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IL SAGGIATORE GIORNALE ROMANO NUM. 11.

STORIA

DOCUMENTI DI STORIA CIVILE ED ECCLESIASTICA PUBBLICATI NELLO SPICILEGIUM ROMANUM DALL'EMINENTISSIMO MAI.

ART. III.

Le epistole degli uomini insigni per acutezza d'ingegno o per nobiltà di amicizie e di sequele, specialmente di coloro che la nominazione de' principi o il voto de' popoli promosse agli incarichi, alle ambascerie, al governo de' pubblici affari, spargono il più spesso grandissimo lume su la storia contemporanea: e però deono da'custodi degli archivi e delle biblioteche consegnarsi alla pubblica luce, ed interrogarsi accuratamente da chiunque prende a discorrere delle condizioni della umanità. Certo a tessere la storia degli anni ultimi del reggimento consolare in Roma bastano le epistole di Cicerone: e quelle di Cassiodoro molte cose rivelano intorno al regno di Teodorico, alla sapienza di Amalasunta, alla tirannide di Teodato: e quelle di Pier delle Vigne illustrano mirabilmente l'imperio di Federico II, e la guerra da lui combattuta col sacerdozio, e le relazioni sue con Luigi di Francia, e col comune di Firenze. Roma è pienissima di cosiffatti documenti: i papi che esercitavano influenze politiche così larghe ed efficaci in un mondo assai maggiore di quello che era il mondo romano, i cardinali chiamati quando a rappresentare un monarca, quanANN. I. VOL. II.

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do a presiedere un concilio, quando a deliberare intorno ad una guerra, ad un'alleanza, alla validità di un matrimonio reale, i re che quivi si posavano come a dire Giacomo II di Inghilterra, Cristina di Svezia, Casimira di Polonia, i nunzi che informavano la corte apostolica dello stato de' popoli, delle inclinazioni de' principi, de' procedimenti delle legazioni loro, forniscono a' nostri archivi una suppellettile immensa di lettere le quali se vedessero la pubblica luce, la storia ne sarebbe certo migliorata e compiuta: di che avemmo, riguardo all'Irlanda, un bello esempio nelle lettere che l'Aiazzi pubblicò, della nunziatura di monsignor Rinuccini.

Ne' codici vaticani esistono XI libri di lettere di Antonmaria Graziano vescovo amerino adorne delle più caste e sincere eleganze della latina lingua: delle quali aveva copia Girolamo Lagomarsino, come dice egli stesso in varî luoghi delle sue opere. Fu il Graziano dotto ed elegante scrittore, versatissimo nel governo degli ecclesiastici affari, dato compagno al cardinal Commendone da Pio V nella legazione di Polonia, e da Clemente VIII mandato nunzio apostolico a' Veneti. Sono queste lettere indirette a certo Nicolo Tomicio o Tomiski giovane polacco di chiarissimo sangue e figliuolo di Giovanni governatore di Varsavia: il quale dimorava in Padova a studio, e per consiglio del Commendone aveva rinunciato alla professione ereticale: e si allargano dall'ottobre del 1566 all'aprile del 1570 vale a dire comprendono tre anni e mezzo del pontificato di Pio V, tempo memorabile per la morte di d. Carlo, per le guerre intestine di Francia commosse ed alimentate dalla furia degli Ugonotti e dalla obliqua politica di Caterina de' Medici, per le perturbazioni civili della Scozia: e sfiorano in poche pagine la storia del tempo. Queste lettere pubblica il Mai nel volume VIII del suo spicilegium.

Nella V lettera del libro primo dopo aver riferito al suo Tomicio come dagli eretici era stato propinato alla regina

di Scozia il veleno che ella potè vincere con la prontezza ed efficacia de' farmachi, passa a descrivere la fierezza loro ed in questo proposito merita di essere recitato il seguente luogo che fedelmente, come gli altri, volgarizzerò. « Inorridisco a rammemorare quel tanto che da costoro fu fatto nelle guerre ultime di Francia, seppellite persone vive, altri legati agli alberi e sbranati dalle palle de' cannoni, ad altri strappate le membra e gittate a' cani, altri impesi in quelle parti nelle quali maggiore è la vergogna e il dolore, e mille altre guise di barbarie che dove portare chiunque cadde nelle costoro mani sacrileghe. Ma queste cose benchè opera di inudita fierezza contro privati uomini furono commesse, e nello incendio della guerra di cui fu sempre grandissima ed irrefrenabile la licenza. Se poi ogni uomo scelleratissimo invade armata mano i re, se lecito è apprestar veleni, di cui sarà sicura a bastante la vita »>?

Nella II lettera del libro quarto narra le profferte che Ferdinando imperatore fece alla regina Elisabetta d'Inghilterra, di congiungerle in matrimonio Carlo arciduca suo figliuolo e cugino al re Filippo II del quale ella pregiava la persona e l'ingegno: ma osserva che la scaltra donna intendendo quanta sia la differenza tra regina e moglie di re, dava, secondo la comune estimazione, buone parole e non altro; ed avversando il matrimonio accettava pratiche di nozze, a fine di gratificare a' sudditi suoi che la eccitavano continuamente a trovarsi un egregio compagno negli uffici del talamo e del governo. Il fatto comprovò quanto accorta fosse la osservazione del Graziano e quanto fondata la estimazione degli uomini (1).

Nella X lettera dell'istesso libro avendo detto dell'ani

(1) II Graziano dice « ea de re regina speciosam Caesari legationem misit »: il che si accorda con quello che narra il Lingard, vale a dire che la regina a fece intendere il suo desiderio di vedere l'arciduca in Inghilterra ». Storia d'Inghilt. T. 6. p. 466.

mo che aveva Pio V, inchinatissimo ad aiutare di milizie e di denaro il re Carlo di Francia combattuto e quasi oppressato dagli Ugonotti, narra il consiglio che tenne sua beatitudine co' cardinali intorno a' modi di provvedere alla povertà del pubblico erario. Propose papa Pio di imporre la ducentesima su le possessioni di coloro che soggetti erano al dominio della chiesa romana: il quale parere fu mantenuto con molta eloquenza dal cardinale di s. Clemente. Per contrario il Savelli non tanto recitava il parer suo quanto impugnava quello del s. Clemente: e lui favoreggiavano apertamente i cardinali ligi al Farnese che non era venuto al consiglio, ed i cardinali romani che affermavano questa riscossione di ducentesima dover essere troppo grave a' possessori de' fondi, non ripensando che l'erario pontificio era divenuto a tanta strettezza perchè papa Pio con moderazione paterna aveva menomato i tributi ancora legittimi ed ordinari. Altri de' cardinali gittavano dubitazioni, non proponevano sentenze. Interrogato il Commendone disse non doversi guardare solo alla presente necessità ma si pure alla futura, inevitabile e certa quando non si proveda alla presente: questa inopia dell'erario essere tale un nodo da doversi sgroppare senza indugio: la specie del tributo che era proposta dal s. Clemente, essere giusta come quella che si estendeva a tutti e si proporzionava alle proprietà di ciascuno : solo una cosa sopraggiunse che coloro i cui fondi si trovassero inferiori al valor capitale di cinquecento scudi d'oro, pagassero alla camera apostolica la quattrocentesima. «< Tutti i cardinali, conchiude il Graziano, a cui dopo il Commendone toccò la volta del consigliare, nel suo parere si adagiarono: e papa Pio comandò di presente che se ne facesse il decreto, e s'intimasse il tributo e si desse a' questori la facoltà e lo incarico delle riscossioni ».

Ma è pregio dell'opera riferire alla distesa il brano della prima lettera del libro sesto in che si descrive la pri

gionia di d. Carlo di Spagna, avvenimento principalissimo che diede materia a molte divinazioni degli storici, a molte favole de' poeti. « Di presente il re di Spagna manda incarcerare Carlo unico figliuolo ed erede di tanta fortuna. Che cosa abbia indotto il padre a così severo decreto intorno al figliuolo, o s'ignora o si tace. Molte cagioni da molti si spargono, che abbia vagheggiato il reame, o cospirato nella morte del padre, o di nascosto fatta alleanza col Condè e con gli esuli belgi: nulla di certo. I più accorti ogni cosa attribuiscono alla leggiera indole del giovanetto nel quale furono spesso avvisati indizi molti di mente turbata ed imbecille, occultati, è vero, diligentissimamente, ma pure noti a molti: il perchè si crede che più facilmente gli Ugonotti, i quali non si passano di alcuna scelleraggine, lo abbiano eccitato contro il padre..... Il 17 gennaio, di notte, il re accompagnato da quattro cortigiani principalissimi si recò dal figliuolo, ed appena entrato nella stanza tolse di sua mano la spada, che presso il letto era sospesa. Si risveglia Carlo e veduto il padre e impaurito dalla novità del fatto, balza di letto, e vedendo che le armi gli erano state tolte, ed egli stesso era prigione, si prova di gettarsi dalla finestra: ma tenuto da' cortigiani tenta di buttarsi nel fuoco, che sul primo venire del re i domestici avevano acceso: il che pure non essendogli riuscito, gettatosi a' ginocchi del padre, perché, disse, non comandi che mi sia tolta la vita? A cui il re, non turbarti, rispose, o figliuolo: chè queste cose pure si fanno per tuo bene. Ultimamente tolti via gli armari, gli scrigni, le lettere ed ogni altra scrittura e condotto Carlo nella vicina stanza le cui finestre erano alte, anguste e guernite di ferro, rassegnò la guardia del figliuolo a quegli stessi cortigiani principalissimi che con esso lui erano venuti, specialmente al Ruy Gomez a cui fida molto e che, conforme il regio comandamento, dimora nelle stanze vicine alla prigione di Carlo ».

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