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mono una cosa che sia loro intervenuta, o veduta o udita l'abbiano, che coi gesti e con le parole la mettono innanzi agli occhi, e quasi la fan toccar con mano; e questa forse, per non ci aver altro vocabolo si potrebbe chiamar festività, ovvero urbanità. L'altra sorte di facezie è brevissima, e consiste solamente nei detti pronti ed acuti, come spesso tra noi se n'odono, e de' mordaci; nè senza quel poco di puntura par che abbian grazia; e questi presso agli antichi ancor si nominavano detti; adesso alcuni le chiamano arguzie. Dico adunque che nel primo modo, che è quella festiva narrazione, non è bisogno arte alcuna, perchè la natura medesima crea e forma gli uomini atti a narrare piacevolmente, e dà loro il volto, i gesti, la voce é le parole appropriate ad imitar ciò che vogliono. Nell' altro, delle arguzie, che può far l'arte? conciossiacosachè quel falso detto dee esser uscito, e aver dato in brocca prima che paia che colui che lo dice, v'abbia potuto pensare; altramente è freddo, e non ha del buono. Però estime che 'l tutto sia opera dell' ingegno e della natura. Riprese allor le parole M. Pietro Bembo, e disse: Il signor Prefetto non vi nega quello che voi dite, cioè che la natura e lo ingegno non abbiano le prime parti, massimamente circa la invenzione; ma certo è che nell'animo di ciascuno, sia pur l'uomo di quanto buono ingegno può essere, nascono dei concetti baoni e mali, e più e meno; ma il giudizio poi e l'arte li lima e corregge, e fa elezione dei buoni e rifiuta i mali. Però lasciando quello che s'appartiene all' ingegno, dichiarateci quello che Consiste nell' arte, cioè, delle facezie e dei motti che inducono a ridere, quai son convenienti al cortigiano, e quai no, ed in qual tempo e modo

debbano usare, che questo è quello che 'l signor Prefetto v'addimanda.

Allor M. Federico pur ridendo, 'disse: Non è alcun qui di noi al qual io non ceda in ogni cosa, e massimamente nell'esser faceto, eccetto se forse le sciocchezze, che spesso fanno rider altrui più che i bei detti, non fossero esse ancor accettate per facezie. E così voltandosi al conte Lodovico ed a M. Bernardo Bibiena, disse: Eccovi i maestri di questo; dai quali, s'io ho da parlare de' detti giocosi, bisogna che prima impari ciò che m' abbia a dire. Rispose il conte Lodovico: A me pare che già cominciate ad usar quello di che dite non saper niente, cioè di voler far ridere questi signori, burlando M. Bernardo e me; perchè ognun di lor sa che quello di che ci lodate, in voi è molto più eccellen temente. Però se siete faticato, meglio è dimandar grazia alla signora Duchessa che faccia differire il resto del ragionamento a domani, che voler con inganni sutterfugger la fatica.

CAPO XVI.

Si dà l'impresa a M. Bernardo Bibiena
di parlar delle facezie.

Cominciava M. Federico a rispondere, ma la signora Emilia subito l' interruppe, e disse: Non è l'ordine che la disputa se ne vada in lode vostra, basta che tutti siete molto ben conosciuti. Ma perchè ancor mi ricordo che voi, Conte, iersera mi deste imputazione ch' io non partiva egualmente le fatiche, sarà bene che M. Fede rico si riposi un poco, e 'l carico del parlar delle facezie daremo a messer Bernardo Bibiena, perchè non solamente nel ragionar coutinuo lo

conosciamo facetissimo, ma abbiamo a memoria che di questa materia più volte ci ha promesso volere scrivere; e però possiam creder che già molto ben vi abbia pensato, e per questo debba compiutamente, soddisfarci. Poi, parlato che si sia delle facezie, M. Federico seguirà in quello che dir gli avanza del cortigiano.

Allor M. Federico disse: Signora, non so ciò che più mi avanzi, ma io, a guisa di viandante el già stanco dalla fatica del lungo camminare a mezzo giorno, riposerommi nel ragionar di M. Bernardo al suon delle sue parole, come sotto qualche amenissimo ed ombroso albero al mormorar Soave d'un vivo fonte; poi forse, un poco ristoa rato, potrò dir qualche altra cosa. Rispose ridendo M. Bernardo: S'io vi mostro il capo, vedrete che ombra si può aspettar delle foglie del mio albero. Di sentire il mormorio di quel fonte vivo forse vi verrà fatto, perch' io fui già converso in un fonte, non da alcuno degli antichi Dei, ma dal nostro Mariano, e da indi in qua mai non m'è mancata l'acqua. Allor ognun cominciò a ridere, perchè questa piacevolezza, di che M. Bernardo intendeva, essendo intervenuta in Roma alla presenza di Galeotto, cardinale di San Pietro in Vincula,a tutti era notissima. Cessato il riso, disse la signora Emilia: Lasciate voi adesso il farci ridere con l'operar le facezie, e a noi insegnate come le abbiamo ad usáre, e donde și cavino, e tutto quello che sopra questa materia voi Conoscete. E per non perder più tempo, cominciate omai. Dubito, disse M. Bernardo, che l'ora sia tarda; e acciocchè 'l mio parlar di facezie non sia infaceto e fastidioso, forse buon sarà differirlo insino a domani. Quivi subito risposero molti, non esser ancor, nè a gran pezza, l'ora conSueta di dar fine al ragionare.

CAPÓ XVII.

Del riso. Onde nasca il ridicolo.

Allora rivoltandosi M. Bernardo alla signora Duchessa e alla signora Emilia, Io non voglio fuggir, disse, questa fatica, bench' io, come soglio maravigliarmi dell'audacia di coloro che osano cantar alla viola in presenza del nostro Giacomo Sansecondo, così non dovrei in presenza di uditori che molto meglio intendon quello che io ho a dire, che io stesso, ragionar delle facezie; pur per non dar causa ad alcuno di questi signori di ricusar cosa che imposta loro sia, dirò quanto più brevemente mi sarà possibile ciò che mi occorre circa le cose che movono il riso; il qual tanto a noi è proprio, che per descriver l'uomo, si suol dir che egli è un animal risibile; perchè questo riso solamente negli uomini si vede, ed è quasi sempre testimonio d'una certa ilarità che dentro si sente nell' animo, il qual da natura è tirato al piacere, ed appetisce il riposo e 'l ricre arsi; onde veggiamo molte cose dagli uomini ri trovate per questo effetto, come le feste, e tante varie sorti di spettacoli. E perchè noi amiamo que' che son causa di tal nostra recreazione, usavano i re antichi, i Romani, gli Ateniesi, e molti altri, per acquistar la benevolenza dei popoli, e pascer gli occhi e gli animi della moltitudine, far magni teatri ed altri pubblici edificii; ed ivi mo strar nuovi giuochi, corsi di cavalli e di carrette, combattimenti, strani animali, commedie, tragedie e moresche; nè da tal vista erano alieni i severi filosofi, che spesso e cogli spettacoli di tal sorte e conviti, rilasciavano gli animi affaticati in quegli alti lor discorsi e divini pensieri; la

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IL CORTIGIANO LIBRO SECONDO

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qual cosa volentier fanno ancor tutte le qualità d'uomini, che non solamente i lavoratori dei campi, i marinari e tutti quelli che hanno duri ed aspri esercizii alle mani, ma i santi religiosi, i prigionieri che d'ora in ora aspettano lo morte, pur vanno cercando qualche rimedio e medicina per ricrearsi. Tutto quello adunque che muove il riso, esilara l'animo, e dà piacere, nè lascia che in quel punto l'uomo si ricordi delle noiose molestie, delle quali la vita nostra è piena. Però a tutti (come vedete) il riso è gratissimo, ed è molto da lodare chi lo muove a tempo e di buon modo. Ma che cosa sia questo riso, e dove stia, ed in che modo talor occupi le vene, gli occhi, la TO bocca e i fiauchi, e par che ci voglia fare scop i piare, tanto che, per forza che vi mettiamo, non 31 è possibile tenerlo, lascerò disputare a Democrito (1), il quale, se forse ancor lo promettesse, non lo saprebbe dire.

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હૈ Il fuogo adunque, e quasi il fonte onde nascoeno i ridicoli, consiste in una certa deformità; perchè solamente si ride di quelle cose che hanno in se disconvenienza, e par che stian male. lo non so altrimenti dichiarirlo. Ma se voi da te voi stessi pensate, vedrete che quasi sempre quel di che si ride, è una cosa che non si conviene, e pur non istà male.

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Regole generali che dee osservare il cortigiano nel muovere il riso.

Quali

uali adunque siano quei modi che debba tal usar il cortigiano per mover il riso, e fin a che

(1) Democrito, antico filosofo di Tracia, soleva sempre ridere sulle follie degli uomini.

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