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lei da Sinorige (che così si chiamava l'innamorato), cominciarono a persuaderla a contenfarsi di questo, mostrandole, il consentir essere utile assai, e 'l negarlo pericoloso per lei e per tutti loro. Essa poichè loro ebbe alquanto contraddetto, rispose in ultimo esser contenta. I pareuti fecero intendere la nuova a Sinorige; il qual allegro sopra modo, procurò che subito si celebrassero le nozze. Venuto adunque l'uno e l'altro a questo effetto solennemente nel tempio di Diaua, Camma fece portar una certa bevanda dolce, la quale essa avea composta; e così davanti al simulacro di Diana in presenza di Sinorige ne bevve la metà; poi di sua mano (perchè questo uelle nozze s'usava di fare) diede il rimanente allo sposo; il qual tutto lo bevve. Camma come vide il disegno suo riuscito, tulta lieta appiè della immagine di Diana s' inginocchiò, e disse: O Dea, tu che conosci l'intrinseco del cuor mio, siami buon testimonio, come difficilmente, dopo che 'l mio caro consorte morì, contenuta mi sia di non mi dar la morte; e con quanta fatica abbia sofferto il dolore di star in questa amara vita, nella quale non ho sentito alcuno altro bene o piacere, fuor che la speranza di quella vendetta che or mi trovo aver conseguita; però allegra e contenta vado a trovar la dolce compagnia di quell'anima, che in vita ed in morte più che me stessa ho sempre amata. E tu, scellerato, che pensasti esser inio marito, in iscambio del letto nuziale, da ordine che apparecchiato ti sia il sepolcro, ch'io di te fo sacrifizio al ombra di Sinatto. Sbigottito Sinorige di queste parole, e già sentendo la virtù del veleno che lo perturbava, cercò molti rimedii; ma non valsero; ed ebbe Camma di tanto la fortuna favorevole, o altro che si fosse, che innanzi che

al

essa morisse, seppe che Sinorige era morto. La qual cosa intendendo, contentissima si pose letto con gli occhi al cielo, chiamando sempre il nome di Sinatto; e diceudo: O dolcissimo consorte, or ch' io ho dato per gli ultimi doni alla tua morte e lacrime e vendetta, nè veggio che più altra cosa qui a far per te mi resti, fuggo il mondo, e questa senza te crudel vita, la quale per te solo già mi fu cara. Vieni adunque incon tra, signor mio, ed accogli, così volentieri questa anima, come essa volentieri a te ne viene; e di questo modo parlando e con le braccia aperte, quasi che in quel punto abbracciar lo volesse, se ne morì. Or dite, Frigio, che vi par di questa? Rispose il Frigio: Parmi che voi vorreste far piangere queste donne. Ma poniamo che questo ancor fosse vero, io vi dico che tai donne non si trovano più al mondo.

Disse il Magnifico: Si trovan sì; e che sia vero, udite: A' di iniei fu in Pisa un gentiluomo, il cui nome era M. Tommaso ; non mi ricordo di qual famiglia, ancorchè da mio padre, che fu suo grande amico, sentissi più volte ricordarla. Questo messer Tommaso adunque, passando un di sopra un piccolo legnetto da Pisa in Sicilia per sue bisogne, fu soprappreso d'alcune fuste de' Mori, che gli furono addosso così all'improvviso, che quelli che governavano il legnetto non se n'accorsero, e benchè gli uomini che dentro v'erano, si difendessero assai, pur, per esser eşsi pochi e gl' inimici molti, il legnetto con quanti v'eran sopra rimase nel poter dei Mori, chi ferito e chi sano secondo la sorte, e con essi M. Tommaso, il qual s' era portato valorosamente, ed avea morto di sua mano un fratello d'un dei capitani di quelle fuste. Della qual cosa il capitano sdeguato (come potete pensare) del

d'un

la perdita del fratello, volle costni per suo prigioniero; e battendolo e straziandolo ogni giorno, lo condusse in Barberia, dove in gran miseria aveva deliberato tenerlo in vita sua cattivo e con gran pena. Gli altri tutti, chi per una e chi per un' altra via, furono in capo tempo liberi, e ritornarono a casa, e riportaro'no alla moglie, che madonna Argentina avea nome, ed ai figliuoli, la dura vita e 'l grand'affanno in che M. Tommaso viveva, ed era continuamente per vivere senza speranza, se Dio miracolosamente non l'aiutava; della qual cosa poi che essa ed eglino furono chiariti, tentati alcuni altri modi di liberarlo; e dove esso medesimo già s' era acquetato di morire, intervenne che una solerte pietà svegliò tanto l' ingegno e l'ardir d'un suo figliuolo, che si chiamava Paolo, che non ebbe riguardo a niuna sorte di pericolo, e deliberò, o morir o liberar il padre; la qual cosa gli venne fatta, di modo che lo condusse così cautamente, che prima fu in Livorno, che si risapesse in Barberia ch'e' fosse di là partito. Quindi M. Tommaso sicuro, scrisse alla moglie, e le fece intendere la libe razion sua, e dove era, e come il dì seguente sperava di vederla. La buona e gentil donna, sopraggiunta da tanta e non pensata allegrezza di dover cosi presto, e per pietà e per virtù del figliuolo, vedere il marito, il quale amava tanto, e già credea fermamente non dover mai più vederlo; letta la lettera, alzò gli occhi al cielo, e chiamato il nome del marito, cadde morta in terra; nè mai con rimedii che se le facessero, la fuggita anima più ritornò nel corpo. Crudele spettacolo, e bastante a temperar le volontà umane, e ritrarle dal desiderar troppo efficacemente le soverchie allegrezze! Disse allora ri

dendo il Frigio: Che sapete voi ch' ella non morisse di dispiacere, intendendo che 'l marito tornava a casa? Rispose il Magnifico: Perchè il resto della vita sua nou si accordava con questo; anzi peuso che quell' anima non potendo tollerare lo indugio di vederlo con gli occhi del corpo, quello abbandonasse; e tratta dal desiderio volasse subito dove, leggeudo quella lettera, era volato il pensiero.

CAPO VII.

Donne celebri per invenzioni e dottrina. Disse il signor Gasparo: Può esser che questa donna fosse. troppo amorevole; perchè le doune in ogni cosa sempre si attaccano allo estremo, che è male; e vedete che per essere troppo amorevole, fece male a sè stessa, al marito ed ai figliuoli, ai quali converse in amaritudine il piacere di quella pericolosa e desiderata liberazione. Però non dovete già allegar questa per una di quelle donne che sono state causa di tanti beni. Rispose il Magnifico: lo la allego per una di quelle che fanno testimonio che si trovino mogli che amino i mariti; che di quelle che siano state causa di molti beni al mondo, potrei dirvi un numero infinito, e narrarvi delle tanto antiche, che quasi paion favole, e di quelle che appresso agli uomini sono state inventrici di tai cose che hanno meritato esser estimate dee; come Pallade, Cerere (1), e delle Sibille, per bocca delle quali Dio tante volte ha

(1) Pallade, chiamata anche Minerva, che nacque del cer. vello di Giove, fu la dea delle arti e delle scienze. Era eccellente ne' lavori di lana, e fece sorgere dalla terra la pianta dell'olivo. Cerere, figlia di Saturno e di Cibele, in

parlato e rivelato al mondo le cose che aveano a venire; e di quelle che hanno insegnato a grandissimi uomini, come Aspasia e Diotima (1), la quale ancora con sacrificii prolungò dieci anni il tempo d'una peste che aveva da venire in Atene. Potrei dirvi di Nicostrata, madre d'Evan dio, la quale mostrò le lettere ai Latini; e di un' altra donna ancor, che fu maestra di Pindaro lirico (2); e di Corinna e di Saffo, che furono eccellentissime in poesia: ma io non voglio cercar le cose, tanto lontane.

CAPO VIII.

Donne che giovarono alla grandezza di Roma. Dicovi ben, lasciando il resto, che della gran

dezza di Roma furono forse non minor causa le donne che gli uomini. Questo, disse il signor Gasparo, sarebbe bello da intendere. Rispose il Magnifico: Or uditelo: Dopo la espugnazion di Troia molti Troiani, che a tanta ruina avan zarono, fuggirono chi ad una via, chi ad un'altra; dei quali una parte, che da molte procelle furono battuti, vennero in Italia nella contrada ove il Tevere entra in mare. Così discesi iu terra, per cercar de' bisogni loro, cominciarono segnò agli uomini l'arte di coltivar la terra e di seminar il frumento, ond' era considerata la dea dell' agricoltura.

(1) Aspasia, donna d'ingegno vivace, da Mileto sua patria venne a far dimora in Atene, ov' ebbe la società più brillante. Filosofi, letterati, generali e politici, e tutto il fiore della nobile gioventù, come Socrate, Anassagora, Alcibia de frequentavano la sua casa la quale pareva divenuta scuola di politica, d'eloquenza e di civiltà. Coi consigli che dava a Pericle ebbe parte nel governo d'Atene, -Diotima insegnò a Socrate,

(2) Mirtide, poetessa greca, maestra di Pindaro e di Co. rinna.

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