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tale necessità, e per conseguenza tale ostinazione, promettendo perdono, se egli hanno paura della pena; e se egli avessero paura della libertà, mostrare di non andare contro al comune bene, ma contro a pochi ambiziosi della città. La qual cosa molte volte ha facilitato imprese e l'espugnazioni delle terre. E benchè simili colori siano facilmente conosciuti, e massime dagli uomini prudenti, nondimeno vi sono spesso ingannati i popoli, i quali, cupidi della presente pace, chiudono gli occhi a qualunque altro laccio, che sotto le larghe promesse si tendesse; e per questa via infinite città sono diventate serve, come intervenne a Firenze nei prossimi tempi, e come intervenne a Crasso ed all'esercito suo, il quale, ancora che conoscesse le vane promesse de' Parti, le quali erano fatte per tor via la necessità ai suoi soldati del difendersi, nondimeno non potette tenerli ostinati, accecati dalle offerte della pace ch'erano fatte loro dai loro nimici, come si vede particolarmente leggendo la vita di quello. Dico pertanto, che avendo i Sanniti, fuora della convenzione dell'accordo, per l'ambizione di pochi, corso e predato sopra i campi dei confederati romani, ed avendo dipoi mandati ambasciadori Roma a chieder pace, offerendo di restituire le cose predate, e di

dare prigioni gli autori de' tumulti e della preda, furono ributtati da' Romani; e ritornati a Sannio senza speranza d'accordo, Claudio Ponzio, capitano allora dell'esercito de' Sanniti, con una sua notabile orazione mostrò, come i Romani volevano in ogni modo guerra, e benchè per loro si desiderasse la pace, la necessità gli faceva seguire la guerra, dicendo queste parole: Justum est bellum, quibus necessarium, et pia arma, quibus nisi in armis spes est: sopra la qual necessità egli fondò con gli suoi soldati la speranza della vittoria. E per non avere a tornare più sopra questa materia, mi pare d'addurvi quelli esempi romani che sono più degni d'annotazione. Era Caio Manilio con l'esercito all'incontro de' Veienti, ed essendo parte dell'esercito veientano entrato dentro agli steccati di Manilio, corse Manilio con una banda al soccorso di quel li, e perchè i Veienti non potessero salvarsi, occupò tutti gli aditi del campo; onde veggendosi i Veienti rinchiusi, cominciarono a combattere con tanta rabbia, ch'egli ammazzarono Manilio, ed arebbero tutto il resto de' Romani oppresso, se dalla prudenza d'un tribuno non fusse stato loro aperta la via ad andarsene. Dove si vede, come mentre la necessità costrinsei Veienti a combattere, e' combatterono ferocissimamente,

ma quando videro aperta la via, pensarono più a fuggire che a combattere. Erano entrati i Volsci e gli Equi con gli eserciti lore ne' confini romani. Mandossi loro all'incontro i consoli. Talchè nel travagliare la zuffa, l'esercito de' Volsci, del quale era capo Vezio Messio, si trovò ad un tratto rinchiuso tra gli steccati suoi, occupati da' Romani, e l'altro esercito romano; e veggendo come gli bisognava o morire, o farsi la via col ferro, disse ai suoi soldati queste parole: Ite mecum, non murus, nec vallum, sed armati armatis obstant; virtute pares, necessitate 9 quae ultimum ae maximum telum est, superiores estis. Sicchè questa necessità è chiamata da Tito Livio ULTIMUM AC MAXIMUM TELUM. Cammillo, prudentissimo di tutti i capitani romani, sendo già dentro nella città dei Veienti con il suo esercito per facilitare il pigliare quella, e torre ai nimici una ultima necessità di difendersi, comandò in modo, che i Veienti udirono che nessuno offendesse quelli che fussero disarmati. Talchè, gittate le armi in terra, si prese quella città quasi senza sangue. 11 qual modo fu dipoi da molti capitani osservato.

CAPITOLO XIII.

Dove sia più da Confidare, o in un buono Capitano che abbia l'esercito debole, o in uno buono Esercito che abbia il Capitano debole.

ESSENDO diventato Coriolano esule di Roma, se ne andò ai Volsci, dove contratto uno esercito per vendicarsi contro ai suoi cittadini, se ne venne a Roma; donde dipoi si partì, più per la pietà della sua madre, che per le forze de' Romani. Sopra il qual luogo Tito Livio dice, essersi per questo conosciuto, come la repubblica romana crebbe più per la virtù de' capitani, che de' soldati, considerato come i Volsci per l'addietro erano stati vinti, e solo poi avevano vinto che Coriolano fu loro capitano. E benche Livio tenga tale opinione, nondimeno si vede in molti luoghi della sua istoria, la virtù de' soldati senza capitano aver fatto maravigliose prove, ed essere stati più ordinati e più feroci dopo la morte de' consoli loro, che innanzi che morissero, come occorse nell'esercito ché i Romani avevano in Ispagna sotto gli Scipioni, il quale, morti i due capitani, potè con la virtù sua, non solamente salvar sè stesso, ma vincere il ni

mico, e conservar quella provincia alla repubblica. Talchè, discorrendo tutto, si troveranno molti esempi, dove solo la virtù de' soldati arà vinto la giornata, e molti altri, dove solo la virtù de' capitani arà fatto il medesimo effetto; in modo che si può giudicare l'uno abbia bisogno dell'altro, e l'altro dell'uno. Ecci bene da considerare prima, qual sia più da temere, o d'un buono esercito male capitanato, o d'un buonə capitano accompagnato da cattivo esercito. E seguendo in questo l'opinione di Cesare, si debbe stimare poco l'uno e l'altro. Perchè, andando egli in Ispagna contro ad Afranio e Petreio, che avevano un buono esercito, disse che gli stimava poco: Quia ibat ad exercitum sine duce, mostrando 'la debolezza dei capitani. Al contrario quando andò in Tessaglia contro a Pompeo, disse: Vado ad ducem sine exercitu. Puossi considerare un'altra cosa, a quale è più facile, o ad un buon capitano far un buono esercito, o ad un buon esercito fare un buon capitano. Sopra che dico, che tal quistione par decisa; perchè più facilmente molti buoni troveranno o instruiranno uno, tanto che diventi buono, che non farà uno molti. Lucullo quando fu mandato contro a Mitridate, era al tutto inesperto della guerra: nondimanco quel buono esersito, dov'erano assai ottimi capi, lo fecera

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