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IL CORTIGIANO LIBRO QUARTO

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la natura così rare volte come fa, tali uomini, pareva pur conveniente che di questo così tosto non ci privasse; chè certo dir si può che M. Cesare ci fosse appunto ritolto quando cominciava a mostrar di sè più che la speranza, ed esser estimato quanto meritavano le sue ottime qualità; perchè già con molte virtuose fatiche avea fatto buon testimonio del suo valore, il quale risplendeva, oltre alla nobiltà del sangue, dell' ornamento ancora delle lettere e d'arme, e d'ogni lodevol costume; tal che, per la bontà, per l'ingegno, per l'animo e per lo saper suo, non era cosa tauto grande che di lui aspettar non si potesse (1). Non passò molto che M. Roberto da Bari, esso ancor morendo, molto dispiacer diede a tutta la casa; perchè ragionevole pareva che ognun si dolesse della morte d'un giovane di buoni costumi, piacevole, e di bellezza, d'aspetto e disposizion della persona rarissimo, in complession tanto prosperosa e gagliarda quanto desiderar si potesse. Questi adunque se vivuti fossero, penso che sarebbero giuuti a grado che avrebbero ad ognuno che conosciuti gli avesse, potuto dimostrar chiaro argomento quanto la corte d'Urbino fosse degna di lode, e come di nobili cavalieri ornata; il che fatto hanno quasi tutti gli altri che in essa creati si sono; che veramente del caval troiano non uscirono tanti signori e capitani, quanti di questa casa usciti sono uomini per virtù singolari, e da ognuno sommamente pregiati. Chè, come sapete, M. Federico Fregoso fu fatto arcivescovo di Salerno, il conte Lodovico, vescovo di Bajous; il signor Ottaviano, duce di Geno

(1) M. Cesare Gonzaga, valoroso, guerriero, leggiadro poeta, grande ed accorto ministro. Le sue poesie si trovano stam. pate con quelle dell' autore, che era suo cugino.

Castiglione fasc. 105.

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va, M. Bernardo Bibiena, cardinale di Santa Maria in Portico, M. Pietro Bembo, segretario di papa Leone; il signor Magnifico al ducato di Nemours, ed a quella grandezza ascese dove or si trova (1); il signor Francesco Maria Rovere, prefetto di Roma, fa esso ancora fatto duca d'Urbino; benchè molto maggior lode attribuir si possa alla casa dove nutrito fu, che in essa sia riuscito così raro ed eccellente signore in ogni qualità di virtù, come or si vede, che dell' esser pervenuto al ducato d' Urbino; nè credo che di ciò piccola causa sia stata la nobile compagnia, dove in continua conversazione sempre ha veduto ed udito lodevoli costumi. Però parmi che quella causa o sia per ventura, o per favore delle stelle, che ha così lungamente concesso ottimi signori ad Urbino, pur ancora duri, e produca i medesimi effetti; e però sperar si può che ancor la buona fortuna debba secondar tanto queste opere virtuoche la felicità della casa e dello stato non solamente non sia per mancare, ma più presto di giorno in giorno per accrescersi; e già se ne conoscono molti chiari segni, tra i quali estimo il precipuo, l'esserci stata concessa dal cielo una tal signora, com'è la signora Eleonora Gonzaga, duchessa nuova; che se mai fu

se,

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(1) Bajons, ovvero Bajeux, città di Francia nell'antica provincia di Normandia, Il conte Ludovico fu anche amba sciatore di Francia al papa. 11 Bembo indi fu cardinale e vescovo di Gubbio e poi di Bergamo, ed è celebre per le sue opere.-Ristabilitasi in Firenze la casa de' Medici, e fatto papa, col nome di Leon X, Giovanni de' Medici, il Magnifico Giuliano suo fratello fu creato capitan generale e gonfaloniere della chiesa, ed ebbe in moglie Filiberta di Savoia, zia di Francesco 1 re di Francia. Questo monarca diede al Magnifico il ducato di Nemours, città nell'antica provincia

dell'isola di Francia,

rono in un corpo solo congiunti sapere, grazia, bellezza, ingegno, maniere accorte, umanità, ed ogni altro gentil costume, in questa tanto sono uniti, che ne risulta una catena che ogni suo movimento di tutte queste condizioni insieme compone ed adorna. Seguitiamo adunque i ragionamenti del nostro cortigiano, con isperanza che dopo noi non debbano mancare di quelli che piglino chiari ed onorati esempi di virtù dalla corte presente d'Urbino, così come or noi facciamo dalla passata.

CAPO II.

Del fine della cortigiania, e della maniera di ottenerlo.

Parve adunque, secondo che 'l signor Ġa

sparo Pallavicino raccontar soleva, che il seguente giorno dopo i ragionamenti contenuti nel precedente libro, il signor Ottaviano fosse poco veduto; perchè molti estimarono che egli fosse ritirato, per poter senza impedimento pensar bene a ciò che dire avesse ; però, essendo all' ora consueta ridottasi la compagnia alla signora duchessa, bisoguò con diligenza far cercar il signor Ottaviano, il quale non comparve per buono spazio, di modo che molti cavalieri e damigelle della corte cominciarono a danzare, ed attendere ad altri piaceri, con opinion che per quella sera più nou s'avesse a ragionar del cortigiano; e già tutti erano occupati, chi in una cosa, chi in un' altra, quando il signor Ottaviano giunse quasi più non aspettato; e vedendo che M. Cesare Gonzaga e'l signor Gasparo danzavano, avendo fatto riverenza verso la signora Duchessa, disse ridendo: lo aspettava pur d'udire

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ancor questa sera il signor Gasparo dir qualche mal delle donne, ma vedendolo danzar con una, penso ch'egli abbia fatto la pace con tutte; e piacemi che la lite, o (per dir meglio) il ragio namento del Cortigiano sia terminato così. Terminato non è già, rispose la signora duchessa, perch'io non son così nemica degli uomini, come voi siete delle donne, e perciò non voglio che'l cortigiano sia defraudato del suo debito onore, e di quegli ornamenti che voi stesso iersera gli prometteste; e così parlando, ordinò che tutti, finita quella danza, si mettessero a sedere al modo usato; il che fu fatto; e stando ognuno con molta attenzione, disse il signor Ottaviano:

Signora, poichè l'aver io desiderato molt' altre buone qualità nel cortigiano, si battezza per pro messa ch' io le abbia a dire, son contento parlarne, non già con opinion di dir tutto quello che vi si potrebbe, ma solamente tanto che basti per levar dell'animo vostro quello che iersera opposto mi fu cioè, ch' io abbia così detto piuttosto per detrarre alle lodi della donna di palazzo, con far credere falsamente che altre eccellenze si possano attribuire al cortigiano, e con tal arte fargliele superiore, che perchè così sia; però, per accomodarmi ancor all' ora, che è più tarda che non suole quando si dà principio al ragionare, sarò breve. Così continuando il ragionamento di que sti signori, il qual in tutto approvo e confermo, dico, che delle cose che noi chiamiamo buone, sono alcune che semplicemente, e per sè stesse sempre son buone, come la temperanza, la fortezza, la sanità, e tutte le virtù che partoriscono tranquillità agli animi, altre che per diversi rispetti, e per lo fine al quale s'indrizzano, son buone, come le leggi, la liberalità, le ricchezze ed altre simili. Estimo io adunque che 'l cortigia

no perfetto, di quel modo che descritto l'hanno il conte Lodovico e M. Federico, possa esser ve ramente buona cosa, e degna di fode, non però #semplicemente, nè per sè, ma per rispetto del fine al quale può essere indirizzato: chè in vero, se con l'esser nobile, aggraziato e piacevole, ed esperto in tanti esercizii, il cortigiano non producesse altro frutto che l'esser tale per sè stesso, non estimerei che per conseguir questa perfezion di cortigiania dovesse l'uomo ragionevolmente mettervi tanto studio e fatica, quanto è necessario a chi la vuole acquistare, anzi direi che molte di quelle condizioni che se gli sono attribuite, come il danzare, festeggiare, cantare e giuocare, fossero leggerezze e vanità, ed in un uomo di grado piuttosto degne di biasimo che di lode; perchè queste attillature, imprese, motti, ed altre tai cose, che appartengono ad intertenimenti di donne e d'amori, spesso non fanno altro che effemminar gli animi, corromper la gioventù e ridurla a vita lascivissima; onde nascono poi questi effetti, che 'l nome italiano è ridotto in obbrobrio; nè si ritrovano se non pochi che osino non dirò morire, ma pur entrare in un pericolo. E certo infinite altre cose son le quali, mettendovisi industria e studio, partorirebbero molto maggior utilità e nella pace e nella guerra; che questa tal cortigiania per sè sola. Ma se le operazioni del cortigiano sono indrizzate a quel buon fine che debbono e ch'io intendo, parmi ben, che non solamente non siano dannose o vane, ma utilissime e degne d'infinita lode.

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Il fin adunque del perfetto cortigiano, del quale insino a qui non s'è parlato, estimo io che sia il guadagnarsi per mezzo delle condizio. ni attribuitegli da questi signori, talmente la benevolenza e l'animo di quel principe a cui ser

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