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sè stesso, e tutti universalmente pallidi e sgomentati temevano ognora di tutti i mali. (Dalla Storia, lib. XII, cap. 1.)

ANTON FRANCESCO GRAZZINI (DETTO IL LASCA).

Nacque in Firenze ai 22 marzo del 1503 da Ser Grazzino d'Antonio e Lucrezia de' Santi, di famiglia oriunda di Staggia in Valdelsa. Qualche studio dovette pur fare, e anche di lettere latine; fu poi speziale e tenne la farmacia del Saracino al Canto alla paglia. Fu uno dei fondatori (1540) dell'accademia degli Umidi promossa da Giovanni Mazzuoli detto lo Stradino, prendendovi il nome di Lasca. Quest'accademia prese poi il nome di Fiorentina ed egli vi ebbe vari ufficj; ne fu poi escluso (1547) per sue bizzarrie, ma riammesso più tardi (1566). Nel 1582 con alcuni amici suoi, ai quali si aggiunse Lionardo Salviati, fondò l'accademia detta della Crusca nella quale, a significare lo scopo di separare nella lingua la farina dalla semola, furono scelti nomi accademici, imprese e motti, allusivi più o meno al frumento: e perchè, come ei disse, le lasche non si friggono senza infarinarle, il Grazzini volle mantenersi l'antico nome di Lasca. Rimase celibe, e alternardo il soggiorno in città con gli svaghi campagnoli, visse sempre fra dotte e allegre brigate, e in buone relazioni colla famiglia ducale. Mori in Firenze il 18 febbraio 1584 (st. com.) e fu sepolto nella chiesa di San Pier Maggiore.

Scrisse in versi e in prosa. In versi, rime petrarchesche, spirituali, pastorali, egloghe: da ricordare soprattutto le burlesche (v. Le rime burlesche edite e inedite di A. F. G. detto il Lasca, per cura di CARLO VERZONE, Firenze, Sansoni, 1882), e cioè: sonetti, canzoni, canzoni a ballo, canti carnascialeschi, madrigali, madrigaloni, madrigalesse, ottave, capitoli, epitaffi, la maggior parte delle quali edite dopo morto l'autore. Per queste rime, importanti spesso anche come saggi di satira letteraria, quali quelle contro la congrega Aramea, non che per la storia del costume, il Grazzini può ben chiamarsi il migliore erede della maniera del Berni, del quale ha minor finezza, ma scioltezza maggiore nel verseggiare: l'uno accostandosi più al fare classico, l'altro al popolare. Rimangono inoltre alcuni poemetti burleschi in ottave, scritti fra il 1547 e il 1548: la Guerra de' mostri, della quale abbiamo solo il primo canto, e la Nanea alcuni gli attribuiscono anche la Gigantea.

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In prosa compose: le Cene, cominciate già a scrivere circa il 1540, novelle raccontate in tre sere da cinque giovani e cinque donne in una casa vicina a Firenze, nel carnevale (la prima Cena fu stampata a Firenze, 1743, Stambul, dell'egira 122; tutte in Londra, 1756, e ora da CARLO VERZONE, Firenze, Sansoni, 1890). Rimangono, oltre l'introduzione al novellare, compiute la prima e la seconda

Cena; della terza due novelle: in tutte ventidue. Sono racconti di burle molto usate allora, a pedanti, a preti; d'avventure strane, anche tragiche, od amorose, e ci dánno un quadro assai vivo della società fiorentina di quel tempo. La lingua schietta, lo stile assai efficace e semplice fanno del Lasca uno dei più singolari novellatori del Cinquecento.

Le Commedie del Grazzini sono: la Gelosia composta e rappresentata nel 1550 (Firenze, Giunti, 1551); la Spiritata (Firenze, Giunti, 1561); la Strega ovvero la Taddea, di cui il prologo fu scritto nel 1582 la Sibilla ovvero la Medaglia; la Pinzochera; i Parentadi (tutt' e sei stampate in Firenze, Giunti, 1582). Furono composte tutte prima del 1566. Non gli si può attribuire con tutta sicurezza l'Arzigogolo, dove un episodio principale, forse desunto dalla tradizione orale e viva, ricorda il soggetto della celebre farsa francese di Mastro Patelin. Di tre brevi lavori drammatici da lui composti sotto il nome di farse, si è conservato il Frate, che è la commedia in prosa già attribuita al Machiavelli. In queste commedie, pur sostenendo che non si dovevano imitare servilmente gli antichi specie negli sciocchi e impossibili ritrovamenti, pur non se ne guardò, e nei Parentadi ce ne sono ben quattro: ma si può dire che sebbene il carattere sia in sostanza sempre quello classico e tradizionale, pur il Lasca con quel suo libero ingegno non è privo di originalità ne' particolari, e nel modo in genere di riprodurre l'antico. In prosa abbiamo anche una Lezione di maestro Niccodemo dalla pietra al migliaio, nella quale commentò il suo capitolo della salsiccia: quattro Orazioni alla croce e qualche altra minore scrittura. Il Grazzini curò la stampa del primo (Firenze, B. Giunta, 1548) e forse del secondo libro (1555) delle Opere burlesche del Berni, del Della Casa ec.; dei Sonetti del Burchiello e di Antonio Alamanni alla burchiellesca (Firenze, Giunti, 1552 e 1558), de' Trionf, carri e mascherate ossia de' Canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del Magnifico al 1559 (Firenze, Torrentino, 1559), per la quale stampa ebbe fiera controversia con Paolo dell' Ottonaio.

[Vedasi la Vita del Lasca scritta dal BISCIONI in Le cene ed altre prose di A. F. G., pubblicate da PIETRO FANFANI, Firenze, Le Monnier, 1857; sul G. come scrittore, v. G. B. MAGRINI, Di A. F. Grazzini detto il Lasca e delle sue opere in prosa e in rima, Imola, Galeati, 1879. Seguiamo per le rime e le novelle l'edizione del Verzone; per le commedie quella del Fanfani, Le Monnier, 1859.]

Dialogo fra il Prologo e l'Argomento per introduzione alla Commedia << La Strega. » — Questi escono fuori insieme, uno da un capo uno dall' altro della scena e favellano a un tratto, fingendo di non si vedere e non si udire.

Prologo, Dio vi salvi, onoratissimi spettatori. Argomen

to. Buon giorno vi dia Dio, uditori nobilissimi. Prologo. Qui semo per recitarvi.... Argomento. Bonifazio cittadino fiorentino.... Prologo. Chi è costui sì mal creato? Argomento. Che vuol questo insolente di qua? Prologo. Chi sei tu, olà, e che vai cercando? Argomento. E tu che fai qui, e come ti domandi? Prologo. Sono il Prologo, e vengo a recitarlo a questi generosi gentiluomini. Argomento. E io sono l'Argomento, e vengo a farlo a queste belle e valorose donne. Prologo. Non sai tu che il Prologo va sempre innanzi alla comedia? Però vattene dentro, e lascia prima dir a me. Argomento. Vattene dentro tu, che non servi a niente, e lasciami far l'ufizio mio. Prologo. Tu fosti sempre mai odioso e rincrescevole. Argomento. E tu, villano e presuntuoso. Prologo. Se io ho questo privilegio e questa maggioranza, perchè vuoi tu tormela? Argomento. Tu l'hai anco senza ragione, non avendo a far nulla con la comedia, e si può fare agevolmente senza te; e fusti aggiunto alle comedie, non già per bisogno che elle n'avessino, ma per comodo del componitore, o di colui o di coloro che le facevano recitare; e non sei buono se non a scusargli; ma senza me non si puo fare in modo niuno. Prologo. E però, non sendo io necessario, e per conseguente chiamato e introdotto sempre nelle scene, è segno che io sono molto caro, e piaccio sommamente alle persone; e poi, per dirne il vero, la maggior parte delle comedie, e massimamente moderne, fa anche senza te; che non ti paressi essere il bel messere, perciocchè nelle prime scene del primo atto s'introducono dai componitori migliori alcuni personaggi, che, per via di ragionamento, aprono e manifestano agli uditori tutto quello che è seguito innanzi, e parte di quello che deve seguir dopo nella comedia: e questa è appunto una di quelle comedie che sèguita l'ordine che io t'ho detto. Argomento. Dunque noi potevamo far senza venirci? Prologo. Sì, tu; ma io bisogna pur che dica a questi cortesissimi ascoltatori il nome della scena, della comedia e di chi l'ha composta. Argomento. Se tu non ci hai altro che fare, tu potevi rimanerti a casa. Primieramente la scena si conosce benissimo esser Firenze; non vedi tu la cupola, bue! edifizio che di grandezza, d'altezza, di bellezza e di maestà avanza e passa quanti ne sono oggi nell'universo? Sa

A far le lor veci; o meglio: a far le loro scuse e difese.

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pere o non sapere il nome dell'autore non importa niente; sì che tu potevi anche tu fare senza capitarci. Prologo. Non è egli ben fatto coll'esaltare e magnificare gli uditori, umiliandoci e abbassando noi, rendergli benevoli e discreti? Argomento. Poco importa o niente. Prologo. E chiedendo loro grato e riposato silenzio, farcegli mansueti e attenti? Argomento. Tutti sono panni caldi; altro bisogna. Prologo. Che diavol bisogna? Argomento. Bisogna che la comedia sia allegra, capricciosa, arguta, ridicola, bella e ben recitata. Prologo. Dove sono oggi queste comedie cosi fatte? e questi buoni strioni? Argomento. Bisogna saperli trovare, e conoscere i recitanti; e questo consiste nel dar le commissioni a uomini pratichi, intendenti e giudiciosi. Prologo. Orsù, vedrem come questa riuscirà. Argomento. Questa non è fatta da principi, nè da signori, nè in palazzi ducali e signorili; e però non arà quella pompa d'apparato, di prospettiva e d'intermedj che ad alcune altre nei tempi nostri s'è veduto; nè anco si può comandar alli strioni, sendo fatta da persone private, da una compagnia di giovani onorati e amatori delle virtù. Prologo. Che vuoi tu inferire per questo? Argomento. Voglio inferire, che ella ha bisogno in questa parte d'essere scusata. Prologo. Anzi merita commendazione, perchè non sta bene, non è lecito, e non si conviene che i sudditi e i vassalli competino e gareggino coi principi, e coi signori e padroni. Argomento. E cosi pare a me; anzi dico che a le comedie poco belle e poco buone interviene come a certe donne attempate e brutte, che quanto più si sforzano, vestendosi di seta e d'oro, e con ghirlande e vezzi di perle, e ornandosi, lisciandosi, e stribbiandosi il volto, di parer giovane e belle, tanto più si dimostrano a gli occhi dei risguardanti vecchie e sozze. Prologo. Non è dubbio che la ricchezza e la bellezza degl' intermedj, i quali rappresentano per lo più muse, ninfe, amori, dei, eroi e semidei, offuscano e fanno parer povera e brutta la comedia. Argomento. E di che sorte! veggendosi poi comparirvi in scena un vecchio, un parasito, un servidore, una vedova e una fantesca; bella convenevolezza! Prologo. Che vuoi tu fare? il mondo va oggi così: bisogna accomodarsi all'usanza. 3 Argomento. Un'usanza

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1 Cose superflue, inutili: ora pannicelli caldi.

2 Strusciandosi, tormentandosi.

30 come ora direbbesi, alla moda.

da dirle voi! Già si solevan fare gl' intermedj che servissero alle comedie; ma ora si fanno le comedie che servono agl' intermedj: che ne di'tu? Prologo. Intendola come te in questa parte; ma nè tu nè io semo atti a riformare i cervelli di oggidì. Argomento. So ben io donde viene. Prologo. Donde viene? Argomento. Viene che la poesia italiana, toscana, volgare, o fiorentina ch'ella sia, è venuta nelle mani di pedanti. Prologo, Ohimè! ch'è morta con monsignor della Casa, il Varchi, e Annibal Caro la nostra lingua? Argomento. È restata come mosca senza capo. Prologo. Ci è pur l'Accademia Fiorentina. Argomento. Accademia?... mi piacque!... tu vorresti farmi dire. Prologo. Orsù, lasciamo andar questo ragionamento, e torniamo alla comedia. Argomento. Se la comedia nostra non arà nè tanta pompa d'apparati, nè tanta ricchezza d'intermedj, ella arà il principio, il mezzo, il fine tanto distinti l'uno dall' altro, che chiaramente saranno conosciuti, nè in lei saranno quei discorsi dispettosi e rincrescevoli, nè quei ragionamenti lunghi e fastidiosi, e massimamente a solo a solo, nè quelle recognizioni deboli e sgarbate, che in molte, molte volte si sono vedute. Prologo. Non osserverà ella il decoro, l'arte e i precetti comici? Argomento. Che so io? ella sarà tutta festevole e lieta. Prologo. Non basta; non sai tu che le comedie sono imagini di verità, esempio di costumi e specchio di vita? Argomento. Tu se' all'antica, e tieni del Fiesolano sconciamente; oggidì non si va più a veder recitare comedie per imparare a vivere, ma per piacere, per spasso, per diletto, e per passar maninconia e per rallegrarsi. Prologo. Si potrebbe anche mandare a chiamare i zanni? Argomento. Piacerebbero forse anche più le loro comedie gioiose e liete, che non fanno queste nostre savie e severe. Prologo. Il poeta vuole introdurre buoni costumi, e pigliare la gravità e lo insegnare per suo soggetto principale, chè cosi richiede l'arte. Argomento. Che arte o non arte, che ci avete stracco con quest'arte? l'arte vera è il piacere e il dilettare. Prologo. Il giovamento dove

1 Da darle del voi, per rispetto: detto ironicamente.

Le agnizioni, o ritrovamenti e riconoscimenti di padri e figli, fratelli e sorelle ec., che erano comuni alla commedia latina e alle sue imitazioni del sec. XVI.

* Sei uomo grossolano e di dura cervice, tieni del monte e del macigno, come quelli che discendono da Fiesole ab antico,

Erano i buffoni della nuova commedia,

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