. I.

(2) Il principe d'Ascoli fu generale delle milizie di Lombardia dopo Emmanuel Filiberto.

Cerbero trifauce, che alla porta dell'inferno faceva la guardia, e nello scudo dipinte le Menadi, che coronate di pampani, e con aste in mano ornate d'edera cacciate da soverchio furore uccidevano Penteo, e come fiera selvatica lo stracciavano. Avevano i suoi trombetti che erano per lo più spagnoli, una nuvola nel guarnimento della tromba, della quale si formavano i centauri. Era nella sua lancia scritto «< Avrò quel luoco ancor se questi cede, che aver dee figlio del suo padre erede ". Avevano i suoi scudieri nelle lancie scritto « itala gens tandem virtuti cedat hiberae ». Volsi sapere dal Mantovano i misteri occulti di quelle imprese, ed egli mi disse: il mirto con l'uliva arguiscono che egli è uomo inclinato agli amori, e quiete per natura, ma cacciato da furor terribile uccide il proprio figlio, che è la gloria lasciatale dal padre, e con tutto questo non manca d'impregnar nuvole di disegni vani, che girano il capo, e generare centauri informi che sono pensieri mostruosi che lo condannano alla rota d'Isione; e come accomodate voi, diss'io, il Cerbero, che con tre bocche abbaja, e vieta il passar innanzi ? Non vedete voi che vuol dire, che spenderà la robba, e gli amici, che sono le tre teste, per vietare il ritorno di sua eccellenza: vorrebbe bene, disse il Mantovano, levar di qui il sig. d. Ferrando, perchè crede poter sperare un dì quel grado, il che lo mostra il motto scritto nella lancia, ma non vuole i disagj che gli vanno innanzi. Il Cerbero con tre capi, significa le tre necessità, che bisognano all'uomo di mangiare, bere e dormire, e che sia vero, Dante lo pose nel peccato della gola all'inferno, e non altrove, per questo lo porta il galantuomo, perchè egli è buon compagno, e gli piace il mangiare, il bere, ed il riposo. Volevo pure che mi soddisfacesse meglio, ma sopravvenne l'altro sconosciuto, con tanta pompa di trombe e scudieri, che ognuno stupì, ed io tacqui, e stetti a mirare con attenzione. Andò subito per le bocche degli uomini giudiziosi un universal consenso che fosse il presidente Grasso (1), che seco aveva tutto il magistrato delle entrate; non lo volevo credere quando cadde quasi la maschera dal viso al sig. Gabrio Panigarola, e io lo conobbi di certo, benchè egli si ricoprisse subito. Vidi poi anco un altro fare quasi il medesimo, e mi parve il Bibienna; che bisognano tante congetture? non si fece vedere scoperto l'Antoniano, che faceva quel dì officio di trombetta? non fece il medesimo Cristoforo Bissozzo, Alfonsino da Roh, e Gio: Battista Porro, che erano tra la turba de'trombetti, che gli andavano innanzi? Aveva egli per cimiero una gran coda di pavone, di che la celata era adorna, un squarcia foglio di carta pecora, che aveva inserito dall' uno e l'altro lato queste tre parole con lettere grandi e leggibili « gli ordini di Vor

(1) Francesco Grasso senator milanese, poi cardinale.

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