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Però molti antichi, e dei più estimati, l'hanno usata, come Catone, Scipione Africano Minore; ma sopra tutti in questa dicesi essere stato eccellente Socrate filosofo, ed a' nostri tempi il re Alfonso I di Aragona (1), il quale essendo una mattina per mangiare, levossi molte preziose anella che nelli diti avea, per non bagnarle nel lavar delle mani, e così le diede a quello che prima gli occorse, quasi senza mirar chi fosse. Quel servitore pensò che 'l re non avesse posto cura a chi date le avesse, e che per i pensieri di maggior importanza, facil cosa fosse che in tutto se le scordasse; ed in questo più si confermò, vedendo che 'l re più non le ridomandava; e stando giorni e settimane e mesi senza sentirne mai parola, si pensò di certo esser sicuro; e così essendo vicino all' anno che questo gli era occorso, un'altra mattina, pur quando il re voleva mangiare, si rappresentò, e porse la mano per pigliar le anella: Allora il re, accostatosegli all'orecchio, gli disse: Bastinti le prime, chè queste saran buone per un altro. Vedete come il motto è salso, ingegnoso e grave, e degno veramente della magnanimità d'un Alessandro.

Simile a questa maniera che tende all' ironico, è ancora un altro modo, quando con oneste parole si nomina una cosa viziosa. Come disse il gran Capitauo ad un suo gentiluomo, il quale dopo la giornata della Cirignola (2), e quan

(1) Alfonso I d'Aragona cioè Alfonso di Aragona, 1 come re di Napoli, e V d'Aragona, che mori nel 1458.

(2) La Cirignola terra di Puglia non lungi dallo sbocco dell' Ofanto in mare, ove il gran Capitano nel 1503 ripor to vittoria de' Francesi. Santo Ermo, o Sant' Elmo, chia. masi quel fuoco che si vede sugli alberi delle navi dopo la tempesta, ed è segno di tranquillità. Dicesi anche Corpo Santo e San Nicola. I Pagani lo denominavano Castore e Polluce.

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do le cose già erano in securo, gli venne incontro armato riccamente quanto dir si possa come apparecchiato di combattere; ed allor iĺ gran Capitano, rivolto a Don Ugo di Cardona, disse: Non abbiate ormai più paura di tormento di mare, che santo Ermo è comparso; e con quella onesta parola lo punse; perchè sapete che santo Ermo sempre ai marinari appar dopo la tempesta, e dà segno di tranquillità. E così volle dire il gran Capitano, che essendo comparso questo gentiluomo, era segno che il pericolo già era in tutto passato. Essendo ancor il signor Ottaviano Úbaldino a Fiorenza in compagnia d'alcuni cittadini di molta autorità, e ragionando di soldati, un di quei gli addimandò se conosceva Antonello da Forlì, il qual allor si era fuggito dallo stato di Fiorenza. Rispose il signor Ottaviano: Io non lo conosco altrimenti, ma sempre l'ho sentito ricordare per un sollecito soldato. Disse allor un altro Fiorentino: Vedete come egli è sollecito, che si parte prima che domandi licenza.

Arguti motti sono ancor quelli, quando del parlar proprio del compagno, l'uomo cava quello che esso non vorrebbe; e di tal modo intendo che rispose il signor Duca nostro a quel castellano che perdè San Leo, quando questo stato fu tolto da papa Alessandro e dato al duca Valentino (1); e fu, che essendo il signor Duca in Venezia in quel tempo ch' io ho detto, venivano di continuo molti de' suoi sudditi a dargli secretamente notizia come passavan le cose dello stato, e fra gli altri vennevi ancor questo castel

Da papa

(1) San Leo fortezza nel ducato d'Urbino. Alessandro VI al duca Valentino, ossia a Cesare Borgia duca di Valenza in Francia.

lano; il quale dopo l'aversi accusato il meglio che seppe, dando la colpa alla sua disgrazia, disse: Signore, non dubitate, che ancor mi basta l'animo di far di modo che si potrà ricuperare San Leo. Allor rispose il signor Duca: Non ti affaticar più in questo; che già il perderlo è stato un far di modo che 'l si possa ricuperare. Son alcuni altri detti, quando un uomo, conosciuto per ingegnoso, dice una cosa che par che proceda da sciocchezza. Come l' altro giorno disse M. Camillo Paleotto d'uno: Questo pazzo subito che ha cominciato ad arricchire, si è morto. È simile a questo modo una certa dissimulazion falsa ed acuta, quando un uomo (come ho detto) prudente mostra non intender quello che intende.

Quasi in tal modo fu quel di Scipione Nasica ad Ennio ; che essendo andato Scipione a casa di Ennio per parlargli; e chiamandol giù dalla strada, una sua fante gli rispose che egli non era in casa; e Scipione udi manifestamente che Ennio proprio avea detto alla fante che dicesse ch' egli non era in casa; così si partì. Non molto appresso venne Ennio a casa di Scipione, e pur medesimamente lo chiamava stando da basso ; a cui Scipione ad alta voce esso medesimo rispose, che non era in casa. Allor Ennio, Come? non conosco io, rispose, la voce tua? Disse Scipione : Tu sei troppo discortese; l'altro giorno io credetti alla fante tua che tu non fossi in casa, e ora tu non vuoi credere a me stesso. È ancor bello, quando uno vieņ morso in quella medesima cosa che esso prima ha morso il compagno; come essendo Alonso Carillo alla corte di Spagna, ed avendo commesso alcuni errori giovanili, e non di molta importanza, per comandamento del re fu posto in prigione, e qui lasciato una notte. Il di seguente ne fu tratto, e così

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venendo a palazzo la mattina, giunse nella sala dove eran molti cavalieri e dame; e ridendosi di questa sua prigionia, disse la signora Boadilla; Signor Alonso, a me molto pesava di questa vostra disavventura, perchè tutti quelli che vi conoscono pensavano che 'l re dovesse farvi impiccare. Allora Alonso subito, Signora, disse, io ancor ebbi gran paura di questo; pur aveva gran speranza che voi mi dimandaste per marito. Vedete come questo è acuto ed ingegnoso, perchè in Ispagna, come ancor in molti altri luoghi, usanza è che quando si mena uno alle forche, se una meretrice pubblica l'addimanda per marito se gli dona la vita.

Sono ancor arguti quei motti che hanno in sè una certa nascosta suspizion di ridere; come lamentaudosi un marito molto, e piangendo sua moglie, che da sè stessa s'era ad un fico impiccată, un altro se gli accostò, se tiratolo per la veste, disse: Fratello, potrei io per grazia grandissima aver un rametto di quel fico, per inserirlo in qualche albero dell'orto mio? Son alcuni altri motti pazienti e detti lentamente con una certa gravità; come portando un contadino una cassa in ispalla, urtò Catone con essa, poi dis. se Guarda. Rispose Catone: Hai tu altio in ispalla che questa cassa (1)? Ridesi ancor quando un uomo, avendo fatto un errore, per rimediarlo dice una cosa a sommo studio, che pare sciocca, e pur tende a quel fine che esso disegna, e con quella s' aiuta per non restar impedito. Come a questi dì in consiglio di Fiorenza ritrovandosi due nemici (come spesso interviene in queste repubbliche ), l'uno d' essi, il quale

(1) Hai tu altro in ispalla che quella cassa? cioè non hai tu sulle spalle ancor la testa per considerar quel che fai?

era di casa Altoviti, dormiva; e quello che gli sedeva vicino, per ridere, benche 'l suo avversario, che era di casa Alamanni, non parlasse, nè avesse parlato, toccandolo col cubito lo risvegliò e disse: Non odi tu ciò che il tal dice? rispondi, chè i signori domandan del parer tuo. Allor l'Altoviti, tutto sonnacchioso, e senza pensar altro, si levò in piedi, e disse: Signori, io dico tutto il contrario di quello che ha detto l'A. lamanni. Rispose l' Alamanni: Oh! io non ho detto nulla. Subito disse l'Altoviti: Di quello che tu dirai. Disse ancor di questo modo maestro Serafino medico vostro Urbinate ad un contadino, il qual avendo avuto una gran percossa in un occhio; di sorte che in vero glielo aveva cavato, deliberò pur d'andar per rimedio a maestro Serafino, ed esso vedendolo, benchè conoscesse esser impossibile il guarirlo (per cavargli danari dalle mani, come quella percossa gli aveva cavato l'occhio dalla testa) gli promise largamente di guarirlo e così ogni dì gli addimandava danari, affermando che fra cinque o sei di cominciereb be a riaver la vista. Il povero contadino gli dava quel poco che aveva; pur, vedendo che la cosa andava in lungo, cominciò a dolersi del medico, e dir che non sentiva miglioramento alcuno, nè discernea con quell'occhio più che se non l'avesse avuto in capo. In ultimo vedendo maestro Serafino che poco più potea trargli di mano, disse: Fratello mio, bisogna aver pazienza: tu hai perduto l'occhio, nè più v'è rimedio alcuno; e Dio voglia che tu non perda anco quell' altro. Udendo questo il contadino si mise a piangere e dolersi forte, e disse: Maestro, voi m'avete assassinato e rubato i miei danari; io mi lamenterò al signor duca; e facea i maggiori stridi del mondo. Allora maestro Serafino in collera, e per isvilup Castiglione fusc. 104.

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