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regola che ho detta, ma poteva essere accaduto che io ci fossi stato attaccato un po' troppo. Con questo sospetto dunque ho allargato assai più la mano, anche perchè questa volta l'antichità di molti scrittori e l' indole in gran parte storica di tutto il libro pareva in certa guisa consigliarmi di attenermi, ne' casi dubbii, piuttosto al più che al meno così nel numero come anche nell'ampiezza delle note. Si trattava spesso di mettere i giovani studiosi dentro alle segrete cose di scrittori tanto diversi da noi e nel modo di pensare e nell'arte di esprimersi; dichiarare fatti, credenze, opinioni, con accenni alla storia, sia de'costumi, sia delle lettere e delle scienze; notare spesso ciò che mi pareva giusto o no, bello o brutto, buono o cattivo, imitabile o da fuggire, ora rispetto alla sostanza, ora rispetto alla lingua e allo stile. Tutte queste e simili altre considerazioni io dovevo fare, affine di rendere il più ch'io potessi profittevole la lettura del mio libro.

Mi son trattenuto su questa materia per prevenire, se pur fosse possibile, il caso che qualche altro critico, o anche quel medesimo che ho detto, non avesse questa volta a rimproverarmi d'essere stato troppo prodigo di

note.

E ora, per iscansare la taccia di una parlantina eccessiva anche in fatto di prefazioni, faccio punto, raccomandando questo mio nuovo libro a' miei egregii colleghi d'insegnamento, a' giovani dati agli studii, ed a tutte le persone gentili che amano la lettura.

Pisa, 15 marzo 1877.

GIUSEPPE PUCCIANTI.

1.

Orlanduccio del Leone.

Fu presentato al Comune di Fiorenza' un nobile e feroce leone, il quale fu rinchiuso in sulla piazza di santo Giovanni.2 Avvenne che per mala guardia di colui che lo custodiva, usci della sua stia correndo per Firenze; 3 onde tutta la città fu commossa di paura. E capitò in orto santo Michele," e quivi prese un fanciullo, e tenealo fra le branche. E vedendo la madre questo (e non ne aveva più, e di questo fanciullo era rimasa grossa, e partorillo poi che 'l padre fu morto; che gli fu morto da' suoi nemici di coltello),3 e vedendo ciò, come disperata, con grande pianto, e scapigliata, corse contra 'l leone, e trassegliel delle branche. E detto leone nullo 10 male fece nè alla donna, nè al fanciullo, se non che gli guato, 11 e ristettesi.

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1 Gli antichi hanno più spesso Fiorenza che Firenze, come si dice oggi. 2 Oggi dirai piuttosto san Giovanni, san Michele, ec., e lascerai quest'aggettivo nella sua interezza, quando il nome che segue comincia con s impura, e ne toglierai l'ultima vocale se con vocale comincia il nome: santo Stefano, sant' Antonio, ec.

3 Modo efficacissimo usato comunemente anc' oggi dal popolo toscano, in vece di: uscito della stía, si diè a correre per Firenze.

La cagione ed anche l'istrumento, onde alcuna cosa si fa od avviene, si pone anc' oggi elegantemente in genitivo, tremar di paura, morto di coltello, ec. 5 Oggi si chiama Orsammichele.

• Teneaio, tenevalo, lo teneva; e quest'ultima forma è preferita dall'uso. Del resto questo periodetto è, nella semplicità sua, molto efficace.

7 Gravida, incinta.

8 Questa parentesi è un po' lunghetta, e pare che se ne accorga anco lo scrittore, che, per rappiccare il filo della descrizione interrotta, ripete quel vedendo ciò, che non fa un bel vedere. A que' tempi non si sapeva ancora analizzar bene il pensiero e formare con arte il periodo. L'efficacia de' nostri prosatori più antichi sta tutta nella naturalezza spontanea; l'arte non c' è ancora.

9 E il leone era meglio; ma gli scrittori d'allora, specialmente cronisti, fanno un grande uso o abuso delle parole detto, suddetto, a modo de' notari. 10 Oggi niuno, nessuno.

11 Dirai, specialmente nella prosa, guardò.

Antologia della presa italiana antieni

1

Fu quistione quale cosa fosse1 o la nobiltà della natura del leone, o che la fortuna riservasse la vita al detto fanciullo, che poi facesse la vendetta del padre, com' egli fece.2 E fu poi chiamato Orlanduccio del leone. E questo fu negli anni di Cristo 4259 in orto santo Michele, presso alle case dei Buonaguisi e de' Compiobbesi.

Quale cosa fosse, cioè, qual fosse la cagione di questo, o simili. C'è l'inesattezza del parlare alla buona e all' improvviso.

2 Vedi com'erano poco cristiani e poco umani, con tutte le loro pratiche religiose, i nostri padri antichi. Anche Dante, il severo cantore della rettitudine, mostrasi bene spesso nella Commedia uomo violento e vendicativo. Per citare un solo luogo fra i tanti che potrei, egli (Inf., canto XXIX) pone all'inferno fra i seminatori di scandali e di risse Geri del Bello, suo biscugino, morto di ferro in una rissa per mano di un Fiorentino della famiglia Sacchetti; ma al tempo stesso ch' egli è così severo amico di giustizia anche contro il proprio suo sangue, si duole che della morte di Geri non sia stata fatta vendetta da alcuno della sua famiglia; e forse i suoi versi contribuirono vent'anni dopo ad armare la mano di un figlio di Geri, che vendicò il padre uccidendo un Sacchetti. Insomma a quei tempi la vendetta era stimata un sacro dovere. I nostri maggiori erano meno cristiani di noi. Tu lascia dire gl'ipocriti e i pedanti, credi al progresso non solo nelle scienze, ma anco nelle idee morali, e nello studio degli scrittori non cercar solo la storia delle parole, ma benanche, e più, quella de' pensieri.

DINO COMPAGNI.

3

1. Origine di parte Guelfa e Ghibellina in Firenze.

Dopo molti antichi mali per le discordie de' suoi cittadini ricevuti, una ne fu generata nella detta città, la quale divise tutti i suoi cittadini in tal modo, che le due parti s'appellarono nimiche per due nuovi nomi,1 cioè Guelfi e Ghibellini. E di ciò fu cagione, in Firenze, che uno nobile giovane cittadino, chiamato Buondelmonte de' Buondelmonti, avea promesso torre per sua donna2 una figliuola di messer Oderigo Giantruffetti. Passando dipoi un giorno da casa i Donati, 3 una gentildonna (chia

3

1 Nuovi per l'Italia, non per la Germania, dove eran nati da un pezzo; ma voglio riportare su questo argomento importantissimo le parole stesse di Francesco Ambrosoli che ne parla da pari suo:

Le fazioni si esercitavano quasi sempre sotto i nomi di Ghibellini e di Guelfi, i quali in origine furono nomi di due potenti famiglie della Germania nemiche fra loro. Quando la famiglia dei Ghibellini sali al trono imperiale col celebre Federigo Barbarossa, cominciaronsi a confondere i nemici dei Ghibellini coi nemici dell' Impero ; e il nome della famiglia avversaria alla Ghibellingia divenne generale a tutti coloro ch'erano avversi all' Impero; questa distinzione passò anche in Italia, e parve una tremenda vendetta lasciata da Federigo tra i popoli che l'avevano vinto. Sebbene poi in Italia, dopo Gregorio VII, i pontefici fossero quasi sempre capi o fautori della fazione contraria all' Impero, non è da credere per altro che i Guelfi italiani fossero sempre partigiani della Chiesa. Le città lombarde, a cagione d' esempio, erano Guelfe in quanto che ricusavano di sottomettersi alla potenza imperiale; si univano co' papi a combattere contro gl' imperatori, perchè l'alleanza de' papi dava loro un grande vantaggio nell' opinione de' popoli; nè per ciò combattevano pei papi, ma si per la propria libertà. Ne i papi unendosi colle città libere intendevano di combattere in favore della libertà, ma bensi per quella dominazione, alla quale più o meno apertamente aspiravano tutti. Col volgere poi del tempo, cessata in gran parte la lotta fra il Sacerdozio e l'Impero, i nomi di Guelfi e Ghibellini significavano in generale due contrarie fazioni; e ridestaronsi ogni volta che due potenti famiglie, per qual si fosse cagiovenivano a discordia tra loro. Manuale della Letteratura italiana. Firenze, Barbera, 1865, vol. I, pag. 8.

ne,

2 Torre o toglier donna, vale menar moglie, prender moglie, frase più in uso; e donna per moglie si dice comunemente nel contado di Firenze.

3 Casa i Donati e più spesso casa Donati e così con gli altri nomi si dice comunemente anc' oggi, tacendo il segnacaso articolato indicante possesso, dei.

1

mata madonna Aldruda, donna di messer Forteguerra Donati, che avea due figliuole molto belle), stando a' balconi del suo palagio, lo vide passare, e chiamollo, e mostrògli una delle dette figliuole, e dissegli : « Chi hai tu tolta per moglie ?1 io ti serbava questa. » La quale guardando, molto gli piacqué, e rispose: «Non posso altro oramai. » 3 A cui madonna Aldruda disse: « Si, puoi, chè la pena pagherò io per te. » A cui Buondelmonte rispose: « E io la voglio. » E tolsesela per moglie, lasciando quella avea tolta e giurata. Onde messer Oderigo, dolendosene co' parenti e amici suoi, deliberorono di vendicarsi, e di batterlo e fargli vergogna. Il che sentendo gli Uberti, nobilissima famiglia e potenti, e' suoi parenti, dissono voleano fusse morto; chè cosi fia grande l'odio della morte come delle ferite: : cosa fatta capo ha. E ordinorono ucciderlo il di menasse

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1 Veramente non l'aveva ancora tolta per moglie, ma, com' ha detto supra, aveva soltanto promesso di torla.

2 Il periodo comincia dall'oggetto, la quale, e il soggetto, egli, è sottin teso: è sintassi latina, non imitabile in italiano perchè può riuscire perplessa. 8 Cioè, oramai non ci posso far altro; il che vuol dire: è cosa fatta; non son più libero.

Mi piglierò sopra di me tutta la colpa; ne risponderò io. 8 Cioè, e allora io la voglio.

Avea giurata, cioè avea promesso di sposare, le avea data fede di sposo. Sottintende qui per brevità, com'è solito di fare, il pronome relativo che o la quale. E questa ellissi è nell' uso. Questo dialoghetto è lodato di brevità, e a me par breve anche troppo.

Deliberorono, dissono, ordinorono. feciono, divisono, trassono, ec., sono forme antiquate e da non imitare, invece di deliberarono, dissero, ordinarono, fecero, divisero, trassero. Simili uscite di verbi sono frequentissime in Dino.

8 Per amore di brevità tace due volte la cong. che. Dissero che volevano che fosse morto. E morto qui vale ucciso, ed è sempre d'uso comune in questo senso specialmente tra i cacciatori. Quanti n'hai morti? Pochini, perchè non mi faceva la polvere; se no, ne avrei morti un centinaio; ce n'era tanti; ho tirato le braccia.

Riportando questo discorso, comincia dal modo indiretto e passa dipoi al diretto; il passaggio è naturale ed efficace. Fia per sarà è rimasto solamente al linguaggio poetico. Cosa fulta capo ha. Vuol dire: le cose fatte non si sfanno. Ammazziamolo e non pensiamo al poi. È la formula più antica di quella teorica che fu chiamata modernamente dei fatti compiuti Il nostro Autore non dice qui chi fu che pronunciò questa mala parola, ma tutti gli storici affermano che fu Mosca Lamberti. Dante lo mette all'inferno (canto XXVIII) fra i mutilati seminatori di discordie, facendone una fiera pittura:

Ed un ch' avea l'una e l'altra man mozza,
Levando i moncherin per l'aura fosca,
Si che 'l sangue facea la faccia sozza,
Gridò: Ricordera'ti anche del Mosca,
Che dissi, lasso! Capo ha cosa fatta:
Che fu il mal seme della gente tosca.

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