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CAPO PRIMO.

Proemio intorno alla eccellenza della corte
di Urbino.

Leggesi che Pitagora sottilissimamente e con

bel modo trovò la misura del corpo d' Ercole: e questo, che sapendosi, quello spazio nel quale ogni cinque anni si celebravan i giuochi Olimpici in Acaia presso Elide, innanzi al tempio di Giove Olimpico, essere stato misurato da Ercole, e fatto uno stadio di seicento e venticinque piedi, dei suoi proprii; e gli altri stadii, che per tutta Grecia dai posteri poi furono instituiti, esser medesimamente di seicento e venticinque piedi, ma contuttociò alquanto più corti di quello; Pitagora facilmente conobbe da quella proporzione, quanto il piè di Ercole fosse stato maggior degli altri piedi umani; e così intesa la misura del piede, a quella comprese, tutto'l corpo d'Ercole tanto essere stato di gran dezza superiore agli altri uomini proporzionalmente, quanto quello stadio agli altri stadii. Voi adunque, M. Alfonso mio, per la medesima ragione, da questa piccola parte di tutto 'I corpo potete chiaramente conoscere quanto la corte d'Urbino fosse a tutte l'altre della Italia superiore, considerando quanto i giuochi, li quali son ritrovati per ricrear gli animi affaticati dalle faccende più ardue, fossero a quelli che s' usano nelle altre corti della Italia, superiori. E se queste eran tali, immaginate quali eran poi l'altre operazioni virtuose, ov' eran gli ani

IL CORTIGIANO LIBRO TERZO

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mi intenti e totalmente dediti, e di questo io confidentemente ardisco di parlare con isperanza d'esser creduto, non lodando cose tanto antiche, che mi sia lecito fingere; e potendo approvar quant' io ragiono col testimonio di molti uomini degni di fede, che vivono ancora presenzialmente hanno veduto e conosciuto la vita o i costumi che in quella casa fiorirono un tempo; ed io mi tengo obbligato, per quanto posso, di sforzarmi con ogni studio vendicar dalla mortal obblivione questa chiara memoria, e scrivendo farla viver negli animi dei posteri. Onde forse per l'avvenire non mancherà chi per questo ancor porti invidia al secol nostro; chè non è alcun, che legga le maravigliose cose degli antichi, che nell' animo suo non formi una certa maggior opinion di coloro di cui si scrive, che non pare che possano esprimer quei libri, avvengachè divinamente siano scritti. Così noi desideriamo che tutti quelli, nelle cui mani verrà questa nostra fatica, se pur mai sarà di tanto favor degna, che da nobili cavalieri e valorose donne meriti esser veduta, presumano, e per fermo tengano, la corte d'Urbino essere stata molto più eccellente, ed ornata d'uomini singolari, che noi non possiamo, scrivendo, esprimere; e se in noi fosse tanta eloquenza, quanto in essi era valore, non avremmo bisogno d'altro testimonio per far che alle parole nostre fosse da quelli che non l'hanno veduto dato piena fede.

Quali virtù e condizioni debbano esser comu. ni alla donna di palazzo col cortigiano, e colle altre donne, e quali a lei principalmente si convengano.

Essendo adunque ridotta il seguente giorno la compagnia al solito luogo, e postași con silenzio a sedere rivolse ognun gli occhi a M. Federico ed al Magnifico Giuliano, aspettando qual di lor desse principio a ragionare. Onde la signora Duchessa, essendo stata alquanto cheta, Signor Magnifico, disse, ognun desidera veder questa vostra donna ben ordinata; e se non ce la mostrate di tal modo, che le sue bellezze tutte si veggano, estimeremo che ne siate geloso. Rispose il Magnifico: Signora, se io la tenessi per bella, la mostrerei senz' altri ornamenti e di quel modo che volle veder Paris le tre dee; ma se queste doune (che pur lo sanno fare) non m'aiutano ad acconciarla, io dubito che non solamente il signor Gasparo ell Frigio, ma tutti quest'altri signori avranno giusta causa di dirne male. Però, mentre che ella sta pur in qualche opinion di bellezza, forse sarà meglio tenerla occulta, e veder quello che a che vanza a M. Federico a dir del cortigiano, senza dubbio è molto più bello che non può esser la mia donna. Quello ch' io mi aveva posto in animo, rispose M. Federico, non è tanto appartenente al cortigiano, che non si possa lasciar senza danno alcuno; anzi è quasi diversa | materia da quella che sin qui s'è ragionata E che cosa è egli adunque? disse la signora Duchessa. Rispose M. Federico: lo m'era deliberato, per quanto poteva, di chiarir le cause di

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