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tatore, e cominciò a sgridarli dicendo, che non si vergognavano a fuggire il fumo come le pecchie, e che dovessero rivoltarsi a loro, gridando: Suis flammis delete Fidenas, quas vestris beneficiis placare non potuistis, tornò quello trovato ai Fidenati inutile, e restarono perditori della zuffa.

CAPITOLO XV.

Come uno e non molti siano preposti ad uno Esercito, e come i più Comandatori offen dono.

ESSENDOSI ribellati i Fidenati, ed avendo morto quella colonia che i Romani avevano mandata in Fidene, crearono i Romani, per rimediare a questo insulto, quattro tribuni con potestà consolare, dei quali lasciatone uno alla guardia di Roma, ne mandarono tre contro ai Fidenati ed a' Veienti, i quali per esser divisi intra loro, e disuniti ne riportarono disonore e non danno, perchè del disonore ne furono cagione essi, del non ricevere danno ne fu cagione la virtù dei soldati. Onde i Romani veggendo questo disordine ricorsero alla creazione del dittatore, acciocchè un solo riordinasse quel lo che tre avevano disordinato. Donde si conosce la inutilità di molti comandatori in

uno esercito e in una terra che s'abbia a difendere; e Tito Livio non lo può più chiaramente dire che con le infrascritte parole: Tres Tribuni potestate Consulari documento fuere, quam plurium imperium bello inutile esset; tendendo ad sua quisque consilia, cum alii aliud videretur, aperuerunt ad occasionem locum hosti. E benchè questo sia assai esempio a provare il disordine che fanno nella guerra i più comandatori, ne voglio addurre alcuno altro, e moderno ed antico, per maggiore dichiarazione. Nel mille cinquecento, dopo la ripresa che fece il re di Francia Luigi XII di Milano, mandò le sue genti a Pisa per restituirla ai Fiorentini, dove furono mandati commissari Giovanbatista Ridolfi e Luca d'Antonio degli Albizzi. E perchè Giovanbatista era uomo di riputazione e di più tempo, Luca lasciava al tutto governare ogni cosa a lui; e se egli non dimostrava la sua ambizione con opporsegli, la dimostrava eol tacere, e con lo stracurare e vilipendere ogni cosa in modo, che non aiutava le azioni del campo nè colle opere nè col consiglio, come se fusse stato uomo di nessuno momento. Ma si vide poi tutto il contrario, quando Giovanbatista, per certo accidente seguito, se n'ebbe a tornare a Firenze; dove Luca, rimasto solo, dimostrò quanto con l'animo, con la industria e con il consiglio va

leva: le quali tutte cose, mentre vi fa la compagnia, erano perdute. Voglio di nuovo addurre in confirmazione di questo le parole di Tito Livio, il quale riferendo come essendo mandato dai Romani contro agli Equi Quinzio ed Agrippa suo collega, Agrippa volle tutta l'amministrazione della guerra fosse appresso a Quinzio, e dice: Saluber rimum in administratione magnarum rerum est, summam imperii apud unum esse. Il che è contrario a quello che oggi fanno queste nostre repubbliche e principi, di mandare nei luoghi, per ministrarle meglio, più d'un commissario e più di un capo; il che fa una inestimabile confusione. E se si cercasse la cagione della rovina degli eserciti italiani e francesi nei nostri tempi, si troverebbe la potissima cagione essere stata questa. E puossi conchiudere veramente, Come egli è meglio mandare in una espedizione un uomo solo di comunale pruden za, che due valentissimi uomini insieme con la medesima autorità.

CAPITOLO XVI.

Che la vera Virtù si va ne' tempi difficili a trovare; e ne' tempi facili, non gli uomini virtuosi, ma quelli che per ricchezze o per parentado prevagliono, hanno più grazia. Egli fu sempre, e sempre sarà, che gli uomini grandi e rari in una repubblica nei tempi pacifici sono nègletti; perchè per l'invidia che s'ha tirato dietro la riputazione che la virtù d'essi ha dato loro, si trova in tali tempi assai cittadini che vogliono, non che esser loro eguali, ma esser loro superiori. E di questo n'è un luogo buono in Tucidide istorico greco, il quale mostra come sendo la repubblica ateniese rimasa superiore in la guerra peloponnesiaca, ed avendo frenato l'orgoglio degli Spartani, e quasi sottomessa tutta la Grecia, salse in tanta riputazione, che la disegnò d'occupare la Sicilia. Venne questa impresa in disputa in Atene. Alcibiade e qualche altro cittadino consigliavano che la si facesse, come quelli che pensando poco al bene pubblico, pensavano all'onor loro, disegnando esser capi di tale impresa. Ma Nicia, ch'era il primo intra i reputati d'Atene, la dissuadeva, e la maggiór ragione che nel concionare al po

polo, perchè gli fusse prestato fede, addu. cesse, fu questa, che consigliando esso che non si facesse questa guerra, ei consigliava cosa che non faceva per lui; perchè stando Atene in pace, sapeva come v'erano infiniti cittadini che gli volevano andare innanzi; ma facendosi guerra, sapeva che nessuno cittadino gli sarebbe superiore o eguale. Vedesi pertanto come nelle repubbliche è questo disordine, di far poca stima de'valentuomini ne'tempi quieti. La qual cosa li fa indegnare in due modi; l'uno, per vedersi mancare del grado loro; l'altro, per vedersi far compagni e superiori uomini indegni e di manco sufficienza di loro. Il qual disordine nelle repubbliche ha causato di molte rovine, perchè quelli cittadini che immeri tamente si veggono sprezzare, e conoscono che e' ne sono cagione i tempi facili e non pericolosi, s'ingegnano di turbarli, muovendo nuove guerre in pregiudicio della repubblica. E pensando quali potessero essere i rimedi, ce ne trovo due; l'uno, mantenere i cittadini poveri, acciocchè con le ricchezze senza virtù non potessero corrompere nè loro, nè altri; l'altro, d'ordinarsi in modo alla guerra, che sempre si potesse far guer ra, e sempre s' avesse bisogno di cittadini riputati, come fece Roma ne'suoi primi tempi. Perchè tenendo fuori quella città sem

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