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Per questo molto a me sarà grato vedere, a te sia in odio questi gesti leggieri, questo gittare le mani quà e là, questo gracchiare, quale fanno alcune treccaiuole1 tutto il dì, e in casa e all'uscio e altrove con questa e con quella, dimandando e narrando quello che le sanno e quello che le non sanno; imperò che così saresti reputata leggiera e cervellina. Sempre fu ornamento di gravità e riverenzia in una donna la taciturnità; sempre fu costume e indizio di pazzerella il troppo favellare. Adunque a te piacerà, tacendo, più ascoltare che favellare; e, favellando, mai comunicare e' nostri segreti ad altri, nè troppo mai investigare i fatti altrui. Brutto costume, e gran biasimo a una donna, star tutto il dì cicalando, e procurando più le cose fuori di casa, che quelle di casa! Ma tu con diligenzia, quanto si richiede, governerai la famiglia, e conserverai e adoprerai le cose nostre domestiche bene . . .

.... Dissili: Moglie mia, reputa tuo uflizio porre modo e ordine in casa, che niuno mai sia ozioso; a tutti distribuisci qualche a lui condegna faccenda: e quanto vederai fede ed industria, tu tanto a ciascuno commetterai ;2 e dipoi spesso riconoscerai quello, che ciascuno s' adopera; in modo che chi sé esercita in utile e bene di casa, conosca averti testimone de' meriti suoi; e chi con più diligenzia ed amore che gli altri farà il debito suo, costui, moglie mia, non t'esca di mente molto in presenza degli altri commendarlo; acciocchè pell'avvenire a lui piaccia di essere di dì in dì più utile a chi e' senta sè essere grato: e così gli altri medesimi studino piacere fra' primi lodati. E noi poi insieme premieremo ciascuno secondo i meriti suoi; ed a quello modo faremo che de' nostri ciascuno porti molta fede e molto amore a noi e alle cose nostre. (Della famiglia, lib. III, ibid., p. 313-329 passim, confrontato col cod. magliabech. IV, 58, già strozz. 143, e col cod. palat. edito dal PALERMO; Firenze, Cenniniana, 1872.)

1 Rivenduglicle, mercatine, donnette plebee.

Darai da fare a ciascuno secondo la sua fedeltà ed attitudire, e rico. noscerai, cioè premierai, l'opera di ciascuno.

LUIGI PULCI

Nacque in Firenze il 15 agosto 1432 da Iacopo di Francesco e da Brigida di Bernardo di Gerozzo de' Bardi. Era quella de' Pulci una casa di poeti; e hanno lasciato nome nelle lettere anche i due fratelli di Luigi, Luca (1431-1470) e Bernardo (1438-1488) e la moglie di quest' ultimo, Antonia. Luigi ebbe il favore e l'amicizia di Cosimo, e di Piero de' Medici; e fu da essi adoprato se non sempre in importanti uffici, talora anche in commissioni politiche, e per loro incarico andò a Napoli nel 1470. Nel 1473 sposò Lucrezia di Manno degli Albizzi, e ne ebbe quattro figli, Ruberto, Iacopo, Luca, Lorenzo. Mori nell'ottobre del 1484; non sappiamo con precisione dove, ma probabilmente in Padova. Oltre il Morgante detto Maggiore, compose in parte e forse ritoccò tutto il Ciriffo Calvaneo del fratello Luca (Morgante, XXVIII, 129), continnato poi da Eernardo Giambullari, e la Beca di Dicomano, imitando la Nencia di Barberino ed esagerandone il carattere burlesco; continuò, dopo la morte di Luca, la Giostra di Lorenzo de' Medici (avvenuta il 1469). Scambiò sonetti satirici e burleschi in una simulata tenzone con Matteo Franco. Restano di lui anche la Confessione in terza rima, che più che devota è scherzosa scrittura, e qualche volta satira delle pie credenze; gli Strambotti e altre poesie minori. Di scritture in prosa, abbiam di lui soltanto alcune Lettere a Lorenzo il Magnifico (pubblicate da S. BONGI, Lucca, Giusti 1886), e una Novella diretta a Ippolita Sforza moglie di Alfonso II di Napoli.

Il Morgante fu dal Pulci composto (cfr. c. XXVIII, 2, 136), per suggerimento di Lucrezia Tornabuoni, cominciandolo circa il 1466; e dicesi che via via che i canti eran composti fossero recitati alla mensa de' Medici. Nel 1482 in soli 23 canti fu messo fuori in Venezia da Luca Veneziano, e poi, intero in 28, in Firenze il 7 febbraio 1483 da Francesco di Dino. Il Pulci medesimo dichiara con riconoscenza d'essere stato giovato di consigli utilissimi per il suo lavoro dall'amico Poliziano (cfr. c. XXV, 115, 169; c. XXVIII, 145 e seg.). Per i primi 23 canti si servi senza dubbio d'un poema lasciato incompiuto dal suo autore, e che da Pio Rajna, il quale primo lo scoperse, fu intitolato L'Orlando: pel rimanente si servi della Spagna e d'una special versione di questo poema, che il Rajna intitola Rotta di Roncisvalle. Tra la prima e la seconda parte corre, per quel che riguarda lo svolgersi dell'azione, un notevole spazio di tempo. Episodi originali del poema sono quelli del grottesco gigante Margutte e del loico diavolo Astarotte.

Il poema è tutto composto di avve.ture stranissime: e sono principalmente quelle occorse ad Orlando mentre, sdegnato con Carlo Magno, che si lasciava aggirare da Gano di Maganza, andava errando lontano dalla corte, da cui come paladino non gli era le

cito dipartirsi. Nel bel principio del viaggio arriva ad una badia, alla quale dan guerra tre smisurati giganti: s'affronta con due, e gli uccide; poi converte al cristianesimo il terzo, chiamato Morgante, e prosegue con lui il suo viaggio. Carlo Magno, dolente della partenza d'Orlando, ha spedito un messaggio a cercarne; e quando questo messaggio ritorna annunziando che il paladino è vivo e sano, Rinaldo, Ulivieri, Dodone ed altri si mettono in via per ritrovarlo. Ciascuno di costoro incontra o va in cerca di speciali avventure, delle quali l'autore ha riempiute in ventotto canti circa quattro mila ottave. I personaggi del poema passano dalla Persia alla Francia, da Babilonia a Parigi. Meridiana, principessa saracina, innamorasi d'Ulivieri ed è da lui convertita. Rinaldo toglie il trono a Carlo Magno, e di poi glielo rende avendogli riverenza per la vecchiaia, e increscendogli che sia rimbambito e non conosca la malizia di Gano. Orlando è incarcerato dall'amostante di Persia, poi liberato diventa sultano di Babilonia; ma abbandona quella signoria per ritornare in Francia, dove combatte per Gano suo persecutore. Morgante s'imbatte a caso in un mezzo gigante chiamato Margutte, e lo mena seco mentre va in cerca di Orlando; ma poco durano insieme per questo caso singolarissimo: che Margutte dopo aver troppo mangiato e bevuto, s' addormenta lungo la via presso una fonte: Morgante gli trae gli stivaletti e li appiatta alquanto discosto per burlarsi del compagno quando ei si desterà ma intanto una bertuccia s'è impadronita di quelli, e per suo spasso se li mette, se li cava e se li rimette; e tanto continua in quel gioco, che Margutte si desta; e a quella vista è preso da un ridere sì violento, che finalmente ne scoppia. Nè meno strana è la fine di Morgante, che muore della morsicatura d'un granchiolino al tallone. Gano, intanto, non resta dal macchinar quanto può a danno di Francia e della sua casa reale. All' ultimo egli è mandato da Carlo al re Marsilio per trattar di pace; ma il traditore promette iniquamente al re di far sì che Orlando col fiore dei Paladini e dei guerrieri di Francia venga nelle strette di Roncisvalle, dov'egli potrà facilmente averne vittoria. E così accade; Rinaldo e Ricciardetto erano in Egitto: Malagigi manda a richiamarli i diavoli Astarotte e Farfarello, i quali entrati uno in Bajardo, cavallo di Rinaldo, l'altro in Rabicano, cavallo di Ricciardetto, conducono i cavalieri, volando per l'aria, dall' Egitto a Roncisvalle. Giunti colla lor corsa aerea allo stretto di Gibilterra, Astarotte dà a Rinaldo curiose spiegazioni cosmografiche. Merita riportarne qui qualche saggio:

Un error lungo e fioco,

Per molti secol non ben conosciuto,
Fa che si dice d' Ercol le colonne,
E che più là molti periti sonne.

Sappi che questa opinione è vana,
Perchè più oltre navicar si puote,

Però che l'acqua in ogni parte è piana,
Benchè la terra abbi forma di ruote;
Era più grossa allor la gente umana,
Tal che potrebbe arrossirne le gote
Ercole ancor d'aver posti que' segni,
Perchè più oltre passeranno i legni.

E puossi andar giù nell' altro emisperio,
Però che al centro ogni cosa reprime:
Si che la terra per divin misterio
Sospesa sta fra le stelle sublime,
E laggiù son città, castella e imperio;
Ma nol conobbon quelle gente prime:
Vedi che il Sol di camminar s'affretta,
Dove io ti dico che laggiù s' aspetta.

E come un segno surge in Orïente,
Un altro cade con mirabil arte,
Come si vede, qua nell' Occidente,
Però che il ciel giustamente comparte:
Antipodi appellata è quella gente:
Adora il Sole, e Juppiter, e Marte;
E piante e animal come voi hanno,
E spesso insieme gran battaglie fanno.

Disse Rinaldo: Poichè a questo siamo,
Dimmi, Astarotte, un' altra cosa ancora:
Se questi son della stirpe d'Adamo,
E perchè varie cose vi s'adora,
Se si posson salvar qual noi possiamo.
Disse Astarotte: Non tentar più ora,
Perchè più oltre dichiarar non posso,
E par che tu domandi come uom grosso.
Dunque sarebbe partigiano stato
In questa parte il vostro Redentore,
Che Adam per voi quassù fussi formato,
E crucifisso lui per vostro amore:
Sappi ch' ognun per la croce è salvato:
Forse che 'l vero dopo lungo errore
Adorerete tutti di concordia,

E troverete ognun misericordia.

E quest'ultima ottava può dar un'idea anche della teologia del diavolo, o a dir meglio di messer Luigi, che segue anche nelle ottave successive a farne dissertare dal cavallo, anzi dal diavolo sapiente che vi è incluso, finchè si arrivi a Roneisvalle, ove già la fiera battaglia è cominciata. Di questa e della morte di Orlando la descrizione è lunghissima, e ne daremo un ampio saggio. Il poema finisce dopo che re Carlo, a vendetta del nipote, fatto impiccare Marsilio e squartare Gano, finisce anch'esso la sua vita gloriosa, e il poeta ne canta le lodi.

In questo poema, che manca così d'unità d'azione come di un vero e proprio protagonista, si potrebbe tuttavia dire che i tradimenti e gl'inganni di Gano sieno come macchina motrice di tutti i vari episodi. Orlando anch'esso è personaggio di capitale importanza, ma più particolarmente nella seconda parte del poema. Morgante invece, sebbene dia nome all'opera del Pulci, forse soltanto

per nuova bizzarria dell'autore, non ha gran parte nel poema, anzi muore al canto XX. Sembra poi certo che l'epiteto di maggiore aggiunto al nome di Morgante, stia soltanto a distinguere l'edizione compiuta dall'anteriore.

Sul Morgante del Pulci vari e discordi sono i giudizi. Per quello che riguarda la forma, tutti vi riconoscono gran ricchezza e vivacità di lingua presa quasi sempre dalla viva bocca del popolo. Lo stile per altro non è sempre sostenuto, anche dove la materia lo richiederebbe; e l'ottava in generale scorrevole e facile, è talvolta avviluppata e pedestre, ritraendo più del cantare improvviso di piazza, che del magistero di un culto poeta qual era, del resto, il Pulci. Certo è che nel Morgante le qualità più opposte formano un tutto,di bizzarra originalità, che, non è a tacere essere piaciuto assai ai di nostri a un gran poeta, il quale ha pur talvolta qualche somiglianza col Pulci: cioè al Byron, che tradusse il primo canto del poema e ricordò il poeta con onore, chiamandolo signore della rima semiseria. Il serio e il faceto, l'eroico e il volgare, il grave e il grottesco, il devoto e l'irriverente sono fra loro commisti: talvolta in modo un po' rozzo, più spesso con molta efficacia, come può vedersi nella descrizione appunto, che qui riferiamo, della battaglia di Roncisvalle. Male si apposero coloro che definirono eroicomico il Morgante, poichè tale non fu pensatamente l'intento del Pulci, e doveva correre altro tempo perchè il Tassoni trovasse la parola e la forma propria a tal foggia di poemi: la ragione del mescolamento di cose tanto discordi deve piuttosto cercarsi nella natura stessa dell' ingegno del Pulci e in quella ancora della consorteria e clientela medicea, anzi in generale nella natura della civiltà fiorentina di quel periodo. Come in tutto ciò che i Medici, e segnatamente Lorenzo, produssero o promossero, vi ha qui del plebeo raggentilito e del gentile trattato da mano plebea. Così considerato, il Morgante non ha soltanto un valor suo proprio, ma è anche immagine di ciò che la democrazia fiorentina, governata dai Medici, seppe produrre di più caratteristico nel raffazzonare l'antica materia epica, già ben nota alle plebi, dando ad essa una impronta tutta nuova e speciale.

[Per la vita del P., v. PELLI negli Elogi d'illustri Toscani, Lucea, 1772 e la prefazione del BONGI alla cit. ed. delle Lettere. - Per il poema, v. RAJNA, La materia del M. in un ignoto poema cavall., e La Rotta di Roncisvalle (in Propugnatore, II, 7 e segg.; III, 38 e segg. ; IV, 52 e segg.): vedi anche HALFMANN, Die Bilder น. Vergleiche in Pulci's M., Marburg, 1884. Pel tempo in che fu composto, v. VOLPI (in Riv. Emiliana, II, fasc. X). L'intero poema donde il P. trasse il suo fu pubblicato da J. HÜBSCHER: Orlando, Die Vorlage zu Pulci's M., Marburg, 1886.]

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