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grado, ma considerate che questa è lode d'un artefice e non dell' arte. Poi soggiunse: Ed a me par bene che l'una e l'altra sia una artificiosa imitazion di natura, ma non so già come possiate dire che più non sia imitato il vero e quello proprio che fa la natura, in una figura di marmo o di bronzo, nella qual sono le membra tutle tonde, formate e misurate come la natura le fa, che in una tavola, nella qual non si vede altro che la superficie, e que' colori che ingannano gli occhi; nè mi direte già che più propinquo al vero non sia l'essere, che 'l parere. Estimo poi che la marmoraria sia più difficile, perchè se un error vi vien fatto, non si può più correggere, chè 'l marmo non si riattacca, ma bisogna rifar un'altra figura; il che nella pittura non accade, chè mille volte si può mutare, giungervi e sminuirvi, migliorandola sempre. Disse il Conte ridendo: Io non parlo in grazia di Raffaello; nè mi dovete già riputar per tanto ignorante che non conosca la eccellenza di Michel Angelo e vostra e degli altri nella marmoraria, ma io parlo dell'arte, e non degli artefici; e voi ben dite vero che l'una e l'altra è imitazion della natura; ma non è già così che la pittura appaia e la statuaria sia. Che avvengachè le statue siano tutte tonde, come il vivo, e la pittura solamente si veda nella superi ficie, alle statue mancano molte cose che non mancano alle pitture, e massimamente i lumi l'ombre; perchè altro lume fa la carne, ed altro fa il marmo; e questo naturalmente imita il pittore col chiaro e scuro, più e meno, secondo il bisogno, il che non può far il marmorario. E se ben il pittore non fa la figura tonda, fa quei muscoli e membri tondeggiati di sorte che vanno a ritrovar quelle parti che non si veggono, con tal maniera, che benissimo comprender si può che 'l

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pittor aneor quelle conosce ed intende. Ed a questo bisogna un altro artificio maggiore in far quelle membra che scortano e diminuiscono a Proporzion della vista con ragion di prospettiva; a qual per forza di linee misurate, di colori, di umi e d'ombre, vi mostra ancora in una super. icie di muro dritto, il piano e'l lontano, più e meno come gli piace. Parvi poi che di poco momento sia la imitazione dei colori naturali in contraffar le carni, i panni e tutte l'altre cose colorate? Questo far non può già il marmorario, nè meno esprimer la graziosa vista degli occhi neri o azzurri, con lo splendor di que'raggi amorosi. Non può mostrare il color de' capegli flavi, non lo splendor dell'arme, non una oscura notte, una tempesta di mare, non que' lampi e saette, non lo incendio d' una città, non il na scere dell' aurora di color di rose, con que' raggi d'oro e di porpora; non può in somma mostrare cielo, mare, terra, monti, selve, prati, giar dini, fiumi, città nè case, il che tutto fa il pittore. Per questo parmi la pittura più nobile e più capace d'artificio che la marmoraria; e penso che presso agli antichi fosse di suprema eccellenza come l'altre cose; il che si conosce ancora per alcune piccole reliquie che restano, massimamente nelle grotte di Roma, ma molto più chiaramente si può comprendere per gli scritti antichi, nei quali sono tante onorate e frequenti menzioni e delle opre e dei maestri ; e per quelli intendesi quanto fossero appresso i gran signori e le repubbliche sempre onorati. Però si legge che Alessandro amò sommamente Apelle Efesio, e tanto, che avendogli fatto ritrar una sua carissima donna, ed intendendo, il buon pittore per la maravigliosa bellezza di quella restarne ardentissimamente innamorato, senza rispetto al

cuno gliela donò; liberalità veramente degn d'Alessandro, non solamente donar tesori e stati ma i suoi proprii affetti e desiderii; e segno d grandissimo amor verso Apelle, non avendo avut rispetto, per compiacer a lui, di dispiacere quella donna che sommamente amava; la qua creder si può che molto si dolesse di cambiar u tanto re con un pittore. Narransi ancor molti altr segni di benevolenza d'Alessandro verso d'Apel le; ma assai chiaramente dimostrò quanto lo e stimasse, avendo per pubblico comandamento or dinato che niun altro pittore osasse far la inma gine sua.

Qui potrei dirvi le contenzioni di molti nobi li pittori con tanta lode e maraviglia quasi de mondo. Potrei dirvi con quanta solennità gl'im peradori antichi ornavano di pitture i lor trionfi e ne' luoghi pubblici le dedicavano, e come care le comperavano; e che siansi già trovati alcun pittori che donavano l'opere proprie, parendo loro che non bastasse oro, nè argento per pagar le; e come tanto pregiata fosse una tavola di Protogene, che essendo Demetrio a campo a Ro di, e potendo intrar dentro appiccandole il fuoco dalla banda dove sapeva che era quella tavola, per non abbruciarla restò di darle la battaglia e così non prese la terra; e Metrodoro, filosofo e pittore eccellentissimo, essere stato dagli Ateniesi mandato a L. Paulo per 'ammaestrargli figliuoli, ed ornargli il trionfo che a fare avea E molti nobili scrittori hanno ancora di questa arte scritto; il che è assai gran segno per di mostrare in quanta estimazione ella fosse; ma non voglio che in questo ragionamento più ci estendiamo. Però basti solamente dire, che al nostro cortigiano conviensi ancor della pittura aver notizia, essendo ouesta ed utile, ed apprezzata in

que' tempi che gli uomini erano di molto maggior valore che ora non sono; e quando mai altra utilità o piacer non se ne traesse oltra che giovi a saper giudicar la eccellenza delle statne antiche e moderne, di vasi, d'edificii, di medaglie, di camei, d' intagli e tali cose, fa conoscere ancor la bellezza dei corpi vivi, non solamente nella delicatura de' voti, ma nella proporzion di tutto il resto, così degli uomini come di ogni altro animale. Vedete adunque come l'aver cognizione della pittura sia cansa di grandissimo piacere. Però penso che molto più godesse Apelle, contemplando la bellezza di Campaspe, che non faceva Alessandro; perchè facilmente si può creder che l'amor dell' uno e dell'altro derivasse solamente da quella bellezza; e che deliberasse forse ancor Alessandro per questo rispetto donarla a chi gli parve che più perfettamente conoscer la potesse. Non avete voi letto che quelle cinque fanciulle da Crotone, le quali tra l'altre di quel popolo elesse Zeusi pittore, per far di tutte cinque una sola figura eccellentissima di bellezza, furono celebrate da molti poeti, come quelle che per belle erano state approvate da colui che perfettissimo giudizio di bellez1a aver dovea?

Quivi M. Cesare cominciò a dire; ma in quelo s'udi un gran calpestare di piedi, con istrepito di parlar alto; e così rivolgendosi ognuno, si vide alla porta della stanza comparire uno splenfor di torchi, e subito dietro giunse con molta e nobil compagnia il signor prefetto ( 1 ), il qual (1) Il signor prefetto. Giova osservare che questi era Francesco Maria dalla Rovere, prefetto di Roma e signore Sinigaglia, nipote, per parte di padre, di papa Giulio 11, per parte di madre, di Guidubaido duca d'Urbino, ed era #ato adottato in figlio da questo principe, di cui fu erede e mecessor nello stato,

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ritornava, avendo accompagnato il papa una pa te del cammino; e già allo entrar del palazzo d mandando ciò che facesse la signora Duchess aveva inteso di che sorte era il giuoco di quel sera e'l carico imposto al conte Lodovico di pa lar della cortigiania; però quanto più gli era po sibile, studiava il passo per giungere a tempo d' dir qualche cosa. Così, subito fatto riverenza al signora duchessa, e fatto seder gli altri, che tut in piedi per la venuta sua s'erano levati, si pos ancor esso a seder nel cerchio con alcuni de'su gentiluomini; tra i quali erano il marchese Feb e Ghirardino fratelli da Ceva, M. Ettor Roman Vincenzo Calmeta, Orazio Florido e molti altri e stando ognun senza parlare, il signor prefett disse:

Signori, troppo nociva sarebbe stata la venut mia qui, s'io avessi impedito così bei ragiona menti, come estimo che sian quelli che ora tr voi passavano, però non mi fate questa ingiuri di privar voi stessi e me di tal piacere. Rispos allor il conte Lodovico: Anzi, signor mio, pens che'l tacer a tutti debba esser molto più grat che'l parlare, perchè essendo tal fatica a me pi che agli altri questa sera toccata, oramai m'h stanco di dire, e credo tutti gli altri d'ascoltare per non essere stato il ragionamento mio degn di questa compagnia, nè bastante alla grandezz della materia di che io aveva carico, nella qual avendo io poco soddisfatto a me stesso, pens molto meno aver soddisfatto ad altrui. Però voi, signore, è stato ventura il giungere al fine e buon sarà mo dar la impresa di quello ch resta ad un altro che succeda nel mio luogo perciocchè qualunque egli si sia, so che si por terà molto meglio ch'io non farei, se pur segui tar volessi, essendo oramai stanco come sono.

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