FRANCESCO BERNI. Il Berni, nacque fra il 1497 e il '98, a Lamporecchio, di famiglia originariamente fiorentina. Compendiò le principali notizie della sua vita ed anche mostrò la sua indole nelle seguenti ottave del libro III, canto VII, dell'Orlando innamorato da lui rifatto: Fu fiorentino e nobil, benchè nato Fusse il padre e nutrito in Casentino; Dove il padre di lui gran tempo stato Sendo, si fece quasi cittadino, E tolse moglie, e s'accasò in Bibbiena, Costui ch' io dico a Lamporecchio nacque A Roma andò dipoi, come a Dio piacque, Morto lui, stette con un suo nipote, Credeva il pover uom di saper fare Quivi anche, o fusse la disgrazia, o 'l poco Certi beneficiòli aveva loco 6 1 Menzionato dal Boccaccio in una sua novella. 2 Bernardo Dovizi da Bibbiena, cardinale, vissuto dal 1470 al 1520, autore della Calandria. - Il nipote del cardinale, menzionato subito dopo, è Angelo Dovizi da Bibbiena, protonotario apostolico. 3 Le tasche, la borsa. Per una faccenda amorosa il Berni cadde in disgrazia al Dovizi e fu mandato (1523) a una badia del medesimo, San Giovanni in Venere negli Abruzzi; tornò poi a Roma nel 1524, ma non si riconciliarono. 5 Giammatteo Giberti, vescovo di Verona e datario di Clemente VII, prelato di molta dottrina e caldo fautore degli studj. 6 Aveva là nel suo picciol paese natio. Loco per là, in quel luogo è voce che trovasi spesso nei rimatori antichi, e ora è rimasta nei dialetti meridionali. Nel paesel, che gli eran brighe e pene: Con tutto ciò viveva allegramente, Era forte collerico e sdegnoso, Degli amici amator miracoloso: Così anche chi in odio aveva tolto Ma più pronto era a amar, ch'a voler male. 3 Nessun di servitù giammai si dolse, Cacce, musiche, feste, suoni e balli, Tanto era dallo scriver stracco e morto, Si i membri e i sensi aveva strutti ed arsi, 1 Sono fra le principali poesie del Berni; il quale mentre fu in Roma (1533) appartenne all' Accademia dei Vignajuoli, che di sì fatte poesie facete e bizzarre principalmente si dilettava. 2 Molto collerico. Poco sotto: lunghe e sottil le gambe forte aveva, per arera le gambe molto lunghe ec. 3 Il Giberti, il quale ordinò che nessuno della sua corte portasse barba. A tormentarlo. Che non sapeva in più tranquillo porto Quella, diceva, che era la più bella E seguitando poi a dire delle usanze della brigata, di cui fingeva di aver fatto parte: Questo era il loro esercizio ordinario: Nuove non portar mai triste nè buone. E penne e inchiostro e carta e polver' era; Come il diavol si fugge o la versiera; Di quel coltel, di quella peste fiera, Egli si trovò a Roma durante il sacco, nè pare rimanesse allora sempre chiuso in Castello. Così egli lo descrive (Ibid., lib. I, canto XIV, st. 23 e seg.): Io vorrei dir, ma l'animo l'abborre, sole, 1 Travicelli. Quando, correndo gli anni del Signore A lo spagnuolo, al tedesco furore, I casti altari, i templi sacrosanti, E (quel ch' io tremo a dir quanto più il penso, Le tue vergini sacre, a mille torti, A mille scorni tratte pe' capelli. Si come in molti luoghi vider questi Ma fusse pur che i nostri e i lor peccati Avessi a guisa di macchie lavati, Sì che il Settimo mio Signor Clemente Ma torniamo alla strage ch' io lasciai. Il Berni fu in quell'anno 1527 in Mugello per certi suoi interessi: poi tornò presso il Giberti, che accompagnò nel suo vescovado a Verona e andò alla badia di Rosazzo nel Friuli: poi a Roma, a Bologna per l'incoronazione di Carlo V, e altrove. Desideroso di libertà, e di vita meno austera che non fosse quella che faceva presso il Giberti, dimorò libero (1531) a Padova. Vi si trovò a tempo della controversia tra il Bembo e il Broccardo (alla quale accenna nel proemio del canto XIII dell' Orl. inn.). A questo tempo si rinfocolò l'ostilità coll'Aretino, che aveva già conosciuto nella prima dimora a Roma, ed ebbe occasione d' incontrarsi di nuovo coll'Ariosto. Nell'ottobre del 1531 era tornato in Verona presso il Giberti; nel 1532 entrò al servizio del cardinale Ippolito de' Medici, partì di Verona, ma non cessò del tutto d'aver relazioni col Giberti. Si recò prima a Bologna, e intanto ottenne dal Medici (1533) un canonicato nella metropolitana fiorentina: quello che era stato del Poliziano. Ne prese possesso passando da Firenze, dove rivide la famiglia, della quale troppo si burlò in un disgraziato sonetto. A Roma raggiunse il cardinale, e vi ricominciò la vita allegra e spensierata, ma non vi rimase a lungo contento. Parti colla corte papale che recavasi a Nizza per le nozze di Caterina de' Medici (1533); giunto a Poggibonsi, per ragioni gravi di famiglia, ebbe licenza dal cardinale di sviare verso Firenze. Quivi rimase fermo, godendosi certe rendite che aveva messe insieme, nonostante lo sdegno del cardinale. Tornò a Roma nel 1534 per trattare d'un affare affidatogli dal suo capitolo. Avviluppato nell'inimicizia che ebbero i due cugini, il cardinale Ippolito e il duca Alessandro de' Medici, al quale pure fu caro, morì il 26 maggio 1535 per veleno, pare, propinatogli dal cardinale Cibo, perchè si rifiutò d'avvelenare il cardinale Salviati. Fu sepolto nel Duomo. L'opera del Berni di maggiore estensione è il rifacimento dell'Orlando innamorato del Boiardo; era finito e pronto per la stampa nel 1531; fu pubblicato nel 1542 (Milano, Calvo) co' guasti introdottivi dall'Aretino; in miglior forma nel 1545 (Venezia, Giunti). Bisogna distinguervi la parte nuova e originale interposta, come i proemi e i cenni a cose e persone contemporanee; ma i fatti per la sostanza e l' ordine e la divisione della materia non furono quasi mai mutati, da com'erano nel testo del suo predecessore. Egli non ebbe l'intento di parodiare il Boiardo: ma, forse coll'idea di rivaleggiar coll' Ariosto e d'imitarne in parte la maniera, volle specialmente migliorare la lingua e lo stile del poema boiardesco, che vi venne a perdere del resto gran parte della sua rude ma veramente epica semplicità, stemperata e diluita, non mediocremente nella forma più gentile e aggrazziata del rifacitore (vedi a questo proposito le osservazioni di GUIDO MAZZONI, Fra libri e carte, Roma, Pasqualucci, 1887, pag. 3 e seg.). Del rifacimento del Berni rechiamo ad esempio il duello notturno d'Orlando e Agricane, che già riferimmo secondo l'Innamorato del Boiardo. Le Rime hanno reso meritamente celebre il nome del Berni. Sono in gran parte capitoli in terza rima, sonetti, spesso colla coda, a cui diede un'ampiezza non mai prima usata, ne' quali ripiglia molti temi e argomenti già trattati da'precedenti burleschi, altri ne inventa bizzarramente; facendo spesso la parodia de' petrarchisti, e ne' capitoli, talora anche quella di Dante. Della sua propria forma, così ei dice in un capitolo: Io che soglio cercar materia breve E che fia il ver, va' leggi, a uno a uno I capitoli miei, ch' io vo' morire S' egli è subietto al mondo più digiuno, Questa special forma di poesia fu dal suo nome detta bernesca, ed ebbe imitatori in gran numero; famosi alcuni, come il Grazzini |