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sputa, Annio loro pretore disse queste parole: Ad summam rerum nostrarum pertinere arbitror, ut cogitetis magis quid agendum nobis, quam quid loquendum sit. Facile erit, explicatis consiliis, accomodare rebus verba. Sono senza dubbio queste parole verissime, e debbono essere da ogni principe e da ogni repubblica gustate; perchè nella ambiguità e nella incertitudine di quello che altri voglia fare, non si sanno accomodare le parole; ma fermo una volta l'animo, e deliberato quello sia da eseguire, è facil cosa trovarvi le parole. Io ho notato questa parte più volentieri, quanto io ho molte volle conosciuto tale ambiguità avere nociuto alle pubbliche azioni, con danno e con vergogna della repubblica nostra. E sempre mai avverrà che nei partiti dubbi, e dove bisogni animo a deliberarli, sarà questa ambiguità, quando abbiano ad esser consigliati e deliberati da uomini deboli. Non sono meno nocive ancora le deliberazioni lente e tarde, che ambigue, massime quelle che si hanno a deliberare in favore di alcuno amico; perchè con la lentezza loro non si aiuta persona, e nuocesi a sè medesimo. Queste deliberazioni così fatte procedono o da debolezza di animo e di forze, o da malignità di coloro che hanno a deliberare; i quali, mossi dalla passione propria

di volere rovinare lo stato, o adempire qualche suo desiderio, non lasciano seguire la deliberazione, ma la impediscono e l'attraversano. Perchè i buoni cittadini, ancora che veggano una foga popolare voltarsi alla parte perniciosa, mai impediranno il deliberare, massime di quelle cose che non aspettano tempo. Morto che fu Girolamo tiranno in Siracusa, essendo la guerra grande tra i Cartaginesi e i Romani, vennero i Siracusani in disputa se dovevano seguire l'amicizia romana o la cartaginese. E tanto era l'ardor delle parti, che la cosa stava ambigua, nè se ne prendeva alcun partito, infino a tanto che Apollonide; uno de' primi in Siracusa, con una sua orazione piena di prudenza mostrò, come non era da biasimare chi teneva l'opinione di aderirsi ai Romani, nè quelli che volevano seguire la parte cartaginese; ma che era ben da detestare quella ambiguità e tardità di pigliare il partito, perchè vedeva al tutto in tale ambiguità la rovina della repubblica; ma preso che si fusse il partito, qualunque ei si fusse, si poteva sperare qualche bene. Ne potrebbe mostrare più Tito Livio, che si faccia in questa parte, il danno che si tira dietro lo stare sospeso. Dimostralo aneora in questo caso de Latini; perchè sendo i Lavini ricerchi da loro di aiuto contro ai

Romani, differirono tanto a deliberarlo, che quando eglino erano usciti appunto fuori della porta con la gente per dare loro soccorso, venne la nuova i Latini esser rotti. Donde Milonio loro pretore disse: Questo poco della via ci costerà assai col popolo romano. Perchè se si deliberavano prima o di aiutare o di non aiutare i Latini, non gli aiutando ei non irritavano i Romani; aiutandoli, essendo l'aiuto in tempo, potevano con l'aggiunta delle loro forze farli vincere; ma differendo, venivano a perdere in ogni modo, come intervenne loro. E se i Fiorentini avessero notato questo testo, non arebbono avuto con i Francesi nè tanti danni, nè tante noie, quante ebbero nella passata del re Luigi di Francia XII, che fece in Italia contro a Lodovico, duca di Milano. Perchè trattando il re tale passata, ricercò i Fiorentini d'accordo, e gli oratori ch'erano appresso al re accordarono con lui ch'egli stessero neutrali, e che il re venendo in Italia gli avesse a mantenere nello stato e ricevere in protezione, e dette tempo un mese alla città a ratificarlo. Fu differita tale ratificazione da chi per poca prudenza favoriva le cose di Lodovico, in tanto che il re, già sendo in su la vittoria, e volendo poi i Fiorentini ratificare, non fu la ratificazione accettata, come quello che conobbe

i Fiorentini esser venuti forzati e non volontari nella amicizia sua. Il che costò alla città di Firenze assai danari, e fu per perdere lo stato, come poi altra volta per simile causa le intervenne. E tanto più fu dannabile quel partito, perchè non si servì ancora il duca Lodovico; il quale se avesse vinto, arebbe mostri molti più segni d'inimicizia contro ai Fiorentini che non fece il re. E benchè del male che nasce alle repubbliche di questa debolezza se ne sia di sopra in uno altro capitolo discorso, nondimeno avendone di nuovo occasione per uno nuovo accidente, ho voluto replicarne, parendomi massime materia che debba essere dalle repubbliche simili alla nostra

notata.

CAPITOLO XVI.

Quanto i Soldati ne' nostri tempi si disformino dagli antichi ordini.

La più importante giornata che fu mai fatta in alcuna guerra con alcuna nazione dal popolo romano, fu questa che ei fece con popoli latini nel consolato di Tor quato e di Decio. Perchè ogni ragione vuole, che così come i Latini per averla perduta diventarono servi, così sarebbono stati servi i Romani quando non l'avessero vin

ta. E di questa opinione è Tito Livio, perchè in ogni parte fa gli eserciti pari di ordine, di virtù, d'ostinazione e di numero; solo vi fa differenza, che i capi dello esercito romano furono più virtuosi che quelli dell'esercito latino. Vedesi ancora come nel maneggio di questa giornata nacquero duoi accidenti non prima nati, e che dipoi hanno rari esempi, che di duoi consoli, per tenere fermi gli animi de' soldati, ed ubbidienti al comandamento loro, e deliberati al combattere, l'uno ammazzò sè stesso, e l'altro il figliuolo. La parità che Tito Livio dice essere in questi eserciti era, che per avere militato gran tempo insieme erano pari di lingua, d'ordine e d'arme; perchè nello ordinare la zuffa tenevano un modo medesimo, e gli ordini e i capi degli ordini avevano i medesimi nomi. Era adunque necessario, sendo di pari forze e di pari virtù, che nascesse qualche cosa straordinaria che fermasse e facesse più ostinati gli animi dell'uno che dell'altro; nella quale ostinazione consiste, come altre volte si è detto, la vittoria, perchè mentre che la dura ne' petti di quelli che combattono, mai non danno volta gli eserciti. E perchè la durasse più ne'petti de' Romani che dei Latini, parte la sorte, parte la virtù de' consoli fece nascere che Torquato ebbe ad ammazzare il figliuolo, e Decio sè stesso. Mostra Tito Livio,

nel

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