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lece, mi messe dentro per la porta di Granchio . Quivi vidi io l'anime di tutti i cittadini, che hanno nel mondo con giustizia governato le loro repubbliche, fra' quali conobbi Fabrizio, Curio, Fabio, Scipione è Metello, e molti altri che, per salute della patria, loro e le loro cose posposono . . Carlo, tutto lieto, a me rivolto disse: . . Nulla opera fra gli uomini può essere più ottima che provedere alla salute della patria, conservare le città e mantenere l'unione e concordia delle bene ragunate moltitudini: in nelle quali cose chi si esercita innanzi ad ogn'altro, in queste divine sedie, come in loro propria casa, eternalmente con gli altri beati contenti viveranno Dante, inteso con maraviglia tutte queste cose, volle rispondere: E poi che tu mi hai significato tanto eccellente premio, con ogni diligenzia io mi sforzerò seguire in questo. Ma il cominciare e cadere il corpo del suo amico morto, fu in uno tempo. Onde, poi ebbe assai in vano aspettato si rilevasse, provide alla sepultura, e ritornossi allò esercito.

ALESSANDRA MACINGHI-STROZZI. Nacque nel 1407, e nel 1422 era sposata a Matteo Strozzi. Ebbe numerosa figliolanza; quattro femmine e cinque maschi. Il marito, esiliato nel novembre 1434 da Firenze, lasciandovi l'Alessandra con cinque figli, andò a Pesaro dove morì di pestilenza, e con esso morirono anche tre figli; e le spoglie di tutti l'Alessandra ricondusse a Firenze, dove visse con sottile industria, sollecita solo del bene de' suoi. Delle due figliuole maritò Caterina con Marco Parenti, Alessandra con Giovanni Bonsi. I figliuoli furono esiliati nel 1458, e di essi, Filippo andò a Napoli, dove insieme con Matteo e con Lorenzo, che era stato a Valenza, Barcellona, Avignone, Bruggia, attese al commercio. Qualche volta furono a Firenze per riveder la madre che, sperando prossimo il loro ritorno, li attese in patria, dove per grazia di Piero de' Medici, che levò loro il bando, poterono essi, salvo Matteo morto nel '59, tornare nel 1466. Volle la buona madre provveder di buone mogli i figliuoli, e vide rifarsi e crescere la dispersa famiglia: mori l'11 marzo 1471 e fu sepolta in Santa Maria Novella. Restano di questa madre amorosa 72 lettere, dall'agosto 1447 all'aprile 1470, dirette ai figliuoli esuli e lontani, che con belle illustrazioni furono pubblicate da C. GUASTI col titolo: Lettere di una gentildonna fiorentina del secolo XV (Firenze, Sansoni, 1877). In aggiunta a queste ne pubblicò un'altra I. DEL LUNGO (Firenze, Carnesecchi, 1890). Esse, oltre all'importanza propria a siffatti documenti domestici, hanno grande schiettezza e candore di lingua e di stile; e porgono immagine del comune parlare fiorentino del tempo, senza orpello di cercati ornamenti. Nella Lettera che riferiamo si vedrà come riflessa l'immagine dell' Alessandra; tenera madre, provvida massaja, caritatevole ai poveri, fervida credente.

Lettera a Filippo degli Strozzi, in Napoli. —Al nome di Dio. A di 6 di settembre 1459. Figliuol mio dolce. Ensino a di 11 del passato ebbi una tua de'29 di luglio, come el mio figliuolo caro e diletto Matteo s'era posto giù ammalato: e non avendo da te che male si fussi, senti' per quella una gran doglia, dubitando forte di lui. Chiama' Francesco, e mandai per Matteo di Giorgio; e intesi d'amendue come el mal suo era terzana: che assai mi confortai, però che delle terzane, non s'arogendo1 altra malattia, non se ne perisce. Di poi, al continovo da te son suta avvisata come la malattia sua andava assottigliando: che pur l'animo, ben che avessi sospetto, mi s'allegierava un poco. Dipoi ho come addi 23 piacque a Chi me lo diè di chiamallo à sè, con buon conoscimento e con buona grazia e con tutti e' sagramenti che si richiede al buono e fedele cristiano. Per la qual cosa ho auto un'amaritudine grandissima dell'esser privata di tale figliuolo; e gran danno mi pare ricevere, oltre all'amore filiale, della morte sua; e simile voi due altri mia, che a piccolo numero sete ridotti. Lodo e ringrazio Nostro Signore di tutto quello ch'è sua volontà; chè son certa Iddio ha veduto che ora era la salute dell'anima sua e la sperienza ne veggo per quanto tu mi scrivi, che così bene s'accordassi a questa aspra e dura morte: e così ho 'nteso per lettere, che ci sono in altri, di costà. E bene ch'io abbia sentito tal doglia nel cuore mio, che mai la senti' tale, ho preso conforto di tal pena di due cose. La prima, che egli era presso a di te; chè son certa che medici e medicine e tutto quello è stato possibile di fare per la salute sua, con quegli rimedi si sono potuti fare, si sono fatti, e che nulla s'è lasciato indrieto per mantenergli la vita; e nulla gli è giovato: chè era volontà di Dio che così fussi. L'altra, di che ho preso quieta, si è della grazia e dell'arme che Nostro Signore gli diè a quel punto della morte, di rendersi in colpa, di chiedere la confessione e comunione e la strema unzione: e tutto intendo che fece con divozione; che sono segni tutti da sperare che Iddio gli abbia apparecchiato buon luogo. E pertanto, sapendo che tutti abbiano a fare questo passo, e non sappiano come, e non siano certi di farlo in quel modo che ha fatto el mio grazioso figliuolo Matteo (chè chi muore di morte sùbita, chi è tagliato a pezzi; e così dimolte morte si fanno, che si perde l'anima e 'l corpo), mi do pace, considerando che Iddio mi può far peggio: e se per sua grazia e misericordia mi conserva amendua voi mia figliuoli, non mi dorrò d'alcun' altra afrizione. Tutto el mio pensiero è di sentire

1 Non aggiungendosi.

2 Consentisse col cuore.

8 Da lettere di Napoli venute ad altri in Firenze.

Abbiamo, alla fiorentina: e così sappiano, e siano, gittiàno ec.
Pronunzia fiorentina di afflizione,

che questo caso tu lo pigli pel verso suo: chẻ sanza dubbio so che t'è doluto; ma fa' che non sia en modo che t'abbia a nuocere, e che non gittiàno el manico dirieto alla scure: chè non ci è ripitio niuno nel suo governo: anzi è suto di volontà di Dio ch'egli esca delle sollecitudine di questo mondo pieno d'affanni. E perchè veggo, per la tua de' 26 detto, avere di questo caso tanta afrizione nell'animo tuo e nella persona; che m'è suto, ed è, e sarà insino ch'io non ho tue lettere che tu pigli conforto, tal pena, che m'ha a nuocere assai. E non piaccia a Dio che i' viva tanto ch'i' abbia aver più di queste! Considero che avendo auto el disagio delle male notti, e la maninconia della morte e dell'altre cose, che la persona tua non de' stare troppo bene: e tanto mi s'avviluppa questo pensiero el di e la notte pel capo, che non sento riposo. E vorrei non avere chiesto consiglio a persona; anzi, aver fatto quello che mi pareva, e volevo fare: chè sarei giunta a tempo ch'io arei veduto e tocco el mio dolce figliuolo vivo, e are' preso conforto, e datone a lui e a te. Voglio riputare tutto pello meglio. Vo'ti pregare (s' e' mia prieghi possono in te, come i' credo) che tu ti conforti avere pazienza per amore di me; e attendi a tutta la salute della tua persona, e poni un poco da parte le faccende della compagnia. E sare' buono a purgarti un poco, pure con cose leggeri; e poi pigliare un po'd'aria, se per niun modo potessi: ricordandoti, che abbi più caro la tua persona che la roba; che, vedi, tutto si lascia! Ed io, madre piena d'affanni, che ho a fare sanza voi? Ch'è a me sentire facciate della roba assai, e per essa vi maceriate la persona vostra con tanti disagi e sollecitudine? Duolmi, figliuol mio, ch'i'non sono presso a te, che ti possa levare la fatica di molte cose, che aresti di bisogno che dovevi, el primo di che Matteo 'malò, dirmi en modo ch'i'fussi salita a cavallo, che 'n pochi di sarei suta costi. Ma i' so che per paura ch'io non ammalassi e non avessi disagio, nollo facesti: e i'n ho più nell'animo, 5 ch'io no' n' arei auto nella persona. Ora di tutto sia Iddio lodato, chè per lo meglio ripiglio tutto.

Dello onore che ha fatto nel seppellire el mio figliuolo, ho 'nteso che ha fatto onore a te e a lui: e tanto più ha fatto bene a onorallo costì, chè di qua non si costuma, di quegli che sono nel grado vostro, farne alcuna cosa. E così ne sono contenta che abbi fatto. Io di qua, con queste due esconsolate figliuole, della morte del lor fratello ci siano

1 Che non si perda tutto, il rimanente.

Non c'è nulla da rimproverarsi rispetto alla cura adoperata per

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• Della società di banchieri, di che faceva parte.

3 Sottintendi disagio.

6

• Il Comune non permetteva onoranze mortuarie per gli sbanditi.

vestite e perch' io non avevo ancora levato2 el panno per farmi el mantello, l'ho fatto levare ora; e questo pagherò io. E braccia tredici di panno do per una di loro; che costa, a danari contanti, fiorini quattro e un quarto la canna; che sono in tutto canne sei e mezzo. Questo farò pagare a Matteo di Giorgio, e da lui ne sara' avvisato.

5

La copia della sua volontà ho veduta; e così si vuole mettere in asseguzione, più presto che si può, quello che è per soddisfacimento dell'anima sua. L'altre parti più a bell'agio si possono fare; e di così ti priego che faccia, e me avvisa se nulla posso far qua; che ci è una sorella del tuo ragazzo che avesti di qua, che è maritata, e none può andare a marito, che è una gran povertà la sua. Per altre te l'ho raccomandata, e mai n'ebbi risposta. Ora essendo questo caso, si vuole aiutarla: che sono in tutto fiorini quindici e non voler mancare. E in caso che del suo non vi fussi tanto, che si potessi fare quello che lascia e questo, volo fare di mio, o vo fare del tuo; chè tanto è una medesima cosa. Sieti avviso, e avvisa come sta, e quello si può fare.

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Veggo Niccolò era malato di terzana; che, oltre alla pena mia, ho auto dispiacere per più rispetti. A Dio piaccia per sua misericordia liberarlo.

Da messer Giannozzo ho per sua benignità una lettera, che n'ho preso assa' conforto, veduto l'affezione e amore ti porta, e con quanta carità e con quanti assempri m'induce aver pazienza. Che Iddio gliene renda merito. E perch'io non mi sento di tale virtù, ch'io sapessi e potessi fare risposta a un tanto uomo quanto è lui, me ne starò; ma tu per mia parte gli fa quel ringraziamento che t'è possibile. E me avvisa, e spesso, come ti senti: che Iddio me ne mandi quello disidero; chè, perch'io sia usa avere delle avversità pe'tempi passati, queste mi fanno più sentire. Ancora ringrazia per lettera Bernardo de' Medici; chè non ti potre' dire con quanto amore mi venne a vicitare e confortare, e quanto si duole del caso e della passione nostra. Non dirò più per questa, per non ti dar tedio a leggere; se non ch'io aspetto tue lettere che ti conforti, e di sentire che tu sia sano: che Gesù benedetto ce ne conceda la grazia, come disidero. Per la tua poverella Madre, in Firenze.

1 Intendi a bruno.

2 Oggi staccato, cioè preso, tolto dalla bottega del mercante.

3 Del testamento.

Servitore.

5 Promessa sposa, ma non ancora andata a marito.

6 Intendi: se nel testamento non vi fosse tanto da provvedere ai lasciti e a quest'opera di carità da lei proposta.

7 Giannozzo Manetti, chiaro cittadino e letterato. 8 Che mi annunzino che tu ti conforti.

9 Scritta dalla cc.

FEO BELCARI. Di nobil famiglia nacque Feo Belcari, figlio di Feo di Jacopo (Coppo), il 4 febbraio 1410 in Firenze. Fu uomo di gran pietà e religione, ma non rinunciò alle cose del mondo; fu ammogliato e tenne anche parecchi pubblici ufficj; nel 1455 fu de' priori, nel 1468 de' gonfalonieri di Compagnia. Fu presente nel 1436, il 25 marzo, alla consacrazione della metropolitana fiorentina; nel 1453 fece erigere un altare nel tempio di Santa Croce, in onore della b. Umiliana de' Cerchi. Fu strettamente legato alla famiglia de' Medici. Mori in Firenze il 16 agosto 1484, e fu sepolto nella sagrestia di Santa Croce.

Molto scrisse, in verso e in prosa. In poesia, Rappresentazioni sacre (il suo Abramo ed Isac recitato nel 1449 è il primo componimento di questo genere di cui conosciamo la data), Laudi spirituali, sonetti, ec. In prosa lasciò, oltre a minori scritti, lettere, volgarizzamenti dal B. Jacopone, e il Prato spirituale (1444) raccolta di leggende tradotte dal latino, in cui erano già state tradotte dal greco per cura di Ambrogio Traversari. È tenuta in pregio soprattutto la Vita del beato Giovanni Colombini, il quale nella seconda metà del secolo precedente aveva fondato in Siena l'ordine de' Gesuati; ad essa aggiunse le Vite di alcuni de' primi gesuati e di Fra Egidio. Nella Vita del Colombini (1449) si giovò specialmente di un breve compendio che della vita del medesimo Colombini aveva scritto in latino il beato Giovanni da Tossignano. Il Belcari come prosatore si avvicina alla semplicità dei trecentisti, e ci ricorda la lingua e lo stile delle Vite de' Santi padri ; sicchè il Giordani ebbe a dirlo un arancio in gennaio, un frutto del trecento nel quattrocento. (Opere, XIII, 349). Di lui riferiamo anche un brano della Rappresentazione di Abramo ed Isac, che servirà pure a dar saggio di questo genere di drammatica popolare fiorentina, rimandando per ciò che spetta alle prime forme e alle posteriori ampliazioni agli studj sulle Origini del Teatro Italiano di A. D'ANCONA, Torino, Loescher, 1891.

[Prose edite e inedite di Feo Belcari per cura di OTTAVIO GIGLI, Roma, Salviucci, 1843-44; e vedi ivi le notizie biografiche Compilate da A. G. GALLETTI. Per la bibliografia delle edizioni delle varie opere, v. GAMBA, Notizia intorno alle opere di F. B., Milano, 1808. Sulla Vita del Colombini, v. L. ALBERTAZZI, in Propugnatore, XVIII, 231 e segg.]

Conversione di Giovanni Colombini a Dio. - Nell'anno del Signore 1355 essendo un giorno tornato Giovanni a casa con desiderio di prestamente mangiare, e non trovando (com'era usato) la mensa e i cibi apparecchiati, s' incominciò a turbare colla sua donna e colla serva, riprendendole della loro tardità, allegando che per strette cagioni gli conveniva sollecitarsi di tornare alle sue mercanzie. Al quale la donna benignamente rispondendo, disse: Tu hai roba troppa e

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