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chi sarà mai, che creda che e popoli e ville e città nobilissime siano sepolte, come veramente vi sono non solo quelle, che dalle arse pomici e dalla ruina del monte furon coperte, ma questa, che d'innanzi ne vedemo? La quale senza alcun dubbio celebre città un tempo nei tuoi paesi chiamata Pompei, ed irrigata dalle onde del freddissimo Sarno, fu per subito terremoto inghiottita dalla terra, mancandole, credo, sotto ai piedi il firmamento, ove fondata era. Strana per certo, ed orrenda maniera di morte, le genti vive vedersi in un punto tôrre dal numero de' vivi! Se non che finalmente sempre si arriva ad un termino, nè più in là che alla morte, si puote andare. E già in queste parole eramo ben presso alla città, che lei dicea; della quale e le torri e le case e i teatri e i templi si poteano quasi integri discernere. Maravigliaimi io del nostro veloce andare, che in si breve spazio di tempo potessimo da Arcadia insino qui essere arrivati; ma si potea chiaramente conoscere, che da potenzia maggiore che umana eravamo sospinti. Così a poco a poco cominciammo a vedere le picciole onde di Sebeto. Di che vedendo la Ninfa che io mi allegrava, mandò fuore un gran sospiro, e tutta pietosa ver me volgendosi, mi disse: Omai per te puoi andare; e così detto, disparve, nè più si mostrò agli occhi miei. Rimasi io in quella solitudine tutto pauroso e tristo, e vedendomi senza la mia scorta, appena arei avuto animo di movere un passo, se non che dinanzi agli occhi mi vedea lo amato fiumicello. Al quale dopo breve spazio appressatomi, andava desideroso con gli occhi cercando, se veder potesse il principio, onde quell'acqua si movea: perchè di passo in passo il suo corso pareva che venisse crescendo, ed acquistando tuttavia maggior forza. Così per occulto canale indrizzatomi, tanto in qua ed in là andai, che finalmente arrivato ad una grotta cavata nell'aspro tufo, trovai in terra sedere il venerando Iddio, col sinistro fianco appoggiato sovra un vaso di pietra, che versava acqua; la quale egli in assai gran copia facea maggiore con quella, che dal volto, da' capelli e da' peli della umida barba piovendogli continuamente vi aggiungeva. I suoi vestimenti a vedere parevano di un verde limo; in la destra mano teneva una tenera canna, ed in testa una corona intessuta di giunchi e di altre erbe provenute dalle medesime acque; e d'intorno a lui con disusato mormorio le sue Ninfe stavano tutte piangendo, e senza ordine o di

gnità alcuna gittate per terra, non alzavano i mesti volti. Miserando spettacolo, vedendo io questo, si offerse agli occhi miei; e già fra me cominciai a conoscere per qual cagione innanzi tempo la mia guida abbandonato mi avea. Ma trovandomi ivi condotto, nè confidandomi di tornare più indietro, senza altro consiglio prendere, tutto doloroso e pien di sospetto mi inclinai a baciar prima la terra, e poi cominciai queste parole: O liquidissimo fiume, o re del mio paese, o piacevole e grazioso Sebeto, che con le tue chiare e freddissime acque irrighi la mia bella patria, Dio ti esalti: Dio vi esalte, o Ninfe, generosa progenie del vostro padre: siate, prego, propizie al mio venire; e benigne ed umane tra le vostre selve mi ricevete. Basti fin qui alla mia dura fortuna avermi per diversi casi menato; ormai, o riconciliata o sazia delle mie fatiche, deponga le arme.

SCRITTORI VARI,

GIOVANNI DOMINICI. Giovanni Dominici nacque in Firenze circa il 1356. Di 17 anni entrò nell'ordine de' domenicani, del quale fu poi riformatore zelantissimo. Edificò il convento di San Domenico di Fiesole ove, tra gli altri, ricevè all'abito domenicano quegli che fu poi Sant'Antonino arcivescovo di Firenze. Nel 1391 andò lettore a Venezia e vi rimase quasi senza intervallo fino al 1399, quando ne fu bandito come fautore delle famose processioni dei Bianchi. Nel 1406 dalla Signoria di Firenze fu inviato a Roma alla corte pontificia, ed ivi eletto arcivescovo di Ragusa; nel 1408 fu fatto cardinale. Sostenne ufficj importantissimi per l'amicizia e la stima che ebbe sempre per lui Gregorio XII, e fu legato apostolico al Concilio di Costanza. Morì a Buda l'anno 1420. Fu celebre come oratore: e biasimò ugualmente la corruzione de' monasteri e le vanità mondane. Di lui abbiamo a stampa in volgare la Regola del governo di cura familiare, scritto a petizione di madonna Bartolommea degli Alberti, stampato la prima volta da DONATO SALVI (Firenze, Garinei, 1860); una Lettera a messer T. Tommasini, che narra un viaggio a Perugia, stampata a Bologna (Romagnoli, 1864), per cura dello Zambrini, con altre Lettere a varie persone, da aggiungersi alle ventuna pubblicate dal BISCIONI fra quelle di Santi e Beati fiorentini, e finalmente il Libro d'amore di carità, indirizzato esso pure a una gentildonua, riprodotto testè da ANTONIO CERUTI su stampe antiche e codd. (Bologna, Romagnoli, 1889). Del suo modo di scrivere dice a ragione il CAPPONI (Storia della Repubblica di Firenze, I, 533), ch'egli aveva la buona

lingua popolana dalla culla, ma poi formava lo stile in gran parte sulla latinità dei Padri e degli Scrittori ecclesiastici. E la schiettezza della parola, insieme colla pietà de' sensi e degli affetti, si vede anche in una Lauda, che riproduciamo dalla raccolta di Laudi del 1489, e che si trova spesso erroneamente attribuita a Jacopone da Todi.

[Sulla vita del Dominici, v. la biografia premessa dal SALVI alla Regola ec., e H. V. SAUERLAND, Card. G. Dominici; Gotha, 1887.]

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Consigli ad una madre per l'educazione morale e religiosa e l'istruzione letteraria e civile de' figli. — A' maschi sanza fallo si vorra fare insegnare a leggere più onestamente si potrà. E stando il mondo come sta, il porrai a gran pericolo se il mandi ad imparare con religiosi o chierici; son tali quali,1 e poco v'imparerà. Anticamente con questi crescevano i buoni figliuoli, e facevansi i buoni uomini; ora ogni cosa è terra, e fa fieno da cavagli, e fuoco e altro. Se il mandi alla comune scuola, dove si rauna moltitudine di disfrenati, tristi, labili al male ed al bene contrarj o difficili, temo non perda infra un anno la fatica di sette. E tenendo maestro a lor posta, ci sono dimolti dubbj e contradizioni. Sia tu sollecita in ogni caso amunirlo quando torna a casa, e quando di lui o di loro puoi aver copia; si che per te non rimanga esso non fugga il veleno gli è posto innanzi, ed al quale lo 'nchina la corrotta natura, pronta alle iniquirà per lo vizio del contratto peccato originale. Non essere piatosa a gastigarlo quando offende Dio, in qualunque eta si sia; nè ancor si crudele che tu il faccia da te fuggire. E sia abile di premiarlo quando fa bene; acciò s'accenda, o per amor delle scarpette nuove, o nuovo calamaio, o tavola di gesso, o altre cose gli sieno di bisogno e a lui grate, a far meglio. Ogni fatica desidera essere premiata, e il fanciullo ama doni e remunerazioni. Intendo3 i nostri antichi viddeno lume dottrinando la puerizia, e i moderni fatti son ciechi, fuor della fede crescendo lor figliuoli. La prima cosa insegnavano era il saltero e dottrina sacra; e se gli mandavano più oltre, avevano moralità di Catone, fizioni d'Esopo, dottrina di Boezio, buona scienza di Prospero tratta di Santo Agostino, e filosofia d' Eva columba, o Tres leo naturas, con un poco di poetizzata Scrittura santa nello Aethiopum terras; con simili libri, de' quali nullo insegnava mal fare. Ora si crescono i moderni figliuoli, e cosi invecchia l'apostatrice natura nel grembo degl' infedeli, nel mezzo degli atti disonesti sollicitanti la ancora impotente natura al peccato, ed insegnando tutti i vituperosi mali si possono pen

1 Così, così.

2 Puoi trattenerti con essi a tutt' agio.

3 Supplisci qui e altrove un che.

sare, nello studio d'Ovidio maggiore, delle pistole, de arte amandi, e più meretriciosi suoi libri e carnali scritture. Così si passa per Vergilio, tragedie e altri occupamenti, più insegnanti d'amare secondo carne, che mostratori di buon costumi. E che peggio è, quella teneruccia mente si riempie del modo del sacrificio fatto agli falsi iddii, e riverenzie grandi, udendo di loro falsi miracoli e vane transmutazioni: prima diventando pagani che cristiani, e prima chiamando Dio, Juppiter o Saturno, Venus o Cibeles, che il sommo Padre, Figliuolo e Spirito santo: donde procede, la vera fede essere dispregiata, Dio non riverito, scognosciuto il vero, fondato il peccato. E più si studia ancora da' vecchi secolari e falsi regolari nel paganesimo che nel cristianesimo; e assai te lo dimostrano quegli che son chiamati predicatori, dando di quello tesoro hanno nel cuore. Nella lingua de' quali ballano filosofi e poeti con favole, e non vi s' appicca verità con intelletto di scrittura santa.

La quarta regoluzza, confortativa della minore età, è de'giuochi e sollazzi puerili, come richiede tale età; e si per lo sangue bolle e chiede movimento, e la natura che cresce, fa correre e saltare, e la fantasiuccia comincia a lavorare, vorrebbe frascoline: e l'abbondanzia degli omori, perchè non diventino putridi, hanno bisogno di fatica, sudore e affanni. Però volendo dargli quello gli bisogna, pensa in questa parte si parla come si debbe allevare a Dio; e prudentemente t'ingegna di farlo correre, saltare, giucare e trastullare, si che da Dio non si parta ma si congiunga. Se tu il volessi avere generato a barattieri, insegnali o lascialo giucare a' punti segnati ne' noccioli divisi; e se giucherà di danari, o così o alle carte, gli apparecchierai la via delle forche. Comperandoli la spaduccia o vero la daga, sarà nato a' soldati. Facendolo ballare colle fanciulle, e questo e quelle saranno nutricati alla fetida carne. Ma farai uno altaruzzo o due in casa, sotto titolo del Salvatore, del quale è la festa ogni domenica: abbivi tre o quattro dossaluzzi variati, ed egli, o più, ne sieno sacrestani; mostrando loro come ogni festa debbano variatamente adornare quella cappelluzza. Alcuna volta saranno occupati in fare grillande di fiori e d'erbe, e incoronare Jesù, adornare la Vergine Maria dipinta, fare candeluzze, accendere o spegnere, incensare, tenere pulito, spazzare, parare gli altari, comporre de' candelieri di fuscelli di cera, di terra; sievi la campanuzza; corrino a sonare tutte l'ore, come sentono nelle chiese; possansi parare con le càmice come accoliti; cantinvi come sanno, parinsi a dir messa, e sieno menati alcuna volta alla chiesa e loro mostrato quel che fanno e' veri sacerdoti, acciò imparino a contraffargli ;2 e così va

1 Sottintendi un che dopo sangue, e dopo fantasiuccia,

2 A imitarli,

riatamente quanto si può sieno occupati con amore circa il divino santuario, lasciandogli guastare le frascoline loro faranno,1 acciò abbin bisogno di rifarle .

Quanto tempo si perde in pettinargli spesso, tener biondi i capelli, se son femmine, e forse ancora fargli ricciuti! Quanto studio d'insegnare: fa' buona vita; sta' cortese; fa' di ginocchino! 2 Quanto si vaneggia e spende a fare le berrettuccie ricamate, mantellucci inarientati, gonnelluccie accincigliate, culle intagliate, scarpettuccie dipinte e calze solate! Che s'avanza ne' cavallucci di legno, vaghi cembali, uccellini contraffatti, dorati tamburelli e mille differenzie di giocucci, tutti a vanità nutricanti? Or come ben guadagni e lavori tutto l di tenergli in collo, baciargli, cantare la canzone, narrare bugiarde favole, far paura con trentavecchie, ingannare, con essi fare a capo nascondere, e tutta sollecitudine porre in fargli belli, grassi, lieti e ridenti, e secondo la sensualità in tutto contenti? Or se tanto tempo e prudenzia circa lor ponessi per fargli virtuosi, non ti parrebbe impossibile, e avanzeresti molto più tempo non si fa, e da Dio se ne riceverebbe buon premio, e poi sempre ne goderebbe l'anima in paradiso della presenzia de' suoi dolci diletti! . .

Voglia ancora ti faccino riverenzia i tuoi figliuoli con atti corporali, ed oltre le comuni riverenzie oneste e buone: di non sedere sanza comandamento nella presenzia de genitori, stare ritti e cortesi, inchinare il capo umilmente a ciascuno comandamento, e fare debita riverenzia di cappuccio. Attendi ad una che giova sopra l'altre, e fagli diventare dentro e di fuori felici. Questa é, che almeno due volte il di, la sera quando vanno a dormire e la mattina quando vanno fuori, e debitamente aggiungo la terza, quando dopo mangiare ritornano fuori, e se femmine sono o tali che stieno in casa, quando si coricano e quando si lievano, s'inginocchino con tutta riverenzia a' piè' tuoi o del padre o d'amenduni, e domandino la benedizione; la quale umilmente da', e sostieni tale riverenzia umilmente, non per te, ma per loro. Dica inginocchiato benedicite, e tu soggiugni quella benedizione credi a Dio essere più grata e utile a' figliuoli; come di dire: Dio ti benedica di benedizione eterna, o: La grazia di Dio sia sempre teco, o veramente: Dio ti riempia delle sue sante benedizioni l'anima e il corpo, o ancora: Dio ti faccia grazioso a se e agli uomini, o: Dio ti faccia tale quale ti voglia per la gloria sua; mutandola secondo i casi occorrenti. E tale benedizione ricevuta, chini il capo; e levandosi, baci la

1 Quegli altarini e le altre cosucce sacre ch'essi faranno.
Fa'un piccolo inchino.

Accincigliate, cioè con cincigli o fronzoli: solate, colla suola.
Che si guadagna? che utile, che vantaggio c'è, ec.

5 Trentavecchie, come trentadiavoli,trentamila ec.: spauracchi pei fanciulli.

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