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pre nella loro venerazione. Perchè nissuno maggiore indizio si puote avere della rovina d'una provincia, che vedere dispregiato il culto divino. Questo è facile a intendere, conosciuto che si è in su che sia fondata la religione dove l'uomo è nato. Perchè ogni religione ha il fondamento della vita sua in su qualche principale ordine suo. La vita della religione gentile era fondata sopra i responsi degli oracoli, e sopra la setta degli arioli e degli aruspici; tutte le altre loro cerimonie, sacrifizi, riti, dipendevano da questi. Perchè loro facilmente credevano che quello Dio, che ti poteva predire il tuo futuro bene o il tuo futuro male, te lo potesse ancora concedere. Di qui nascevano i tempj, di qui i sacrifizi, di qui le supplicazioni, ed ogni altra cerimonia in venerarli; perchè l'oracolo di Delo, il tempio di Giove Ammone, ed altri celebri oracoli, tenevano il mondo in ammirazione e devoto. Come costoro cominciarono dipoi a parlare a modo de' potenti, e questa falsità si fu scoperta ne' popoli, divennero gli uomini increduli, ed atti a perturbare ogni ordine buono. Debbono adunque i principi d'una repubblica o d'un regno, i fondamenti della religione che loro tengono, mantenerli; e fatto questo, sarà loro facil cosa mantenere la loro repubblica religiosa, e

per conseguente buona ed unita. E debbono tutte le cose che nascono in favore di quella, come che le giudicassero false, favorirle ed accrescerle; e tanto più lo debbono fare, quanto più prudenti sono, e quanto più conoscitori delle cose naturali. E perchè questo modo è stato osservato dagli uomini savi, ne è nata la opinione dei miracoli che si celebrano nelle religioni eziandio false; perchè i prudenti gli augumentano, da qualunque principio essi nascano; e l'autorità loro dà poi a quelli fede appresso a qualunque. Di questi miracoli ne furono a Roma assai, e tra gli altri fu, che saccheg giando i soldati romani la città de' Veienti, alcuni di loro entrarono nel tempio di Giunone, ed accostandosi alla immagine di quella, e dicendole: Vis venire Romam? parve ad alcuno vedere che ella accennasse, ad alcuno altro che ella dicesse di sì. Perchè sendo quelli uomini ripieni di religione, il che dimostra Tito Livio, perchè nell'entrare nel tempio vi entrarono senza tumulto, tutti devoti e pieni di riverenza, parve loro udire quella risposta che alla domanda loro per avventura si avevano presupposta; la quale opinione e credulità, da Cammillo e dagli altri principi della città fu al tutto favorita e accresciuta. La quale religione se ne' principi della repubblica cristiana si fusse

mantenuta, secondo che dal datore d'essa ne fu ordinato, sarebbero gli stati e le repubbliche cristiane più unite e più felici assai ch'elle non sono. Nè si può fare altra maggiore coniettura della declinazione di essa, quanto è vedere come quelli popoli che sono più propinqui alla chiesa romana, capo della religione nostra, hanno meno religione. E chi considerasse i fondamenti suoi, e vedesse l'uso presente quanto è diverso da quelli, giudicherebbe esser propinquo senza dubbio, o la rovina o il flagello. E perchè sono alcuni d' opinione, che il ben essere delle cose d'Italia dipende dalla chiesa di Roma, voglio contro ad essa discorrere quelle ragioni che mi occorrono, e ne allegherò due potentissime, le quali, secondo me, non hanno repugnanza. La prima è, che per gli esempi rei di quella corte, questa provincia ha perduto ogni divozione ed ogni religione: il che si tira dietro infiniti inconvenienti e infiniti disor dini; perchè così, come dove è religione si presuppone ogni bene, così dove ella manca, si presuppone il contrario. Abbiamo adunque con la chiesa e coi preti noi Italiani questo primo obbligo, d'essere diventati senza religione e cattivi; ma ne abbiamo ancora un maggiore, il quale è cagione della rovipa nostra. Questo è che la chiesa ha tenuto

e tiene questa nostra provincia divisa'. E veramente alcuna provincia non fu mai unita o felice, se la non viene tutta alla ubbidienza d'una repubblica o d'un principe, come è avvenuto alla Francia ed alla Spagna. E la cagione che la Italia non sia in quel medesimo termine, nè abbia anche ella o una repubblica o un principe che la governi, è solamente la chiesa; perchè avendovi abitato e tenuto imperio temporale, non è stata sì potente, nè di tal virtù che l'abbia potuto occupare il restante d'Italia, e farsene principe. E non è stata, dall'altra parte, si debile, che, per paura di non perdere il dominio delle cose temporali, la non abbia potuto convocare un potente che la difenda contro a quello che in Italia fusse diventato troppo potente; come si è veduto anticamente per assai esperienze, quando mediante Carlo Magno la ne cacciò i Lombardi, ch'erano già quasi re di tutta Italia, e quando ne' tempi nostri ella tolse la potenza a' Viniziani con l'aiuto di Francia, dipoi ne cacciò i Francesi con l'aiuto de' Svizzeri. Non essendo dunque stata la chiesa potente da potere occupare l'Italia, nè avendo permesso che un altro la occupi, è stata cagione che la non è potuta venire sotto un capo, ma è stata sotto più principi e signori; da' quali è nata tanta disunione

è tanta debolezza, che la si è condotta ad essere stata preda, non solamente de'barbari potenti, ma di qualunque l'assalta. Di che noi altri Italiani abbiamo obbligo con la chiesa, e non con altri. E chi ne volesse per esperienza certa vedere più pronta la verità, bisognerebbe che fusse di tanta potenza, che mandasse ad abitare la corte romana, con l'autorità che l'ha in Italia, in le terre de' Svizzeri, i quali oggi sono quelli soli popoli che vivono, e quanto alla religione e quanto agli ordini militari, secondo gli antichi; e vedrebbe che in poco tempo farebbero più disordine in quella provincia i costumi tristi di quella corte che qualunque altro accidente che in qualunque tempo vi potesse surgere.

CAPITOLO DECIMOTERZO.

Come i Romani si servirono della Religione per ordinare la città, e per seguire le loro imprese e fermare tumulti.

Et non mi pare fuor di proposito addurre

alcuno esempio, dove i Romani si servirono della religione per riordinare la città, e per seguire le imprese loro; e quantunque in Tito Livo ne siano molti, nondimeno voglio essere contento a questi. Avendo creato il popolo romano i tribuni di potestà con

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