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DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA.

LETTERE DODICI

AL SIG. DON VINCENZO FERRANTI

Professore all' Università di Bologna.

(1855.)

DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA.

LETTERE DODICI AL SIGNOR DON VINCENZO FERRANTI

PROFESSORE ALL'UNIVERSITÀ DI BOLOGNA.

LETTERA I.

Delle controversie che oggidì s'agitano nel mondo, una delle più gravi, se non forse la gravissima, è quella intorno alla libertà religiosa. Per quanto a prima giunta. appaia che le costituzioni civili, gli ordinamenti politici, la ripartizione delle ricchezze, e le attinenze franazionali siano in cima ai pensieri e agli affetti degli uomini, pure, a chi ben guardi, l'ansietà maggiore scorgesi tuttavia nelle cose dell'anima. Imperocchè sebbene l'uomo sia svagato dagli oggetti di fuori, e disperso in tanta varietà di occupazioni e di commerci, pur tratto tratto è revocato alla propria coscienza, e alla contemplazione del suo cómpito in terra e del suo destino dopo la morte. I quali pensieri, se per la grandezza che in sè hanno esaltano lo spirito, per la terribilità loro lo umiliano e lo spaventano. Con essi le scienze tutte hanno qualche attinenza, e talune ci metton capo, o ne piglian la norma e l'indirizzo. Similmente le credenze religiose s'insinuano anche inconsapevolmente nelle cotidiane determinazioni che l'uom piglia, e la efficacia loro è grande in tutti gli atti della vita. Indi la potestà civile fu inchinata sempre a mesco

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larsene, quando per proteggerle, quando per signoreggiarle, e talora servì alla fede, più spesso se ne servì ai proprii intendimenti. D'altra parte i diritti che l' età moderna propugna ed esalta, s'appuntano e si collegano alla libertà della coscienza. Imperocchè le franchigie del Medio Evo erano più presto prerogative di classi e di corporazioni, privilegio alla elezione del Governo, temperamenti di monarchia o di repubblica, di quello che diritti espressi e comuni. La libertà giuridica e universale che noi andiamo cercando, siccome conforme a ragione, confacente alla dignità umana e generatrice di un nuovo ordine di cose, è il portato della civiltà moderna. Dimostrata dai filosofi del secolo decimottavo, ne' loro scritti, essa fu messa in atto per la prima volta nelle colonie americane, allorchè, scosso il giogo dell'Inghilterra, rivendicarono la loro indipendenza: indi la Francia trasse le sue categorie dei diritti umani, e quelli che oggi con baldanza chiama principii del 1789. La via del mezzo fra lo stato antico sociale e il moderno, gli espedienti proposti e provati sovente in questa materia, possono farsi buoni per opportunità, e perchè il trapasso non sia d'un salto, ma non hanno valor di fine, nè costituiscono una teorica razionale e logicamente connessa. Uopo è adunque risolversi pro o contro quei principii, e accettare le conseguenze che dal sì o dal no derivano necessariamente. Di tal guisa sentono gli ingegni più eletti e vanno in traccial della verità con quell'ardore affannoso di che l'anima è piena quando riguarda le cose a sè più intime e più essenziali. Vedete il Rosmini e il Gioberti in Italia, il Bunsen in Germania, il Gladstone in Inghilterra, come dopo lunghe disquisizioni sempre s'abbattano a quel punto, e riconoscendo l'importanza del problema s'affaticano di scioglierlo. E voi pure, o mio caro amico, non dubitaste trattarne dalla cattedra, parendovi che

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il diritto naturale e delle genti scaturisca dalle medesime fonti, e corra per l'uno o per l'altro rivo secondo che accetta o ripudia la libertà religiosa. Ben m'accorgo che le passioni accanitamente s' inframettono di questa controversia, e le danno sembianza di pugna ostinata e crudele: lo veggo nel Belgio, nella Svezia, in Italia e nella stessa Francia. Ma noi deplorando, lascieremo da parte tutto che la cupidità, l'ambizione o il rancore può mescolarvi di sofistico e di torbido. E guardando solo al vero ed al bene, termine fisso de' nostri studii, accoglieremo di buon grado, e qual ch'ella si sia, quella conclusione che discenderà da savie premesse e da forte raziocinio, non a guisa di pusilli che paventano di alzare il velo della scienza, e chiudon gli occhi a quel che contrasta alle abitudini e ai pregiudizii ricevuti nell'animo. Però nel manifestarvi questi pensieri che sovente ho meditato, e non senza dubbietà ed angustia, io mi dichiaro volonteroso di ascoltare le vostre osservazioni, e pronto a riconoscere l'errore ove mi sia dimostrato. E per entrare senz'altro in materia, comincierò dal ben circoscrivere il soggetto di queste lettere, e metterle nei termini più chiari e più semplici, i quali mi paiono i seguenti.

I doveri, come i diritti, degli uomini cadono tutti sotto la legge morale, ma non tutti cadono sotto la legge positiva. Avvegnachè sebbene l'uomo nasca alla società e particolarmente alla società civile, tuttavia questa non governa tutti i suoi atti, ma solo quella specie di essi che è ordinata al suo fine. La quale specie di doveri, più ristretta del dovere in genere, ha poi questa caratteristica che vien promulgata e sancita da un'autorità imperante, che ne impone l'adempimento e ne punisce la violazione.

Queste premesse mi paiono addimostrate dai filosofi, e dagli scrittori di morale e di diritto per guisa che

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