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chi ed i servi loro. La qual cosa conosciuta da Annone cartaginese, come di sopra si disse, mostrò a quel senato quanto poco conto s'aveva a tenere della rotta di Canne. E così si vide come i tempi difficili non gli sbigottirono, nè li renderono umili. DalT'altra parte i tempi prosperi non li fecero insolenti, perchè mandando Antioco oratori a Scipione a chiedere accordo, avanti che fussero venuti alla giornata, e ch'egli avesse perduto, Scipione gli dette certe condizioni della pace, quali erano che si ritirasse dentro alla Siria, ed il resto lasciasse nell'arbitrio de' Romani: il qual accordo ricusando Antioco, e venendo alla giornata, e perdendola, rimandò ambasciatori a Scipione, con commissione che pigliassero tutte quelle condizioni erano date loro dal vincitore; ai quali non propose altri patti che quelli s'avesse offerti innanzi che vincesse, soggiungendo queste parole: Quod Romani, si vincuntur non minuuntur animis, nee si vincunt insolescere solent. Al contrario appunto di questo si è veduto fare ai Viniziani, i quali nella buona fortuna, parendo loro aversela guadagnata con quella virtù che non avevano, erano venuti à tanta insolenza, che chiamavano il re di Francia figliuolo di s. Marco, non stimavano la Chiesa, non capivano in modo alcuno in Italia, e

avevansi presupposto nell'animo d'aver a fare una monarchia simile alla romana. Dipoi come la buona sorte gli abbandonò, e ch'egli ebbero una mezza rotta a Vailà dal re di Francia, perderono non solamente tutto lo stato loro per ribellione, ma buona parte ne dettero ed al papa ed al re di Spagna per viltà ed abiezione d'animo; ed intanto invilirono, che mandarono amba sciadori all'imperatore a farsi tributari, e scrissero al papa lettere piene di viltà e di sommissione per muoverlo a compassione. Alla quale infelicità pervennero in quattro giorni, e dopo una mezza rotta, perchè avendo combattuto il loro esercito, nel ritirarsi venne a combattere, ed essere oppresso circa la metà, in modo che l'uno dei provveditori che si salvò, arrivò a Verona con più di venticinquemila soldati, tra piè e cavallo: talmente che se a Vinegia e negli ordini loro fusse stata alcuna qualità di virtù, facilmente si potevano rifare, e rimostrare di nuovo il viso alla fortuna, ed essere a tempo o a vincere o a perdere più gloriosamente, o ad avere accordo più onorevole. Ma la viltà dell'animo loro, causata dalla qualità de' loro ordini non buoni nelle cose della guerra, li fece ad un tratto perdere lo stato e l'animo. E sempre interverrà così a qualunque si governi come loro,

perchè questo diventare insolente nella buona fortuna, ed abietto nella cattiva, nasce dal modo del procedere tuo e dalla educazione nella quale tu sei nudrito; la quale, quando è debole e vana, ti rende simili a sè, quando è stata altrimenti, ti rende ancora d'un'altra sorte, e facendoti migliore conoscitore del mondo, ti fa meno rallegrare del bene, e meno rattristare del male. E quello che si dice d'uno solo, si dice di molti che vivono in una repubblica medesima, i quali si fanno di quella perfezione, che ha il modo del vivere di quella. E benchè altra volta si sia detto, come il fondamento di tutti gli stati è la buona milizia, e come dove non è questa, non possono essere nè leggi buone, nè alcuna altra cosa buona, non mi pare superfluo replicarlo, perchè ad ogni punto nel leggere questa istoria si vede apparire questa necessità, e si vede come la milizia non puote esser buona se la non è esercitata, e come la non si può esercitare se la non è composta di tuoi sudditi; perchè sempre non si sta in guerra, nè si può starvi. Però conviene poterla esercitare a tempo di pace; e con altri che con sudditi non si può fare questo esercizio rispetto alla spesa. Era Cammillo andato, come di sopra dicemmo, con l'esercito contro ai Toscani, ed avendo

i suoi soldati veduto la grandezza dello esercito de' nimici, s'erano tutti sbigottiti, parendo loro essere tanto inferiori da non poter sostenere l'impeto di quelli. E pervenendo questa mala disposizione del campo agli orecchi di Cammillo, si mostrò fuora, ed andando parlando per il campo, a questi ed a quelli soldati trasse loro del capo quella opinione, e nell'ultimo senza ordinare altrimenti il campo, disse: Quod quisque didicit, aut consuevit, faciat. E chi considererà bene questo termine, e le parole disse loro per inanimirli a ire contro ai nimici, considererà come e' non si poteva nè dire nè far fare alcuna di quelle cose ad uno esercito che prima non fusse stato ordinato ed esercitato ed in pace ed in guer ra; perche di quelli soldati che non hanno imparato a fare cosa alcuna, non può un capitano fidarsi, e credere che facciano cosa alcuna che stia bene. E se li comandasse un nuovo Annibale, vi rovinerebbe sotto, perchè non potendo un capitano essere, tre si fa la giornata, in ogni parte, se non ha prima in ogni parte ordinato di potere avere uomini che abbiano lo spirito suo, e bene gli ordini e il modo del procedere suo, conviene di necessità ch' ei rovini. Se adunque una città sarà armata ed ordinata come Roma, e che ogni di ai suoi cittadini ed in

men

particolare ed in pubblico tocchi a fare esperienza e della virtù loro e della potenza della fortuna, interverrà sempre che in ogni condizione di tempo e' siano del medesimo animo, e manterranno la medesima loro dignità. Ma quando e' siano disarmati, e che si appoggeranno solo agl'impeti della fortuna e non alla propria virtù, varieranno col variare di quella, e daranno sempre di loro quello esempio che hanno dato i Vi

niziani.

CAPITOLO XXXII.

Quali Modi hanno tenuti alcuni a turbare una Pace.

ESSENDOSI

SSENDOSI ribellati dal popolo romano Circei e Velitre, due sue colonie, sotto speran za d'esser difese dai Latini, ed essendo dipoi vinti i Latini, e mancando di quelle speranze, consigliavano assai cittadini che si dovesse mandare a Roma oratori a raçcomandarsi al senato; il qual partito fu turbato da coloro che erano stati autori delle ribellioni, i quali temevano che tutta la pena non si voltasse sopra le teste loro. E per tor via ogni ragionamento di pace, incitarono la moltitudine ad armarsi, ed a correre sopra i confini romani. E veramente quando alcuno vuole o che un popolo

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