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che a' buoni soldati manchino i danari, come che i danari per loro medesimi trovino i buoni soldati. Mostra questo, che noi diciamo, essere vero ogni istoria in mille luoghi. Non ostante che Pericle consigliasse gli Ateniesi a far guerra con tutto il Peloponneso, mostrando che e' potevano vincere quella guerra con la industria e con la forza del danaro, e benchè in tale guerra gli Ateniesi prosperassero qualche volta, in ultimo la perderono, e valsono più il consiglio e gli buoni soldati di Sparta, che la industria ed il danaro di Atene. Ma Tito Livio è di questa opinione, più vero testimone che alcun altro, dove, discorrendo se Alessandro Magno fusse venuto in Italia, s'egli avesse vinto i Romani, mostra essere tre cose necessarie hella guerra, assai soldati e buoni, capitani prudenti e buona fortuna: dove esaminando quali o i Romani o Alessandro prevalessero in queste cose, fa dipoi la sua conclusione senza ricordare mai i danari. Doverono i Campani, quando furono richiesti da' Sidicini che prendessero le armi per loro contro ai Sanniti, misurare la potenza loro dai danari, e non dai soldati, perchè preso ch'egli ebbero partito di aiu tarli, dopo due rotte furono costretti farsi tributari de' Romani se si vollono salvare.

CAPITOLÓ XI.

Non è partito prudente far amicizia con un principe che abbia più opinione che forze. VOLENDO Tito Livio mostrare lo errore dei Sidicini a fidarsi dello aiuto de' Campani, e lo errore de' Campani a credere poterli difendere, non lo potrebbe dire con più vive parole, dicendo: Campani magis nomen in auxilium Sidicinorum, quam vires ad praesidium attulerunt. Dove si debbe notare che le leghe che si fanno co' principi che non abbiano o comodità d'aiutarti per la distanza del sito, o forze di farlo per suo disordine, e altra sua cagione, arrecano più fama che aiuto a coloro che se ne fidano ; come intervenne ne' di nostri ai Fiorentini, quando nel 1479 il papa e il re di Napoli gli assaltarono, che essendo amici del re di Francia, trassono di quella amicizia magis nomen, quam praesidium; come interverrebbe ancora a quel principe, che confidatosi di Massimiliano imperatore facesse qualche impresa, perchè questa è una di quelle amicizie che arrecherebbe a chi la facesse magis nomen, quam praesidium, come si dice in questo testo, che arrecò quella de' Cam pani ai Sidicini. Errarono adunque in questa parte i Campani, per parere loro avere

poca

più forze che non avevano. E cosi fa la prudenza degli uomini qualche volta, che non sapendo, nè potendo difendere sè medesimi, vogliono prendere imprese di difendere altrui; come fecero ancora i Tarantini, i quali, sendo gli eserciti romani all'incontro dell'esercito de' Sanniti, mandarono ambasciatori al consolo romano a fargli intendere come ei volevano pace tra quelli duoi popoli, e come erano per fare guerra contro a quello che dalla pace si discostasse. Talche il consolo ridendosi di questa proposta, alla presenza di detti ambasciatori fece suonare a battaglia, ed al suo esercito comandò che andasse a trovare il nimico, mostrando ai Tarantini con l'opera e non con le parole di che risposta essi erano degni. Ed avendo nel presente capitolo ragio nato dei partiti che pigliano i principi al contrario per la difesa d'altrui, voglio nel seguente parlare di quelli che si pigliano per la difesa propria.

CAPITOLO XII.

S' egli è meglio, temendo di essere assaltato, inferire, o aspettare la guerra.

Io ho sentito da uomini assai pratichi nelle cose della guerra qualche volta disputare,

par

se sono duoi principi quasi di eguali forze, se quello più gagliardo abbia bandito la guerra contro a quell' altro, quale sia miglior par tito per l'altro, o aspettare il nimico dentro ai confini suoi, o andarlo a trovare in casa, ed assaltare lui. E ne ho sentito addurre ragioni da ogni parte. E chi difende lo andare assaltare altrui ne allega il consiglio che Creso dette a Ciro, quando, arrivato in su i confini de' Massageti per fare loro guerra, la loro regina Tamiri gli mandò a dire, che eleggesse quale de' duoi titi volesse, o entrare nel regno suo, dove essa lo aspetterebbe, o volesse che ella venisse a trovar lui. E venuta la cosa in disputazione, Creso, contro all'opinione degli altri, disse che si andasse a trovare lei, allegando che se egli la vincesse discosto al suo regno, ch'ei non le torrebbe il regno, perchè ella arebbe tempo a rifarsi; ma se Îa vincesse dentro a' suoi confini, potrebbe seguirla in su la fuga, e non le dando spazio a rifarsi, torle lo stato. Allegano ancora il consiglio che dette Annibale ad Antioco, quando quel re diseguava fare guerra ai Romani, dove ei mostrò come i Romani non si potevano vincere se non in Italia, perchè quivi altri si poteva valere dell'armi, e delle ricphezze e degli amici lcro; ma chi li com

batteva fuori d'Italia, e lasciava loro l' Italia libera, lasciava loro quella fonte, che mai le manca vita a somministrare forze dove bisogna; e conchiuse che ai Romani si poteva prima torre Roma che lo impero, e prima la Italia che le altre province. Allega ancora Agatocle, che non potendo sostenere la guerra di casa, assaltò i Car taginesi che gliene facevano, e li ridusse a domandare pace. Allega Scipione, che per levare la guerra d'Italia, assaltò l'Affrica. Chi parla al contrario dice, che chi vuole fare capitare male uno nimico, lo discosti da casa. Allegano gli Ateniesi, che mentre che feciono la comoda alla casa loro guerra restarono superiori; come si discostarono ed andarono con gli eserciti in Sicilia, perderono la libertà. Allega le favole poetiche, dove si mostra, che Anteo re di Libia, assaltato da Ercole Egizio, fu insuperabile mentre che lo aspettò dentro a' confini del suo regno, ma come e' se ne discostò per astuzia di Ercole, perdè lo stato e la vita. Onde è dato luogo alla favola di Anteo, che sendo in terra ripigliava le forze da sua madre che era la terra, e che Ercole avvedutosi di questo lo levò in alto, e discostolla dalla terra. Allegane ancora i giudicj moderni. Ciascuno sa come Ferrando re di Napoli fu ne'suoi tempi tenuto un savissime

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