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e così furono esaltati. La esaltazione di tutti due s'è detta. L'offesa, quanto a Scipione, fu che i suoi soldati in Ispagna se gli ribellarono insieme con parte dei suoi amici, la qual cosa non nacque da altro che da non lo temere: perchè gli uomini sono tanto inquieti, ch'ogni poco di porta che si apra loro all'ambizione, dimenticano subito ogni amore ch'egli avessero posto al principe per la umanità sua, come fecero i soldati ed amici predetti. Tanto che Scipione, per rimediare a questo inconveniente, fu costretto usar parte di quella crudeltà ch'egli aveva fuggita. Quanto ad Annibale, non ci è esempio alcuno particolare, dove quella sua crudeltà e poca fede gli nuocesse. Ma si può ben presupporre che Napoli, e molte altre terre che stettero in fede del popolo romano, stessero per paura di quella. Ve desi bene questo, che quel suo modo di vivere empio, lo fece più odioso al popolo romano, che alcun altro nimico ch'avesse mai quella repubblica. In modo che dove a Pirro, mentre ch'egli era con l'esercito in Italia, manifestarono quello che lo voleva avvelenare, ad Annibale mai, ancora che disarmato e disperso, perdonarono, tanto che lo fecero morire. Nacquero dunque ad Annibale, per esser tenuto empio, e rompitore di fede e crudele, queste incomodità, ma

gliene risultò, all'incontro, una comodità grandissima, la quale è ammirata da tutti gli scrittori, che nel suo esercito, ancora che composto di varie generazioni d'uomini, non nacque mai alcuna dissensione, nè infraloro medesimi, nè contro di lui. Il che non potette derivare da altro, che dal terrore che nasceva dalla persona sua. Il quale era tanto grande, mescolato con la riputazione che gli dava la sua virtù, che teneva gli suoi soldati quieti ed uniti. Conchiudo adunque, come e' non importa molto in qual modo un capitano si proceda, purchè in esso sia virtù grande che condisca bene l'uno e l'altro modo di vivere. Perchè, com'è detto, nell'uno e nell'altro è difetto e pericolo quando da una virtù straordinaria non sia corretto. E se Annibale e Scipione, l'uno con cose laudabili, l'altro con detestabili, fecero il medesimo effetto, non mi pare da lasciar indietro il discorrere ancora di duoi cittadi ni romani, che conseguirono con diversi modi, ma tutti duoi laudabili, una medesima gloria.

Machiavelli, vol. III.

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CAPITOLO XXII.

Come la Durezza di Manlio Torquato e l'U manità di Valerio Corvino acquistò a ciascuno la medesima gloria.

E furono in Roma in un medesimo tempo due capitani eccellenti, Manlio Torquato e Valerio Corvino, i quali di pari virtù, di pari trionfi e gloria vissero in Roma, e ciascuno di foro, in quanto s'apparteneva al nimico, con pari virtù l'acquistarono, ma quanto s'apparteneva agli eserciti, ed agli intrattenimenti de'soldati, diversissimamente procederono; perchè Manlio con ogni generazione di severità, senza intermettere ai suoi soldati o fatica o pena, gli comandava; Valerio, dall'altra parte, con ogni modo e termine umano, e pieno d'una famigliare dimestichezza gl'intratteneva. Perchè si vede che per aver l'ubbidienza dei soldati, l'uno ammazzò il figliuolo e l'altro non offese mai alcuno. Nondimeno, in tanta diversità di procedere, ciascuno fece il medesimo frutto, e contro a'nimici, e in favore della repubblica e suo. Perchè nessuno soldato non mai o detrattò la zuffa o si ribellò da loro, o fu in alcuna parte discrepante dalla voglia di quelli, quantunque gl'imperi di Man.

lio fussero si aspri, che tutti gli altri imperi che eccedevano il modo, erano chiamati Manliana imperia. Dove è da considerare prima, donde nacque che Manlio fu costretto procedere sì rigidamente; l'altro, donde avvenne che Valerio potette procedere si umanamente; l'altro, qual cagione fe' che questi diversi modi facessero il medesimo effetto; ed in ultimo, quale sia di loro meglio e più utile imitare. Se alcuno considera bene la natura di Manlio, d'allora che Tito Livio ne comincia a far menzione, lo vedrà uomo fortissimo, pietoso verso il padre e verso la patria, e reverentissimo ai suoi maggiori. Queste cose si conoscono dalla morte di quel Francese; dalla difesa del padre contro al tribuno; e come avanti che egli andasse alla zuffa del Francese, ei n'andò al consolo con queste parole: Iniussu tuo adversus hostem nunquam pugnabo, non si certam victoriam videam. Venendo adunque uomo così fatto a grado che comandi, desidera di trovar tutti gli uomini simili a sè, e l'animo suo forte gli fa comandare cose forti, e quel medesimo, comandate che le sono, vuole si osservino. Ed è una regola verissima, che quando si comanda cose aspre, conviene con asprezza farle osservare, altrimenti te ne troveresti ingannato. Dove è da notare, che, a voler esser ubbidito, è

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necessario saper comandare, e coloro sanne comandare, che fanno comparazione della qualità loro a quelle di chi ha a ubbidire, e quando vi veggano proporzione, allora comandino; quando sproporzione, se astengano. E però diceva un uomo prudente, che a tenere una repubblica con violenza, conveniva fusse proporzione da chi sforzava a quel ch'era sforzato. E qualunque volta questa proporzione v'era, si poteva credere che quella violenza fusse durabile. Ma quando il violentato era più forte del violentante, si poteva dubitare ch'ogni giorno quella violenza cessasse. Ma, tornando al discorso nostro, dico, che a comandare le cose forti conviene esser forte, e quello ch'è di questa fortezza, e che le comanda, non può poi con dolcezza farle osservare. Ma chi non è di questa fortezza d'animo, si debbe guardar dagl'imperi straordinari; e negli ordinari può usar la sua umanità; perchè le punizioni ordinarie non sono imputate al prin cipe, ma alle leggi e agli ordini. Debbesi adunque credere che Manlio fusse costretto procedere si rigidamente dagli straordinari suoi imperi, ai quali l'inclinaya la sua natura; i quali sono utili in una repubblica, perchè e riducono gli ordini di quella verso il principio loro, e nella sua antica virtù. E se una repubblica fusse si felice ch'ella

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