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nato l'ambizione de' nobili. Vedesi per questo ancora, quanto gli uomini stimano più la roba, che gli onori. Perchè la nobiltà romana sempre negli opori cedè senza scandali straordinari alla plebe; ma come si venne alla roba fu tanta l'ostinazione sua nel difenderla, che la plebe ricorse per isfogare l'appetito suo a quelli straordinari che di sopra si discorrono. Del qual disordine furono motori i Gracchi, de' quali si debbe laudare più l'intenzione che la prudenza. Perchè a voler levar via uno disordine cresciuto in una repubblica, e per questo fare una legge che riguardi assai indietro, è partito male considerato; e come di sopra largamente si discorse, non si fa altro che accelerar quel male a che quel disordine ti conduce; ma temporeggiandolo, o il male viene più tardo, o per sè medesimo con il tempo, avanti che venga al fine suo, si - spegne.

CAPITOLO XXXVIII.

Le Repubbliche deboli sono male risolute, e non si sanno deliberare; e se le pigliano mai alcuno partito, nasce più da necessità che da elezione.

ESSENDO in Roma una gravissima pestilenza, e parendo per questo ai Volsci e agli

Equi che fusse venuto il tempo di potere oppressar Roma, fatto questi due popoli un grossissimo esercito, assaltarono i Latini e gli Ernici, e guastando il loro paese furono costretti i Latini e gli Ernici farlo intendere a Roma, e pregare che fussero difesi da' Romani; a' quali, sendo i Romani gravati dal morbo, risposero, che pigliassero partito di difendersi da loro medesimi e con le loro armi perchè essi non li potevano difendere. Dove si conosce la generosità e la prudenza di quel senato, e come sempre in ogni fortu. na volle essere quello che fusse principe delle deliberazioni che avessero a pigliare i suoi; nè si vergognò mai deliberare una cosa che fusse contraria al suo modo di vivere, o ad altre deliberazioni fatte da lui, quando la necessità gliene comandava. Questo dico, perchè altre volte il medesimo senato aveva vietato ai detti popoli l'armarsi e difendersi; talchè ad un senato meno prudente di questo sarebbe parso cadere del grado suo a concedere loro tale difensione. Ma quello sempre giudicò le cose come si debbono giudicare, e sempre prese il meno reo partito per migliore; perchè male gli sapeva non potere difendere i suoi sudditi, male gli sapeva che si armassero senza loro, per le ragioni dette, e per molte altre che s'intendono; nondimeno conoscendo che si sarebbono armati

per necessità ad ogni modo, avendo il nimico addosso, prese la parte onorevole; e volle che quello ch' eglino avevano a fare, lo facessero con licenza sua, acciocchè avendo disubbidito per necessità, non si avvezzassero a disubbidire per elezione. È benchè questo paia partito che da ciascuna repubblica dovesse esser preso, nientedimeno le repubbliche deboli e male consigliate non lo sanno pigliare, nè si sanno onorare di simili necessità. Aveva il duca Valentino presa Faenza, e fatto calare Bologna agli accordi suoi. Dipoi volendosene tornare a Roma per la Toscana, mandò in Firenze un suo uomo a domandare il passo per sè e per il suo esercito. Consultossi in Firenze come si avesse a governare questa cosa, nè fu mai consigliato per alcuno di concedergliene. In che non si seguì il modo romano perchè sendo il duca armatissimo, ed i Fiorentini in modo disarmato che non gli potevano vietare il passare, era molto più onore loro che paresse che passasse con permissione di quelli, che a forza; perchè dove vi fu al tutto il loro vituperio, sarebbe stato in parte minore quando l'avessero governata altrimenti. Ma la più cattiva parte che abbiano le repubbliche deboli, è l' essere irresolute; in modo che tutti i partiti che le pigliano, li pigliano per forza, e se

viene loro fatto alcuno bene, lo fanno forzato e non per prudenza loro. Io voglio dare di questo due altri esempi, occorsi ne'tempi nostri nello stato della nostra città, nel mille cinquecento. Ripreso che il re Luigi XII di Francia ebbe Milano, desideroso di rendergli Pisa, per aver cinquantamila ducati che gli erano stati promessi da' Fiorentini dopo tale restituzione, mandò gli sudi eserciti verso Pisa capitanati da monsignor di Beaumonte, benchè Francese, nondimanco uomo in cui i Fiorentini assai confidavano. Condussesi questo esercito e questo capitano tra Cascina e Pisa per andare a combattere le mura, dove dimorando alcun giorno per ordinarsi alla espugnazione, vennero oratori ·Pisani a Beaumonte, e gli offerirono di dare la città allo esercito francese con questi patti, che sotto la fede del re promettesse non la mettere in mano de' Fiorentini prima che dopo quattro mesi. Il qual partito fu da' Fiorentini al tutto rifiutato, in modo che si seguì nello andarvi a campo, e partissene con vergogna. Nè fu rifiutato il par-tito per altra cagione che per diffidare della fede del re, come quelli che per debolezza di consiglio si erano per forza messi -nelle mani sue; e dall'altra parte non se ne fidavano, nè vedevano quanto era meglio che il re potesse rendere loro Pisa sendovi

dentro; e non la rendendo, scuoprire l'animo suo, che non l'avendo, poterla loro promettere, e loro esser forzati comperare quelle promesse. Talchè molto più utilmente arebbono fatto a consentire che Beaumonte l'avesse sotto qualunque promessa presa, come se ne vide l'esperienza dipoi nel 1502, che essendosi ribellato Arezzo, venne, al soccorso de' Fiorentini mandato dal re di Francia monsignor Imbalt con gente francese; il quale giunto propinquo ad Arezzo, dopo poco tempo cominciò a praticar accordo con gli Aretini, i quali sotto certa fede volevano dare la terra a similitudine de' Pisani. Fu rifiutato in Firenze tale partito, il che veggendo Monsignor Imbalt, e parendogli come i Fiorentini se ne intendessero poco, cominciò a tenere le pratiche dello accordo da osè, senza participazione de' commissari; tanto che e' lo conchiuse a suo modo, e sotto quello con le sue genti se n'entrò in Arezzo, facendo intendere ai Fiorentini come egli erano malti, e non s'intendevano delle cose del mondo; che, se volevano Arezzo, lo facessero intendere al re, il quale lo poteva dar loro molto meglio, avendo le sue genti in quella città, che fuori. Non si restava in Firenze di lacerare e biasimare detto Imbalt, nè si restò mai, infino a tanto che si conobbe che se Beau

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