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Ch'io riconosca in qualche modo o segno
La gente mia che quaggiù morta vedi;
Ch'io non so dove io sia, nè donde io vegno;
E, come in Giusaffà, le mani e' piedi

E l'altre membra insieme accozza, e mostra
Per carità qual sia la gente nostra.

E poi che furon nella valle entrati,
Trovoron tutti i Cristian, ch'anno insieme
I membri appresso, e i volti al ciel levati,
Perchè questo era d'Adamo il buon seme.
O Dio quanti miracoli hai mostrati!
Quanto è felice chi in te pon sua speme!
E tutti i corpi di que' Saracini
Dispersi son co' volti a terra chini.

(Morgante Maggiore, canti XXVI e XXVII; secondo l'edizione di Venezia, Comin da Trino, 1515.)

MATTEO MARIA BOIARDO.

Matteo Maria Boiardo nacque circa il 1434, e probabilmente a Scandiano, di Giovanni di Feltrino e di Lucia sorella di T. Vespasiano Strozzi. Ebbe titolo nobiliare gentilizio di conte di Scandiano, signore di Arceto, Casalgrande, Gesso e della Torricella. Non si sa nulla degli anni della sua giovinezza, che dovette pas. sare nella disciplina classica se poi ei si dimostrò così versato nelle lettere latine e greche. Alla corte di Ferrara, ove fiorivano i buoni studi coi Guarino, gli Strozzi e altri umanisti, ebbe accoglienze e favori, e fu benvoluto da Borso (m. 1471) e da Ercole I. Nel 1469 fu deputato con altri gentiluomini ad incontrare l'imperatore Federico III, che si recava a Ferrara; nel 1471 accompagnò a Roma Borso d'Este, che andava a ricevervi dal p^pa Paolo II l'investitura del titolo di duca. Nel 1472 prese in moglie Taddea Gonzaga figlia del conte di Novellara; di lei ebbe sei figli. Nel 1473 fu di coloro che accompagnarono a Ferrara la sposa del duca Ercole, Eleonora di Aragona figlia di Ferdinando I. Nel 1478 fu fatto governatore di Reggio; nel 1481, e fino al 1486, ebbe lo stesso ufficio in Modena; tornò di nuovo governatore di Reggio il 1486 e vi rimase fino alla morte che avvenne il 20 dicembre 1494. Fu d'indole mitissima, equo nell'adempimento del suo ufficio, benvoluto da principi e da popolani.

Delle sue opere italiane la più meritamente famosa è l' Orlando innamorato, della quale diremo da ultimo. Delle opere minori italiane ricordiamo: le poesie liriche italiane, in tre libri (Amorum

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liber), contenenti sonetti, canzoni, madrigali, sestine, pubblicate per la prima volta in Reggio il 1499, e riprodotte dal Panizzi (Londra 1835, e Milano, Classici, 1845). In queste poesie il poeta celebra Antonia Caprara di Reggio; secondo alcuni anche qualche altra sua amata. Pur seguendo qualche volta troppo da vicino, benchè felicemente quasi sempre, la maniera del Petrarca, in queste liriche spesso patetico e semplice e assai forbito nella forma, quasi da far contrasto con quello che di rude v'ha nello stile del poema; riesce quindi notevole fra quanti si misero allora e poi a petrarcheggiare (cfr. P. GIORGI, Sonetti e canzoni di M. Maria Boiardo, Roma, tip. della Camera dei deputati, 1888). Inoltre: cinque Capitoli sopra el timore zelosia ec. (1461 circa), e dieci Ecloghe in terzine. Ci rimangono anche: Timone commedia in cinque atti in terza rima, che è rifacimento d'un dialogo di Luciano (1487 circa), rifatta poi, alla sua volta, dal Baruffaldi; in prosa, oltre ad alcune lettere, e l'Istoria imperiale da lui data come traduzione da Ricobaldo ferrarese, ma di fatto rassettatura del Pomarium, alcune traduzioni, e cioè: di Erodoto le Nove Muse (stampate a Venezia nel 1533), l'Asino attribuito a Luciano (stampato nel 1523), e la Ciropedia di Senofonte; dal latino, l'Asino d'oro dal Metamorphoseon di Apuleio (stampato a Venezia nel 1516) e le Vite degli uomini illustri di Grecia di Emilio Probo (Cornelio Nepote?) (Bologna, 1885). Di poesie latine lasciò dieci ecloghe e alcuni epigrammi.

L'Orlando innamorato, poema in ottava rima di sessantanove canti, è diviso in tre parti o, meglio, libri; il primo contiene ventinove canti, il secondo trentuno, il terzo nove. L'ultimo canto ha solo ventisei ottave, delle quali l'ultima è questa:

Mentre che io canto, o Dio redentore,
Vedo l'Italia tutta a fiamma e foco
Per questi Galli, che con gran valore
Vengon per disertar non so che loco;
Però vi lascio in questo vano amore
Di Fiordespina, ardente a poco a poco:
Un'altra fiata, se mi sia concesso,
Raumenterovvi il tutto per espresso.

Il contenuto del poema, in breve, è il seguente. Mentre Carlo Magno tien corte plenaria a Parigi, si presenta una bellissima donna accompagnata da quattro giganti e da un cavaliere il quale sfida tutti a combatter con lui. Tutti i cavalieri, fra i quali Orlando e Rinaldo, s'innamoran di lei, che Malagigi per opera d'un demonio ha saputo essere Angelica figlia di Galafrone re del Cataio; il cavabere è suo fratello Argalia. Son venuti per impadronirsi di quanti più paladini possano: Angelica ha un anello incantato: Argalia una armatura e una lancia pur esse incantate. Malagigi andato a trovare Angelica per ucciderla, ciò che non fa preso della bellezza di lei, resta suo prigioniero, e da alcuni diavoli evocati da Angelica col libro stesso dell'incantatore, è portato al Cataio. Ferragù uccide

Argalia, e Astolfo s' impadronisce della lancia incantata. Angelica fugge inseguita da Orlando e Rinaldo; beve alla fontana dell'amore e diviene innamorata di Rinaldo, che ha bevuto invece alla fontana dell'odio, e ora la fugge (Lib. I, c. III). Carlo Magno sa che Gradasso re di Sericana per avere Baiardo cavallo di Rinaldo e Durlindana spada d' Orlando, muove contro la Francia, e ha, per via, invaso la Spagna, il cui re Marsilio chiede ora l'aiuto di Carlo Magno, il quale manda Rinaldo a soccorrerlo con poderoso esercito (Lib. I, c. IV). Angelica tornata al suo paese ridona la libertà e il libro incantato a Malagigi (Lib. I, c. V), che impegnatosi a condurle Rinaldo, lo trae in una nave ad un'isola bellissima. Gradasso allora con Marsilio, ridotto suo vassallo, assalta la Francia (Lib. I, c. VI), e in una gran battaglia vince Carlo e i suoi paladini, che promette di liberare in cambio di Baiardo e Durlindana; proposta accettata da Carlo ma non da Astolfo, comandante di Parigi, che sfida Gradasso e colla sua lancia incantata lo rovescia di sella, indi abbandona la Francia in cerca dei cugini Orlando e Rinaldo (Lib. I, e. VII). — Agricane re di Tartaria, innamorato anch'egli di Angelica, assedia Albracca, fortezza ove ella è rinchiusa (Lib. I, c. X) e dove è capitato Astolfo per ritrovare Orlando. Vi giunge Orlando, tratto da Angelica da un palazzo incantato, e uccide Agricane (Lib. I, c. XVIII-IX). Rinaldo fuggito dall'isola, che ha saputo esser d'Angelica, viene ad Albracca e combatte con Orlando, cui, per amor di Rinaldo, Angelica persuade partire per lontana e pericolosa impresa (Lib. I, c. XXVIII). — Agramante, figlio di re Troiano ucciso anni prima da Orlando, muove per vendetta contro la Francia. Alcuni astrologi avevan predetto che faceva bisogno l'aiuto di Ruggiero, tenuto in un castello dal quale doveva liberarsi coll' anello d'Angelica, anello che Brunello ladro riesce ad avere (Lib. II, c. V). Ruggiero resta libero. Rodamonte re d'Algeri e vassallo di Agramante salpa solo, impaziente, per l'Europa. Dopo una terribile tempesta (Lib. II, c. VI) sbarca a Monaco; mentre Marsilio, per suggerimento del traditore Gano, assale la Francia dai Pirenei. Orlando dopo molte avventure si ritrova con Rinaldo, il quale obbedisce al messaggio inviato frattanto da Carlo Magno con richiesta d'aiuto. Orlando ritorna invece ad Angelica assediata in Albracca da Marfisa; e poi persuaso da Angelica, che sa della partenza di Rinaldo, parte con lei verso la Francia (Lib. II, c. XX). — Rinaldo aveva combattuto di già valorosamente contro Rodamonte e Marsilio. Un giorno beve alla fontana dell' amore e torna ad amare Angelica, che, per aver bevuto alla fontana dell' odio, aveva preso ad odiarlo. Orlando e Rinaldo si sfidano; Angelica da Carlo Magno è affidata in custodia al vecchio duca di Baviera: premio riserbato a chi dei due cugini avesse meglio combattuto contro i Saracini. Agramante, Mandricardo,. Gradasso da diverse parti assalgono la Francia. Grande battaglia perduta dai cristiani privi dell'aiuto d'Orlando, che da

prima si rifiuta di combattere e poi è tratto in un castello incantato (Lib. II, c. XXXI). Rinaldo dopo vari combattimenti corre dietro per un bosco al suo Baiardo. Brandiamante, sorella valorosa di Rinaldo, s'innamora di Ruggiero. Carlo chiuso e assediato dai più valorosi campioni Saracini in Parigi, è aiutato da Orlando e Brandimarte. Fiordispina s'innamora di Brandiamante. Il poema qui s'interrompe.

In questo poema non c'è propriamente unità d'azione, come apparisce anche dal sunto; manca un fatto capitale al quale si possano raggruppare i vari e numerosi episodi. Il soggetto è tolto dal ciclo epico carolingio, caro sempre al popolo italiano, il quale nel tempo in cui il Boiardo cantava le imprese contro i Saracini, era trepidante per le nuove conquiste di Maometto II, che aveva preso Otranto (1480). Dal ciclo d'Artù il Boiardo ha derivato, per i suoi paladini, ne' più antichi romanzi rozzi e grossolani anche nell' amore, quella vaghezza d' avventure e quella gentilezza di sensi, che è propria ai cavalieri della tavola rotonda, i quali combattono con forza da giganti ma colla cortesia più squisita; e i due cicli ha insieme riunito con felicità meravigliosa, e nuova arte. La novità principale è che Orlando, di rado e fugacemente per l'innanzi rappresentato come preso d'amore, è anch'esso innamorato (cfr. Orlando innam., lib. I, c. I, st. 2, 3; lib. II, c. XVIII, st. 1-3). La mitologia antica e la classicità hanno ciascuna conferito qualcosa di proprio; ma trasformate con magistero tutto moderno. Laddove, come dicemmo, il poema del Pulci ci offre immagine della cultura popolana di Firenze e della famiglia e clientela Medicea, questo del Boiardo è fedele ritratto della vita cortigiana della reggia Estense, ove le antiche usanze guerriere e feudali si raggentilivano nel nuovo e fervente culto dell'umanesimo. Vi sono, è pur da avvertire, molti accenni a cose e persone contemporanee al poeta. Il Boiardo colla felice unione degli elementi vari dei due cicli romanzeschi, e mescolando ad essi le bellezze d'arte e di stile de' classici, può senza dubbio dirsi il primo poeta epico italiano. Personaggio principale e più originale è Angelica: notevoli sono Orlando, Brunello, Astolfo, Rodamonte, Brandiamante, tra gli altri. Tutti i personaggi del resto, nel loro nuovo atteggiamento, hanno qualche cosa di più conforme all'umana natura, che non fosse nei poemi anteriori. Vi è del nuovo anche nelle formole, già tutte religiose, d'invocazione e di commiato dei canti; e specialmente gli esordi, per la maggior parte morali e filosofici, sono abilmente variati fra loro. Il meraviglioso de' maghi e delle fate sostituisce oramai le potenze angeliche mistiche e divine; e questa sorta di meraviglioso sarà poi anche maggiormente colorito dalla potente fantasia dell' Ariosto. Ma nel ritrarre i suoi personaggi, il Boiardo, che rivolgeva il suo canto a una società colta e che non credeva come la plebe a quelle strane avventure, fa trapelare abilmente e con fina ironia un certo scetticismo, senza peraltro proporsi a suo fine

la celia e la parodia. L'intreccio de' racconti è complicatissimo, ma condotto con accortezza e maestria. Quel seguito, tuttavia, di duelli e di battaglie che non finiscon mai, a lungo andare riesce un po' monotono e prolisso. I caratteri poi son più accennati e tratteggiati che disegnati e scolpiti: il poeta si intrattiene più a raccontar fatti, che a scrutare l'animo e le passioni de' suoi eroi. Alla famiglia de' principi d' Este, e anche in questo precede egli ed ispira l'Ariosto, paga il suo tributo d' adulazione, immaginandone l'origine nel matrimonio di Ruggiero é Brandiamante (Lib. II, c. XXI, 55). Il poema, doveva arrivare, come sembra, fino alla morte di Ruggiero (Lib. III, c. I, 3). Fu esso l'ultimo lavoro del conte di Scandiano: cominciato circa il 1472, poi sospeso nel 1482 per la guerra tra i Veneziani e il Duca di Ferrara; ripreso poi nel 1484 dal terzo libro, occupò, tra le gravi cure dell' ufficio pubblico, tutta la vita del Boiardo. In due libri uscì stampato a Venezia nel 1485 (Piero de' Piasi); l'edizione completa dei sessantanove canti è del 1495 (in Scandiano per Pellegrino de' Pasquali) a cura di Camillo figlio del poeta. Per quel che riguarda lo stile, vi fu biasimata una certa negligenza, e per la lingua la molta scorrettezza e improprietà nel miscuglio di lombardismi e di frasi de' cantastorie. De' continuatori, oltre al vero e grande poeta del Furioso, è da ricordarsi Niccolò degli Agostini (1° libro edito, Venezia 1506); de' rifacimenti quello del Domenichi (1a ediz. Venezia 1545), ma soprattutto fu famoso anche più dell' originale l'altro del Berni (1a ediz. 1542; 2a, 1545); superiore di certo per ricchezza e schiettezza di lingua, ma lodato più del merito, come quello che al Boiardo aggiunse troppo del satirico e giocoso e tolse le grazie di quella robusta e nativa bellezza, che si torna oggi a riconoscere ed ammirare.

[Per la vita e gli scritti del Boiardo, oltre il GASPARY, Gesch. der ital. Lit., II (della trad. italiana, Torino, Loescher, 1891, pagine 201, 256 e seg., 312) che riassume abilmente gli studi precedenti, vedi PANIZZI ANTONIO, Orlando innamorato di Boiardo, Orlando furioso di Ariosto: wit an Essay on the Romantic narrative poetry of the italians. Volume 1o e 2o, London, Pickering, 1830.]

Duello notturno d'Orlando e Agricane.

Orlando ed Agricane un'altra fiata
Ripreso insiem avean crudel battaglia ;
La più terribil mai non fu mirata,
L'arme l'un l'altro a pezzo a pezzo taglia.
Vede Agrican sua gente sbarattata,
Ne le può dar aiuto che le vaglia,
Però che Orlando tanto stretto il tiene,
Che star con seco a fronte gli conviene.

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