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uno esercito in una città, in venga ad es sere assediato, ed in poco tempo patir fame e venire a dedizione. Talchè fuggire la giornata per queste due vie è dannosissimo. Il modo che tenne Fabio Massimo di stare ne’luoghi forti, è buono quando tu hai si virtuoso esercito che il nimico non abbia ardire di venirti a trovare dentro ai tuoi vantaggi. Ne si può dire che Fabio fuggisse la giornata, ma piuttosto che la volesse fare a suo vantaggio. Perchè se Annibale fusse ito a trovarlo, Fabio l'arebbe aspettato, e fatto giornata seco; ma Annibale non ardì mai di combattere con lui a modo di quello. Tanto che la giornata fu fuggita così da Annibale, come da Fabio: ma se uno di loro l'avesse voluta fare in ogni modo, l'altro non vi aveva se non uno dei tre rimedi, cioè i due sopraddetti, o fuggirsi. Che questo che io dico sia vero, si vede manifestamente con mille esempi, e massime nella guerra che i Romani fecero con Filippo di Macedonia padre di Perse; perchè Filippo sendo assaltato dai Romani deliberò non venire alla zuffa, e per non vi venire volle fare prima, come aveva fatto Fabio Massimo in Italia, e si pose col suo esercito sopra la sommità d'un monte, dove si afforzò assai, giudicando che i Romani non avessero ardire di andare a trovarlo. Ma an

Jativi, e combattutolo, lo cacciarono di quel monte, ed egli non potendo resistere si fuggi con la maggior parte delle genti. E quel che lo salvò, che non fu consumato in tutto, fu la iniquità del paese, qual fece che i Romani non poterono seguirlo. Filippo adunque non volendo azzusfarsi, ed essendosi posto con il campo presso ai Romani, si ebbe a fuggire; ed avendo conosciuto per questa esperienza, come non volendo combattere non gli bastava stare sopra i monti, e nelle terre non volendo rinchiudersi, deliberò pigliar l'altro modo, di stare discosto molte miglia al campo romano. Onde se i Romani erano in una provincia, ei se ne andava nell'altra; e così sempre donde i Romani partivano, esso entrava. E veggendo al fine come nello allungare la guerra per questa via le sue condizioni peggioravano, e che i suoi soggetti, ora da lui, ora dai nimici erano oppressi, deliberò di tentare la fortuna della zuffa, e così venne con i Romani ad una giornata giusta. È utile adunque non combattere quando gli eserciti hanno queste condizioni che aveva l'esercito di Fabio, e che ora ha quello di Gneo Sulpizio, cioè avere uno esercito sì buono, che il nimico non ardisca venirti a trovare dentro alle fortezze tue, e che il nimico sia in casa tua senza avere preso

molto pie, dove ei patisca necessità del vi vere. Ed è in questo caso il partito utile, per le ragioni che dice Tito Livio: Nolens se fortunae committere adversus hostem, quem tempus deteriorem in dies, et locus alienus faceret. Ma in ogni altro termine non si può fuggir la giornata, se non con tuo disonore e pericolo. Perchè fuggirsi, come fece Filippo, è come essere rolio, e con più vergogna, quanto meno s'è fatto prova della tua virtù. E se a lui riuscì salvarsi, non riuscirebbe ad un altro, che non fusse aiutato dal paese come egli. Che Annibale non fusse maestro di guerra, nessuno mai non lo dirà, ed essendo all' incontro di Scipione in Affrica, se egli avesse veduto vantaggio in allungare la guerra, e' l'arebbe fatto; e per avventura, sendo lui buon capitano, ed avendo buono esercito, lo arebbe potuto fare, come fece Fabio in Italia, ma non l'avendo fatto, si debbe credere che qualche cagione impor tante lo muovesse. Perchè un principe che abbia uno esercito messo insieme, e vegga che per difetto di danari o d'amici ei non può tenere lungamente tale esercito, è matto al tutto se non tenta la fortuna innanzi che tal esercito s'abbia a risolvere; perchè aspettando ei perde al certo, tentando potrebbe vincere. Un'altra cosa ci è ancora da stimare assai, la quale è: Che si debbe,

eziandio perdendo, volere acquistar gloria; e più gloria si ha ad esser vinto per forza, che per altro inconveniente che l'abbia fatto perdere. Sicchè Annibale doveva essere costretto da queste necessità. E, dall' altro canto, Scipione, quando Annibale avesse differita la giornata, e non gli fusse bastato l'animo d andarlo a trovare ne' luoghi forti, non pativa per aver di già vinto Siface, e. acquistate tante terre in Aftrica, che vi poteva star sicuro e con comodità come in Italia. Il che non interveniva ad Annibale quando era all'incontro di Fabio, nè a questi Francesi, ch'erano all'incontro di Sulpizio. Tanto meno ancora può fuggire la gior nata colui che con l'esercito assalta il paese altrui; perchè se e' vuole entrare nel pae se del nimico, gli conviene quando il nimico se gli faccia incontro azzuffarsi seco, e se si pone a campo ad una terra, s'obbliga tanto più alla zuffa; come ne' tempi nostri intervenne al duca Carlo di Borgogna, che sendo a campo a Moralto, terra de' Svizzeri, fu da'Svizzeri assaltato e rotto; e come intervenne all'esercito di Francia, che campeggiando a Novara, fu medesimamente dai Svizzeri rotto.

CAPITOLO XI.

Che chi ha a fare con assai, ancora che sia inferiore, purchè possa Sostenere i primi Impeti, vince.

LA

potenza de'tribuni della plebe nella città di Roma fu grande, e fu necessaria, come molte volte da noi è stato discorso; perchè altrimenti non si sarebbe potuto porre freno all'ambizione della nobiltà, la quale arebbe molto tempo innanzi corrotta quella repubblica, che la non si corruppe. Nondimeno, perchè in ogni cosa, come altre volte si è detto, è nascosto qualche proprio male che fa surgere nuovi accidenti, è necessario a questi con nuovi ordini provvedere. Essendo pertanto divenuta l'autorità tribunizia insolente, e formidabile alla nobiltà ed a tutta Roma, e' ne sarebbe nato qualche inconveniente dannoso alla libertà romana, se da Appio Claudio non fusse stato mostrato il modo con il quale si avevano a difendere contro all'ambizione de'tribuni; il quale fu che trovarono sempre infra loro qualcuno che fusse o pauroso o corruttibile o tore del comun bene, talmente che lo disponevano ad opporsi alla volontà di quelli altri che volessero tirare innanzi alcuna

ama

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