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rete aver fatto il più forte: ed a Natale almanco so che potemo aspettarvi a fare una primieretta così dolce dolce, in terzo, sopra un canto di tavola.

Ultimamente mi parvé vedere che vi si mandasser vicarj, suffraganei, predicatori, e mille gentilezze. Arete avuto bolle, schianze, crosti, commessioni, privilegi ed ogni cosa: ' di che sarà bene che diate avviso per buon rispetto: benchè alla diligenzia vostra superfluo è ricordarlo. Adesso vi si manda un breve per il suffraganeo, che mi penso sia la commission sua. Se altro vi bisogna di qua, date avviso: chè, perchè non ci sia Monsignore, è rimaso in vece di Sua Signoria quel di Chieti, che supplirà a tutto pulitamente. Così io ancora, così bestia come sono, se fussi buono a servirvi in qualche cosa, massime in far qualche imbasciata alla vostra signora, valetevi dei servitori vostri; non vi dico altro.

Non so dove abbiate sognato, che il signor Giovanni de' Medici abbi ammazzato il vescovo di Trevisi. Per Dio! gran nuove si dicono a Verona! Dio vel perdoni, che credete, o mostrate di credere, simili corbellerie. Il signor Giovanni si parti di qui otto dì sono in circa: e andossene in poste alla volta del campo con tutta la sua divota compagnia: ed ebbe la benedizione da Nostro Signore in forma ecclesiæ consueta. Non so, se vi par da credere, che egli abbi ammazzato il Vescovo di Trevisi.

Qua non s' ha una nuova al mondo, dalla presa di Milano in poi, che ha già la barba. Nè l'Arcivescovo, nè il Boschetto, nè messer Bernardino scrivono, tanto quanto se non fussino al mondo. Le maggior nuove che ci venghino sono da voi altri sbisai3 costà; pensate come ve ne potemo dar noi! Per le prime che Monsignore scriverà, doveremo intendere il tutto; ed io allora, (caso che il Sanga non faccia l'uficio di là egli, come credo pure che doverà fare) vi affogherò negli avvisi.*

Le vostre raccomandazioni si sono fatte: e tutte vi tornano duplicate, dal Lalata massimamente. Ringraziate e salutate messer Battista della Torre, quanto merita il valore e la

1 Diminutivo di primiera, giuoco di carte usato anche oggidì.

2 Dall'aver menzionato le bolle, lettere papali, equivocando sull'altro significato di tal vocabolo, nomina poi schiazze, croste ec.

3 Voce veneziana nel significato di stolidi, minchioni, sciocchi, od anche poltroni, vili, timidi.

Avvisi, quello che ora dicesi notizie,

virtù di Sua Signoria; e addio. Il 2 novembre MDXXIV. Raccomandatemi a quel Dio d'Amore d'Alessandro Ricorda.

Allo stesso. — Egli è vero ch'io ricevo soprammodo volentieri le lettere che mi vengono scritte di qua e di là: ma quando per sorte elle son così lunghe o così belle, che non mi dà il cuore di risponder loro per le rime, pensate che mi viene il sudor della morte, come m'è bello e venuto con la vostra, che ha l'una e l'altra parte in sè: e volentieri non vorrei avervi mai scritto, per non m'aver data causa di mettermi adosso la giornea1 in risponder alle consonanze. Ma alla fè, che per questa volta arete pur pazienzia; chè, oltre che non mi voglio metter in pelaghi così cupi, mi duol sì una gamba per una stincata ch'ebbi ieri da un cavallo che mi volle far carezze, che poco ad altro posso pensare che a tenerci le mani. E in buona verità, se non che il reverendo padron mio Monsignor di Chieti col mandarmi a ricordare che stasera si spaccia a Venezia, quasi m' ha comandato che vi scriva, rendendovi duplicate le raccomandazioni e cerimonie che per la mia fate a Sua Signoria, portava pericolo che non vi dessi cartaccia 3 per questa volta. Sicchè paiavi pur un zucchero a vostra posta, che v'abbi scritto questi quattro versacci così a mal in corpo, e col braccio al collo.

Gran cosa certo, che questi Suffraganeo e Predicatore non siano ancora arrivati! Se fussero altri che frati, io sarei con voi a pensare che fusse intervenuto loro qualche caso strano: e forse forse che, così frati come sono, se a quest'ora non hanno fatto scala,* potrebbe molto ben essere che qualche fiume o fossato o pozzo non avesse avuto quel rispetto che si conviene a san Domenico. Fate dir loro le messe di San Gregorio, e raccomandateli a Dio, e basta. Io non saprei che mi ci dir più. Si doveriano vergognare, quando mai non avessero fatto altro peccato, ad avervi fatto mangiare i carpioni e le trote, e peccar cosi disonestamente in gola.

1 Mettersi, allacciarsi la giornea vale Imprendere, sostenere qualcosa con calore e sussiego: ora si direbbe malamente; darsi aria d'importanza. 2 Si mandano messi e dispacci.

3 Dar cartacce val quanto usare un mal garbo, non rispondendo o non corrispondendo a fatti o parole altrui, come si dovrebbe. Qui val quanto: non vi rispondessi.

Fare scala si dice dell' approdare a qualche luogo che non sia il fine della navigazione, per prender vettovaglia, od altro.

Messe Gregoriane son quelle che si celebrano trenta giorni di se

guito per l'anima di qualche defunto.

Ieri ci fu data una vostra, che mostra d'andare a Monsignore, poi va al Sanga: è de' cinque d'ottobre; per mia fè assai fresca: da bersela sicuramente. Dice aver ricevuto pur questa benedetta deputazione; e finalmente quasi tutto quello che circa la medesima materia dite voi a me per la vostra sicchè non ci è parso intendere, quanto a questo, altro di nuovo. Le altre cose che ci sono entro, come dir dell'aspettar il Suffraganeo, scriver al Capitolo e Podestà, del Gottifredi e del Miglio ec., fra voi ve l'intendete: ch'io per me non so che mi vi rispondere....

Vel dissi in principio, vel dirò anche in mezzo ed in fine, che Monsignor di Chieti vi risaluta, vi si raccomanda (chè lo dirò pure); così fanno tutti gli altri salutati da voi, cominciando dal maggiore fino al minore: fino a Simon d'Urbino, che venne, non ier l'altro,1 più savio e più bello che mai; ve ne2 manda un centinaio, e dice che in questo viaggio di san Jacomo, che vuol far fra pochi dì, pregherà Dio per l'anima vostra a più potere. Il nostro Bino, ch'ebbe l'altro di in Spagna un beneficio che non è vacato, mi sta tutto di a romper la testa, pregandovi che ve lo raccomandi. Quello scimignato di Pusillo anch'egli si vuol mettere in dozzina; e più di cento volte s'è già lasciato uscir di bocca che vi vuole scrivere: nè per ancora è da tanto che metta mano in carta. Finalmente ognuno desidera esser vostro benevogliente.

Le lettere che mandaste sotto la mia, hanno tutte avuto buon ricapito, e subito. Non aspettate che vi dia nuove di Roma, chè appena so quel che si fa in camera mia, onde non esco mai, non che vadi cercando quel che si fa fuori: e lo credo aver detto un'altra volta; e se non ve l'ho detto, ve lo dico ora, che sono nimico capitale delle nuove e delle novelle. Perdonatemi quando vi scrissi della partita di Monsignore, la qual dite aver saputa prima: chè, benchè fusse pur cosa notabile, se avessi creduto così, non l'arei scritta. Or non più, chè sono arrivato col cicalare fin dove non credetti. State sano, ed amateci. Di Roma, a' XXI di novembre MDXXIV.

1 Non ieri, ma l'altro giorno, avanti ieri.

2 Di saluti.

3 Scimunito.

4 Incluse entro la mia.

GIOVAN BATISTA GELLI.

Nacque in Firenze il 12 agosto 1498. La sua famiglia oriunda di Peretola, trasferitasi a Firenze godeva di certa agiatezza. Il padre faceva il vinattiere, egli fece il calzaiolo; ma amantissimo de'libri e dello studio, animato anche dal conversare con i frequentatori degli Orti Oricellari, si mise a venticinque anni ad apprendere il latino. Benchè vissuto in tempi di grandi commovimenti politici, si mantenne alieno dall' immischiarvisi, ma piegò certo a parte medicea, perchè nel 1524 fu squittinato per le arti minori, e risede di Collegio, cioè de' XII Buonomini, nel 1539. Fu aggiunto tra "i sei arruoti all'Accademia fiorentina, e ne fu il XV° console (1548), e primo vi lesse pubblicamente (5 agosto 1541). Quando poi il duca Cosimo, che, pei fini suoi, favorì grandemente l'Accademia, con decreto del 26 settembre 1553 provvide che si deputassero due lettori ordinari accademici ad interpretare la Commedia e il Canzmiere, a spiegare il poema di Dante fu eletto il Gelli, e attese a tale opera da quell'anno sino alla morte. Nell' amicizia del Giambullari, del Varchi, del Nardi, del Tansillo quando questi si trattenne a Firenze, ne' suoi diletti studj, pei quali trovò tempo, pur attendendo all' umile arte sua, visse fino al 24 luglio 1563 nella casa di sua proprietà in via de' Fossi, e fu sepolto in Santa Maria Novella. All'accademia fiorentina ne fu fatta l'orazione funebre da Michele Capri calzaiolo.

11 Gelli lasciò molti scritti in prosa e alcuni in poesia. I Capricci del Bottaio sono, secondo finge l'autore, alcuni ghiribizzi che faceva seco stesso un certo Giusto Bottaio da San Pier maggiore, raccolti da Ser Bindo notaio suo nipote. Giusto discorre con l'anima d'argomenti morali e letterarj: sono dieci ragionamenti. Furono poi proibiti, e l'autore ne fece ritrattazione ed emenda (editi in parte dal Doni nel 1546, poi compiutamente dal Torrentino nel 1548). Nella Circe seguendo l'orme del dottissimo Plutarco» l'autore racconta aver Ulisse ottenuto da Circe che i greci da lei mutati in animali riprendano forma umana, a patto che essi vi consentano, e riferisce le dispute con taluni fra essi, i quali tutti rifiutano di tornar uomini, finchè l'elefante non vi si determina. Questo motivo era già nell'Asino d'oro del Machiavelli; fu imitato poi dal Gozzi ne' primi dialoghi dell' Osservatore. La prima edizione è del 1549. Un Dialogo sopra la difficultà d'ordinare la lingua (in Firenze) fu pubblicato dal Torrentino nel 1551, con un'operetta del Giambullari. Il Gelli fu anche commediografo. La Sporta (edita nel 1543) è imitazione libera dell'Aulularia di Plauto, e composta in gran parte su abbozzi lasciati dal Machiavelli, come il Lasca accenna in un sonetto. L'Errore (edito nel 1556) fu recitato in Firenze nel 1555 dalla Compagnia dei Fantastichi ad una cena che fece Ruberto di Filippo Pandolfini. È imitato in gran parte dalla Clizia del Ma

chiavelli e dalla commedia in versi a lui attribuita. Si cita come del Gelli anche una Polifila, che da altri è attribuita a Benedetto Busini. Le Lezioni sul Petrarca furono recentemente raccolte da C. Negroni (Bologna, Romagnoli, 1884). Le Letture dantesche pubblicate sparsamente e in vari tempi, furono raccolte e pubblicate pure dal Negroni (Firenze, Bocca, 1887). Queste furono lette dieci circa per anno, entro il periodo che abbiam detto sopra: e non vanno oltre il canto XXVI della prima cantica. (Cfr. M. BARBI, Della fortuna di Dante nel secolo XVI, Pisa, Nistri, 1890). Rimangono del Gelli alcune lettere e non molte poesie, tra le quali canti carnascialeschi e le stanze per l'apparato delle nozze del duca Cosimo. Altre scritture minori rimangono di lui, in ispecie volgarizzamenti, tra i quali quello in versi dell' Ecuba di Euripide, e un Trattatello sull'origine di Firenze tutto pieno di baie aramee.

L'amore e il culto di Dante informò tutta la sua vita e i suoi studj. I GIOBERTI (Del Rinnovamento civile d'Italia, libro 11, cap. VIII) disse di lui: Io non conosco fra i nostri classici alcuno scrittore di prosa che meriti da ogni parte il titolo di popolare, salvo Gaspare Gozzi, modello impareggiabile in questo genere; e quel Giambatista Gelli, umile calzajuolo, che con favella semplice, tersa, graziosa, spontanea, espresse intorno agli argomenti più gravi i sensi del popolo e precorse alla filosofia moderna. [V. per la biografia il discorso in fronte alle Opere di G. B. G. nell' edizione, che noi seguiamo, procurata da AGENORE GELLI; Firenze, Le Monnier, 1855.]

Prudenza degli animali. — Cominciando da' minori animali, tu vedrai primieramente la formica essere tanto prudente, che ella ripone la state tutto quello che le bisogna il verno; ed i ragni tendere molto consideratamente i lacci e le tele loro per prendere alcuni animaletti per cibarsene; e le vespe e molti altri simili animali nascondersi sotto la terra a quei tempi che sono loro nocivi. De le pecchie e del prudentissimo governo loro non vo'io ragionarti, essendo fra voi tanti che hanno consumati i loro migliori anni in considerare e descrivere la vita loro, ed il modo come elle si governano. Vattene dipoi a gli uccelli. Tu li vedrai tutti mutar luogo, tempo per tempo, secondo che è a proposito alla natura loro. Vedrai di quegli che, conoscendosi male atti a covare le loro uova e a nutrire i loro figliuoli, se le fanno covare ed allevare i figliuoli a un altro, come è il cuculo. Vedrai di quegli che, sospettando che i figliuoli ch'egli hanno covati non siano loro, hanno trovato con prudenza grandissima il modo d'accertarsene; come l'aquila, che

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