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Venuto intanto il carnovale del 1506, volendo egli trattenere con qualche dilettevole invenzione quella fioritissima corte, e dare insieme alla duchessa, ch'egli amava, qualche segno della sua singolare riverenza, compose e recitò in compagnia di Cesare Gonzaga la celebre saa Egloga intitolata il Tirsi; del merito ed artificio della quale, poiche ne ho parlato largamente nelle annotazioni a quell'opera, mi rimarrò di scriverne più a lungo in questo luogo. Ebbe poi avviso di prepararsi per il viaggio d'Inghilterra; ond'egli si mise orrevolmente in ordine di servitori e di cavalli per comparirvi con ogni splendidezza è decoro.

Prima di partire gli morì l'unico suo fratello per nome Girolamo; cosa che molto il conturbò. A' 15 di settembre giunse a Lione, e nel primo di novembre giunse a Londra accompagnato onoratissimamente. Dopo due giorni fu chiamato all'udienza del re, che gli fece grandissimo onore e carezze; e non solo ottenne quanto il duca desiderava, ma egli medesimo fu fatto cavaliere, ed, oltre vari cavalli e cani che gli furono regalati, ebbe in dono una ricchissima collana d'oro: tanto piacque ad Arrigo questo gran gentiluomo. Poco però si trattenne in Inghilterra; giacchè trovo che a'g di febbraio del 1507 era giunto a Milano, e fermatosi qualche giorno a Casatico con la madre (non avendo potuto aver licenza di passare per Mantova) arrivò a' primi di marzo a Urbino, desiderato e accarezzato da tutta la corte.

Poco dappoi fu spedito dal duca per affari di importanza al re Lodovico, che si trovava a GeDova; ma quando fu un pezzo innanzi, gli convenne dirizzarsi verso Milano, avendo inteso che re s'incamminava a quella volta.

Nell'aprile del 1508 mori il duca Guidubaldo a Fossombrone; e poichè doveva succedergli nel lo stato il signor Francesco Maria dalla Rovere furono lasciate nelle città di maggior conto per sone d'autorità, che le tenessero in fede. Il Castiglione fu per questo effetto mandato a Gubbio, com' egli scrive alla madre, dicendo: lo fui ad Eugubbio, perchè in questa mutazione di stato si estima che quella terra dovesse fare qualche tumulto, per essere potente d' uomini, e mol te inimicizie, pur Dio non ha voluto male alcu no; che le cose sono andate bene, e quegli uomini tutti mi sono stati obbedientissimi, Io sono ritornato ad Urbino nelle lagrime e nelle tenebre.

Siccome poi era sollicitato dalla madre a pigliar moglie, per così stabilire la sua casa, a vrebbe desiderato di levarsi dalla corte e andarsene a Mantova. Se non che la poca stima che mostrata avea di lui il marchese, e le istanze fattegli dal nuovo duca anche a nome del pontefice lo persuasero a trattenersi. Quivi non pertanto si trattò di dargli per moglie una figliuola di Piero de' Medici " e nipote del cardinale, che fu poi papa Lione X; e benchè il parentado fosse conchiuso dal magnifico Giuliano, che si trovava a Urbino, pure indi a qualche inese si disciolse, per essere al cardinal occorso un partito d' uno degli Strozzi a Fiorenza, col mezzo del quale i Medici speravano suscitar molto la parte loro in quella città. Trovo che costei fu Ja Clarice maritata a Filippo Strozzi, e che questa pratica fu segretamente maneggiata in Firenze da madama Lugrezia de' Medici sorella del cardinale, e moglie di Jacopo Salviati. Se fosse al Castiglione riuscito un sì fatto parentado, come il Cardinale e il Magnifico da principio il richiesero, lo averemmo veduto divenir nipote

dae papi, cognato del duca Lorenzo de’Medifae zio d'una reina di Francia; a tanto ascesein poco di tempo i Medici, allora privati e fnorusciti.

Intanto si cominciò da Giulio II la guerra contro de'Veneziani per ricuperar le città di Romana ch'essi teneano; nella quale spedizione il nostro Baldessare diede segni di prodezza e valore incredibile. Perciocchè trovandosi le genti del papa intorno a Russi ed essendo da Ravenna usciti da circa trecento cavalli e due mila fanti de'nemiti per distorgliele dall'assedio, il duca d'Urbino, mandati i suoi cavai leggeri ad incontrarli, con otto soli gentiluomini, tra'quali il Castiglione, corse ad inseguirli; e benchè fossero in loco forte, pure gli assaltò e li ruppe di maniera, che alcuni de' suoi corsero fin dentro Ravenna. Serbava petò anche in mezzo all'armi quel suo animo ben composto e nemico delle ingiustizie e delle violenze; ond' ebbe a scrivere alla madre: Noi avemo dato grandissimo guasto e danno a questa pover a Ravenna nel paese: quel manco male che io ho potuto fare, l'ho fatto; e vedesi che ognuno ha guadagnato eccetto ch'io, e non me ne

pento.

Per le fatiche e disagi di questa campagna adde nell'ottobre gravemente ammalato. La duchessa e madama Emilia l'assistettero, e il servirono con tanta amorevolezza che non avrian potuto far più se lor fosse stato figliuolo o fratello. Del che diede egli ragguaglio alla madre, pregandola a ringraziar queste due principesse di tanta loro umanità. Parrebbemi conveniente, le scrive a' 19 di novembre del 1509, che la Ma gnificenza V. rendesse infinite gazie alla signoa duchessa delle infinite dimostrazioni che S. E nella mia malattia ha fatte, che certo sono

non

state assai; e 'l medesimo alla signora Emilia che s' io le fossi stato figliuolo o fratello, non aria potuto farne tante: che li voli fatt per me non saranno satisfatti di qui a parecchi di.

Verso la fine di quest'anno 150g fu condotta a Urbino la nuova sposa del duca, che fu Lionora Gonzaga figliuola del marchese di Mantova, bellissima e gentilissima principessa. Le feste e le allegrezze che si fecero, furono assai grandi, e durarono ancora tutto il carnovale del 1510.

Nella state poi si diè principio a una nuova campagna contro il duca di Ferrara. A'2 di luglio presero Massa de' Lombardi, Bagnacavallo, Lugo ed altre terre; e a'19 d'agosto s'impadronirono di Modena; indi, preso Carpi, San Felice e il Finale, portarono la guerra fin presso Ferrara. Ma perduta nel maggio del 1511 Bologna, e rovesciatane dal cardinale Alidosio, che v'era legato, tutta la colpa sul duca d'Urbino, fu tanto il furore di che s'accese il giovane duca, massime non avendo potuto avere udienza dal pontefice sdegnato, che incontrando per Ravenna il Cardinale, l'ebbe di propria mano con alcune pugnalate ucciso prima che le guardie del legato se ne avvedessero. Non si può esprimere quanto increscesse questo sacrilego eccesso al Castiglione e agli altri cortigiani; molto più sentendo che il duca era stato dal papa privato d'ogni grado e dichiarato decaduto degli stati. Pensarono pertanto ogni via di placar il pontefice; e ricorrendo a' cardinali amici del loro signore, tanto fecero e lanto si maneggiarono, che il duca ebbe finalmente licenza di andare a Roma, ove assoluto e ribenedetto fu a grande stento rimesso nella grazia dello zio, e reintegrato ne' suoi stati. In una lettera de' 27 settembre

di quell'anno, così scrive il Castiglione alla madre: Noi siamo tornati, Dio grazia, sani da Roma con la ribenedizione e reintegrazione nello stato dell'illustrissimo signor nostro, avendo però passato infiniti fastidi e travagli quanto si possa dire, massime per la infermità gravissima di N. S., il quale si puo dir che sia liberato per miracolo e per salute del signor duca e della chiesa di Dio.

L'anno 1512 fu nel principio assai funesto all'armata pontificia per la rotta di Ravenna; m Iriunito ed accresciuto l'esercito e ricuperate leg-` germente le città che s' eran date a' Franzesi, venne fatto al duca d'Urbino di acquistar anche Bologna, che si arrese a' 10 giugno, e a' 13 col cardinale Sigismondo Gonzaga legato vi fece il sao solenne ingresso.

Terminate felicemente queste imprese, il dnca, come gentile e magnanimo signore, pensò a gratificare i meriti del Castiglione, dandogli un castello nello stato di Pesaro col titolo di conte. Da principio aveagli assegnato Ginestreto, ma il coate procurò di cambiarlo con Nuvillara per le ragioni che egli scrive alla madre in una de' 28 gennaio 1513, dicendo: Penso ch' io piglierò la possessione del mio castello, il quale non è più Ginestreto, perchè ho procurato cambiarlo con un altro che si dimanda Nuvillara, e'l sig. duca è stato contento; e questo è molto più al proposito, che è vicino a Pesaro due miglia, bonissimo aere, bellissima vista da terra e da mare, vicino a Fano cinque miglia, fruttifero al possibile, ed ha un buon palazzo, che è mio, ed è della medesima entrata che Ginestreto e forse più; sicchè io me ne contento assai, e Dio mi conceda grazia di goderlo con contentezza.

Poco appresso morì papa Giulio II; ciò fu la

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