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come si possan discerner le cose veramente buone dalle apparenti. Perdonatemi, disse M. Federico; io non voglio eutrar qua, chè troppo ci sa. rebbe che dire, ma il tutto si rimetta alla discre zion vostra. Chiaritemi almen un altro dubbio, replicò il signor Gasparo. E che dubbio? disse M. Federico. Questo, rispose il signor Gasparo: Vorrei sapere, essendomi imposto da un mio sigoor terminatamente quello ch' io abbia a fare in una impresa o negozio di qualsivoglia sorte, s'io, ritrovandomi in fatto, e parendomi con l'operare più o meno, o altrimenti di quello che m'è stato imposto, poter fare succedere la cosa più prosperamente o con più utilità di chi m' ha dato tal carico, debbo io governarmi secondo quella prima norma senza passar i termini del comandamento, o pur far quello che a me pare esser meglio? Rispose allora M. Federico: Io, circa questo, vi darei la sentenza con lo esempio di Manlio Torquato, che in tal caso per troppa pietà uccise il figliuolo, se lo estimassí degno di molta lode (che in vero non l'estimo), benchè ancor non oso biasimarlo contra la opinion di tanti secoli; perchè senza dubbio è assai pericolosa cosa desviare dai comandamenti de'suoi maggiori, confidandosi più del giudizio di sè stessi che di quelli ai quali ragionevolmente s'ha da ubbidire, perchè, se per sorte il pensier vien fallito, e la cosa succeda male, incorre l'uomo nell'error della disubbidienza, e ruina quello che ha da fare, senza via alcuna di escusazione o speranza di perdono; se ancor la cosa vien secondo il desiderio, -bisogna lodarne la ventura, e contentarsene: pur con tal modo s' introduce una usanza d' estimar poco i comandamenti de' superiori; e per esempio di quello a cui sarà successo bene, il quale forse sarà prudente, ed avrà discorso con ragio

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ne ed ancor sarà stato aiutato dalla fortuna, vorranno poi mille altri ignoranti e leggieri pigliar sicurtà nelle cose importantissime di far al lor modo, e per mostrar d' esser savii ed aver autorità, desviar dai comandamenti de' signori, il che è malissima cosa, e spesso causa d' infiniti errori. Ma io estimo che in tal caso debba quegli a cui tocca considerar maturamente, e quasi porre in bilancia il bene e la comodità che gli è per venire dal fare contra il comandamento, ponendo che 'l disegno suo gli succeda secondo la speranza; dall' altra banda, contrappesare il male e la incomodità che glie ne nasce, se per sorte, contraffacendo al comandamento, la cosa gli vien mal fatta; e conoscendo che 'l danno possa esser maggiore, e di più importanza succedendo il male, che la utilità succedendo il bene, dee astenersene, e servar appuntino quello che imposto gli è; e, per contrario, se la utilità è per esser di più importanza, succedendo il bene, che 'l danno succedendo il male, credo che possa ragionevolmente mettersi a far quello che più la ragione e 'l giudizio suo gli detta, e lasciar un poa co da canto quella propria forma del comandamento, per fare come i buoni mercatanti, i quali per guadagnare l'assai, avventurano il poco; ma non l'assai, per guadaguar il poco. Lodo ben che sopra tutto abbia rispetto alla natura di quel signore a cai serve, e secondo quella si governi ; perchè se non fosse così austera, come di molti che se ne trovano, io non lo consiglierei mai, se amico mio fosse, che mutasse in parte alcuna l'ordine datogli, acciocchè non gl'intravenisse quel che si scrive esser intervenuto ad un maestro ingegnero d' Ateniesi, al quale essendo P. Cras so Muziano in Asia, e volendo combattere una terra, mandò a domandare un de' due alberi da

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nave che esso in Atene avea veduto, per far un ariete da battere il muro, e disse voler il maggiore. L'ingegnero, come quello ch' era intendentissimo, conobbe, quel maggiore esser poco a proposito per tal effetto; e per esser il minore più facile a portare, ed ancor più conveniente a far quella macchina, mandollo a Muziano. Esso intendendo come la cosa era ita, fecesi venir quel povero ingegnero, e domandatogli, perchè non l'avea ubbidito, non volendo ammettere ragion alcuna che gli dicesse, lo fece spogliar nudo, e battere e frustare con verghe, tanto che si morì; parendogli che in luogo d' ubbidirlo avesse voluto consigliarlo; sicchè con questi così severi uomini bisogua usar molto rispetto.

CAPO VIII.

Della conversazione co' pari, o poco disuguali.

Ma lasciamo da canto omai questa pratica de' signori, e vengast alla conversazione coi pari, o poco disuguali; che ancor a questa bisogna attendere, per esser universalmente più frequentata e trovarsi l'uomo più spesso in questa che in quella de' signori. Benchè son alcuni sciocchi, che se fossero in compagnia del maggior amico che abbiano al mondo, incontrandosi con un meglio vestito, subito a quel s'attaccano; se poi glie ne occorre un altro meglio, fanno pur medesimo. E quando poi il principe passa per le piazze, chiese o altri luoghi pubblici, a forza di cubiti si fanno fare strada a tutti, tanto che se gli mettono al costato, e se ben non han no che dirgli, pur gli voglion parlare, e tengon lunga la diceria, e ridono e battono le mani e'l capo, per mostrar ben aver faccende d'im

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portanza, acciò che 'l popolo li vegga in favore. Ma poichè questi tali non si degnano di parlare se non coi signori, io non voglio che noi degniamo parlar d'essi.

CAPO IX.

Degli abiti ed ornamenti del corpo. Allora il Magnifico Giuliano, Vorrei, disse,

M. Federico, poichè avete fatto menzion di questi che s'accompagnano volentieri coi ben vestiti, che ci mostraste di qual maniera si debba vestire il cortigiano, e che abito più se gli convenga; e circa tutto l' ornamento del corpo in che modo debba governarsi, perchè in questo veggiamo infinite varietà; e chi si veste alla francese, chi alla spagnuola, chi vuol parer Tedesco; nè ci mancano ancor di quelli che si vestono alla foggia dei Turchi, chi porta la barba, chi no. Sarebbe adunque ben fatto saper in questa confusione eleggere il meglio. Disse M. Federico: lo in vero non saprei dar regola determinata circa il vestire, se non che l'uom s'accomodasse alla consuetudine dei più ; e poichè, come voi dite, questa con. suetudine è tanto varia, e che gl' Italiani tanto son vaghi d'abbigliarsi alle altrui fogge, credo the ad ognuno sia lecito vestirsi a modo suo. Ma io non so per qual fato intervenga che l'Italia non abbia, come soleva avere, abito che sia coBosciuto per italiano; che benchè l'aver posto in usanza questi nuovi, faccia parer quelli primi gofissimi, pur quelli forse erano segno di libertà, come questi sono stati augurio di servitù; il qual ormai parmi assai chiaramente adempiuto; e come si scrive, che avendo Dario, l'anno prima che combattesse con Alessandro, fatto accon

ciar la spada che egli portava a canto, la quale era persiana, alla foggia di Macedonia, fu interpretato dagl' indovini che questo significava, che coloro, nella foggia de' quali Dario aveva tramutato la forma della spada persiana, verrebbero a dominar la Persia: così l''aver noi mutati gli abiti italiani negli stranieri, parmi che significasse, tutti quelli negli abiti de'quali i nostri erano trasformati, dover venire a soggiogarci; il che è stato troppo più che vero, chè ormai non resta nazione che di noi non abbia fatto preda; tanto che poco più resta che predare; e pur ancor di predar non si resta. Ma non voglio che noi entriamo in ragionamenti di fastidio; però ben sarà 'dir degli abiti del nostro cortigiano; i quali io estimo che, quando non siano fuor della consuetudine, nè contrarii alla professione, possano per il resto tutti star bene, purchè soddisfacciano a chi li porta. Vero è ch' io per me amerei che non fossero estremi in alcuna parte, come talor suol essere il francese in troppa grandezza, e 'l tedesco in troppa piccolezza, ma come sono l'uno e l'altro corretti e ridotti in miglior forma dagl' Italiani. Piacemi ancor sempre che tendano un poco più al grave e riposato, che al vano. Però parmi che maggior grazia abbia nei vestimenti il color nero, che alcun altro; e se pur non è nero, che almen tenda all'oscuro; e que. sto intendo del vestir ordinario, perchè non è dubbio che sopra l'arme più si convengan colori aperti ed allegri, ed ancor gli abiti festivi, trinciati, pomposi e superbi. Medesimamente negli spettacoli pubblici di feste, di giuochi, di maschere o di tai cose, perchè così divisati portan seco una certa vivezza ed alacrità, che in vero ben s' accompagna con l'armi e i giuochi; ma nel resto vorrei che mostrassero quel riposo

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