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un principe levi al tutto l'animo da uno accordo, non ci è altro modo più vero, nè più stabile, che fargli usare qualche grave Scelleratezza contro a colui con il qual tu non vuoi che l'accordo si faccia. Perchè sempre lo terrà discosto quella paura di quella pena che a lui parrà per lo errore commesso aver meritata. Dopo la prima guerra che i Cartaginesi ebbero coi Romani, quelli soldati che da' Cartaginesi erano stati adoperati in quella guerra in Sicilia ed in Sardegna, fatta che fu la pace se ne andarono in Affrica, dove non essendo soddisfatti del loro stipendio, mossero le armi contro ai Cartaginesi, e fatti di loro due capi, Mato e Spendio, occuparono molte terre ai Cartaginesi e molte ne saccheggiarono. I Cartaginesi, per tentare prima ogni altra via che la zuffa, mandarono a quelli ambasciatore Asdrubale loro cittadino, il quale pensavano avesse alcuna autorità con quelli, essendo stato per lo addietro loro capitano. Ed arrivato costui, e volendo Spendio e Mato obbligare tutti quelli soldati a non sperare d'aver mai più pace coi Cartaginesi, e per questo obbligarli alla guerra, persuasero loro ch'egli era meglio ammazzare costui con tutti i cittadini cartaginesi, quali erano appresso loro prigioni. Donde non solamente gli ammazzarono, ma con

mille supplicj in prima gli straziarono, aggiungendo a questa scelleratezza uno editto, che tutti i Cartaginesi, che per lo avvenire si pigliassero, si dovessero in simil modo uccidere. La qual deliberazione ed esecuzione fece quello esercito crudele ed ostinato contro ai Cartaginesi.

CAPITOLO XXXIII.

Egli è necessario a volere Vincere una Giornata, far l'esercito confidente, e infra loro e con il capitano.

A voler che uno esercito vinca una gior

nata è necessario farlo confidente, in modo che creda dovere in ogni modo vincere. Le cose che lo fanno confidente sono, che sia armato ed ordinato bene; conoscansi l'uno l'altro. Nè può nascere questa confidenza questo ordine, se non in quell soldati che sono nati e vissuti insieme. Conviene che il capitano sia stimato, di qualità che confidino nella prudenza sua, e sempre confideranno quando lo veggano ordinato, sollecito ed animoso, e che tenga bene e con riputazione la maestà del grado suo; e sempre la manterrà, quando li punisca degli errori e non gli affatichi invano; osservi loro le promesse, mostri facile la via del

vincere, quelle cose che discosto potesser mostrare i pericoli le nasconda, le allegge risea. Le quali cose osservate bene, sono cagione grande che l'esercito confida, e confidando vince. Usavano i Romani di far piglare agli eserciti loro questa confidenza per via di religione, donde nasceva, che con gli auguri e auspici creavano i consoli, facevano il deletto, partivano con gli eserciti e venivano alla giornata; e senza aver fatto alcuna di queste cose non mai arebbe un buon capitano e savio tentata alcuna fazione, giudicando d'averla potuta perdere facilmente se i suoi soldati non avessero prima inteso gli Dii essere dalla parte loro. E quando alcun consolo o altro loro capitano avesse combattuto contro agli auspici, l'arebbero punito come e' punirono Claudio Pulero. É benchè questa parte in tutte le istorie romane si conosca, nondimeno si prova più certo per le parole che Livio nella bocca d'Appio Claudio, il quale dolendosi col popolo della insolenza de' tribuni della plebe, e mostrando che mediante quelli, gli auspici e le altre cose pertinenti alla religione si corrompevano, dice così: Eludant nunc licet religionem. Quid enim interest, si pulli non pascentur, si ex cavea tardius exierint, si occinuerit avis? Parva sunt hacc; sed parva ista non contemnendo

usa

maiores nostri maximam hanc rempublicam fecerunt. Perchè in queste cose piccole è quella forza di tenere uniti e confidenti i soldati, la qual cosa è prima cagione d'ogni vittoria. Nondimanco conviene con queste cose sia accompagnata la virtù, altrimenti le non vagliono. I Prenestini avendo contro ai Romani fuori il loro esercito, se n'andarono ad alloggiare in sul fiume d'Allia, luogo dove i Romani furono vinti da' Francesi. Il che fecero per metter fiducia nei loro soldati, e sbigottire i Romani per la fortuna del luogo. E benchè questo loro partito fusse probabile, per quelle ragioni che di sopra si sono discorse, nientedimeno il fine della cosa mostrò che la vera virtù non teme ogni minimo accidente. Il che l'Istorico benissimo dice con queste parole in bocca poste del dittatore, che parla così al suo maestro de' cavalli: Vides tu, fortuna illos fretos, ad Alliam consedisse; at tu, fretus armis animisque invade mediam aciem. Perchè una vera virtù, un ordine buono, una sicurtà presa da tante vittorie non si può con cose di momento spegnere; poco cosa vana fa loro paura, nè un disordine gli offende; come si vide certo, che essendo due Manli consoli contro ai Volsci, per aver mandato temerariamente parte del campo a predare, ne segui che in un tempo e

nè una

quelli ch'erano iti, e quelli ch'erano rima sti si trovavano assediati; dal qual pericolo non la prudenza de' consoli, ma la virtù de' propri soldati li liberò. Dove Tito Livio dice queste parole: Militum etiam sine rectore stabilis virtus tutata est. Non voglio lasciare indietro un termine usato da Fabio, sendo entrato di nuovo con l'esercito in Toscana, per farlo confidente, giudicando quella tal fidanza esser più necessaria, per averlo condotto in paese nuovo, e contro a nimici nuovi, che parlando avanti la zuffa ai soldati, e detto ch'ebbe molte ragioni, mediante le quali e' potevano sperare la vittoria, disse: che potrebbe ancora lor dire certe cose buone, e dove e' vedrebbero la vittoria certa, se non fusse pericoloso il manifestarle. Il qual modo come fu saviamente usato, così merita d'essere imitato.

CAPITOLO XXXIV.

Quale Fama o Voce o Opinione fa che il Popolo comincia a favorire un cittadino; e se ei distribuisce i magistrati con maggior prudenza che un principe.

ALTRA volta parlammo come Tito Manlio, che fu poi detto Torquato, salvò L. Manlio suo padre da una accusa che gli aveva fatto

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