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ostro proposito, bastar che egli sia (come si dice) uomo da bene ed intero; che in questo si comprende la prudenza, bontà, fortezza e tempetanza d'animo e tutte l'altre condizioni che a cusi onorato nome si convengono. Ed io estimo, quel solo esser vero filosofo morale che vuol esser buono, ed a ciò gli bisognano pochi altri preecetti che tal volontà. E però ben dicea Socrate parergli che gli ammaestramenti suoi già avessero fatto buon frutto quando per quelli chi si fosse, s'incitava a voler conoscer ed imparar la virila; perchè quelli che son giunti a termine che non desiderano cosa alcana più che l'essere buoe ni, facilmente conseguono la scienza di tutto quello che a ciò bisogna; però di questo non ragioneremo più avanti.

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CAPO XIV.

Leuere, Error de' Francesi, lodi di Francesco Primo loro re. Encomii delle lettere e documenti al cortigiano.

Ma, oltre alla bontà, il vero e principal ornamento dell' animo in ciascuno penso io che asiano le lettere, benchè i Francesi solamente coBoscano la nobiltà delle arme e tutto il resto nulla estimino; di modo che, non solamente non apprezzano le lettere, ma le abborriscono, e tutlii letterati tengon per vilissimi uomini, e pare lor dir gran villania a chi si sia, quando lo chiamano clero (1).

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(1) Ne' secoli rozzi quasi tutti quelli che studiavano apPertenevano al clero; ond' erano divenuti sinonimi chierico e letterato, come laico ed idiota. Qui si dice clero italianando la parola francese clerc che significa chierico.

Allora il Magnifico Giuliano, Voi dite il vero rispose, che questo errrore già gran tempo regna tra' Francesi; ma se la buona sorte vuole che monsignor d' Angolem (1) (come si spera) suc ceda alla corona, estimo che siccome la gloria dell' arme fiorisce e risplende in Francia, cos vi debba ancor con supremo ornamento fiori quella delle lettere; perchè non è molto ch'iq ritrovandomi alla corte, vidi questo signore e parvemi che, oltre alla disposizion della persona e bellezza di volto, avesse nell'aspetto tanta grandezza, congiunta però con una certa graziosa umanità che 'l reame di Francia gli dovesse sempre parer poco. Intesi dappoi da molti gentiluomini, e francesi ed italiani, assai dei nobilissimi costumi suoi, della grandezza dell'animo, del valore e della liberalità e, tra l'alfummi detto che egli sommamente amava ed estimava le lettere, ed avea in grandissima osservanza tutti i letterati e dannava i Francesi proprii dell' esser tanto alieni da questa professione, avendo massimamente in casa un così nobile studio, come è quello di Parigi, dove tutto il mondo concorre. Disse allor il conte: Gran maraviglia è che in così tenera età solamente per instinto di natura, contra l'usanza del paese, si sia da sè a sè volto a cost buon cammino; e perchè i sudditi sempre seguitano i costumi dei superiori, può esser che (come voi dite) i Franresi siano ancor per estimar le lettere di quella dignità che sono, il che facilmente, se vorranno intendere, si potrà lor persuadere, perchè niuna cosa più da natura è desiderabile agli uomini, nè più propria, che il sapere; la qual cosa gran

tre cose

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(1) Monsignor d'Angolem fu il re Francesco 1, sopranns minato il Padre delle Lettere.

pazzia è dire o credere che non sia sempre buoa. E s' io parlassi con essi o con altri che fossero d' opinion contraria alla mia, mi sforzerei mostrar loro, quanto le lettere, le quali veramente da Dio sono state agli uomini concedute per un supremo dono, siano utili e necessarie alla vita ed alla dignità nostra; nè mi mancherebbero esempii di tanti eccellenti capitani antichi, i quali tutti giunsero l'ornamento delle lettere alla virtù dell'arme; chè, come sapete, Alessandro ebbe in tanta venerazione Omero, che la Iliade sempre si teneva a capo del letto; e non solamente a questi studii, ma alle speculazioni filosofiche diede grandissima opera sotto la disciplina d'Aristotile. Alcibiade le buone condizioni sue accrebbe, e fece maggiori con le lettere e con gli ammaestramenti di Socrate. Cesare quanta opera desse agli studii, ancor fanno testimonio quelle cose che da esso divinamente scritte si ritrovano, Scipione Africano dicesi che mai di mano non si levava i libri di Senofonte, dove instituisce sotto 'l nome di Ciro un perfetto re. Potrei dirvi di Lucullo, di Silla, di Pompeo, di Bruto e di molti altri romani e greci ; ma solamente ricorderò che Annibale, tanto eccellente capitano, ma però di natura feroce ed alieno da ogni umanità, infedele e dispregiator degli uomini e degli dei, pur ebbe notizia di lettere e cognizion della lingua greca; e, s'io non erro, parmi aver letto già, che esso un libro pur in lingua greca lasciò da sè composto (1); ma questo dire a voi è superfluo, chè ben so io che tutti conoscete quanto s' ingannano i Francesi pensando che le lettere nuocano

(1) Cornelio Nepote nella vita d'Annibale dice che que sti lasciò scritto in lingua greca non un libro, ma alcuni

libri.

Castiglione, fasc. 104.

all' arme. Sapete che delle cose grandi ed arrischiate nella guerra il vero stimolo è la gloria : e chi per guadagno o per altra causa a ciò si muove (oltre che mai non fa cosa buona) nou merita esser chiamato gentiluomo, ma vilissiano mercatante; e che la vera gloria sia quel. la che si commenda al sacro tesoro delle lettere, ognun può comprendere, eccetto quegl' infelici che gustate non le hanno, Qual animo è così dimesso, timido e amile che, leggendo i fatti e le grandezze di Cesare, d' Alessandro, di Scipione, d'Annibale e di tanti altri, non s'infiammi d'un ardentissimo desiderio d' esser simile a quelli, e non posponga questa vita caduca di due giorni, per acquistar quella famosa quasi perpetua? la quale, a dispetto della morte, viver lo fa più chiaro assai che prima. Ma chi non sente la dolcezza delle lettere, saper ancor non può quanta sia la grandezza della gloria, così lungamente da esse conservata, e solanente quella misura con la età d'un uomo o di due, perchè di più oltre non tien memoria, però questa breve tanto estimar non può, quanto farebbe quella quasi perpetua, se per sua disgrazia non gli fosse vietato il conoscerla; e non estimandola tanto, ragionevol cosa è ancor credere che tanto non si metta a pericolo per conseguirla, come chi la conosce. Non vorrei già che qualche avversario mi adducesse gli effetti contrarii, per rifiutar la mia opinione, allegandomi, gl' Italiani col lor saper lettere aver mostrato poco valor nell' arme da un tempo in qua; il che pur troppo è più che vero; ma certo ben si potrebbe dir, la colpa d'alcuni, pochi aver dato, oltre al grave danno, perpetuo biasimo a tutti gli altri, e la vera causa delle nostre ruine e della virtù prostrata, se nou morta, negli ani

mi nostri, esser da quelli proceduta; ma assai più a noi sarebbe vergognoso il pubblicarla che ai Francesi il non saper lettere. Però meglio è passar con silenzio quello che senza dolor ricordar non si può; e fuggendo questo proposito, nel quale contra mia voglia entrato sono, tornar al nostro cortigiano; il qual voglio che nelle lettere sia più che mediocremente erudito, almeno in questi studii che chiamiamo d' umanità; e non solamente della lingua latina, ma ancor della greca abbia cognizione, per le molte e varie cose che in quella divinamente scritte sono. Sia versato nei poeti e non meno negli oratori ed istorici, ed ancor esercitato nello scriver versi e prosa, e massimamente in questa nostra lingua volgare che, oltre al contento che egli stesso piglierà, per questo mezzo non gli mancheran mai piacevoli intertenimenti con uomini dotti, i quali per ordinario amano tali cose, E se, o per altre faccende o per poco studio, non giugnerà a tal perfezione che i suoi scritti siano degni di molta lode, sia cauto in sopprimerli, per non far rider altri di sè; e solamente li mostri ad amico di chi fidar si possa, perchè alineno intanto gli gioveranno, che per quella esercitaziou saprà giudicar le cose d'altrui; chè in 1 vero rare volte interviene che chi non è assueto a scrivere, per erudito che egli sia, possa mai conoscer perfeitamente le fatiche ed industrie degli scrittori, nè gustar la dolcezza ed eccellenza degli stili, e quelle intrinsiche avvertenze che spesso si trovano negli antichi. Ed, oltre a ciò, lo faranno questi studii copioso, e, come rispose Aristippo a quel tiranno, ardito in parlar sicuramente con ognuno (1). Voglio ben però che 'l

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(1) Aristippo, greco filosofo, interrogato da Dionisio tirauno di Siracusa, per qual ragione i filosofi frequentassero le

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