teramente come sarebbe bisogno; però in essi di questo più presto una debile opinione che certa scienza; onde consentono che la ragione sia vinta dall' affetto : ma se ne avessero vera scienza, non è dubbio che non errerebbero ; perchè sempre quella cosa per la quale l' appetito vince la ragione, è ignoranza, nè può mai la vera scienza esser separata dall'affetto il qua le dal corpo, e non dall' animo deriva; e se dalla ragione è ben retto e governato, diventa virtù; e se altrimenti, diventa vizio; ma tanta forza ha la ragione, che sempre si fa obbedire al senso, e con maravigliosi modi e vie, penetra, pur che la ignoranza non occu pi quello che essa aver dovrebbe, di modo che, benchè gli spiriti e i nervi e l'ossa non abbiano ragione in sè, pur quando nasce in noi quel movimento dell' animo, quasi che 'l pensiero sproni e scuota la briglia agli spiriti, tutte le membra s' apparecchiano, piedi al corso, le mani a pigliar o a fare ciò che l'animo pensa; e questo ancor si conosce manifestamente in molti, i quali non sapendo, talora mangiano qualche cibo stomacoso e schifoso, ma così ben acconcio, che al gusto lor pare delicatissimo poi risapendo che cosa era, non solamente han no dolore e fastidio nell' animo, ma il corpo accordan sì col giudizio della mente, che pe forza vomitano quel cibo. Se sia virtù più perfetta la continenza, Seguitava pur il signor Ottaviano il suo ra gionamento, ma il Magnifico Giuliano interrompendolo, Signor Ottaviano, disse, se bene ho inteso, voi avete detto che la continenza è virtù imperfetta, perchè ha in sè parte d'affetto, ed a me pare che quella virtù la quale (essendo nell' animo nostro discordia tra la ragione e l'appetito ) combatte, e dà la vittoria alla ragione, si debba estimar più perfetta che quella che vince, non avendo cupidità nè affetto alcuno che le contrasti; perchè pare che quell'animo non si astenga dal male per virtù, ma resti di farlo perchè non ne abbia volontà. Allora il signor Ottaviano, Qual, disse, estimereste voi capitan di più valore, o quello che combattendo apertamente si mette a pericolo, e pur vince gl' inimici, o quello che per virtù e saper suo lor toglie le forze riducendoli a termine che non possan combattere; e così senza battaglia o pericolo alcuno li vince? Quello, disse il Magnifico Giuliano, che più sicuramente vince, senza dubbio è più da lodare, pur che questa vittoria cosi certa non proceda dalla dappocaggine degl' inimici. Rispose il signor Ottaviano: Beu avete giudicato; e però dirovi che la continenza comparar si può ad un capitano che combatta virilmente; e benchè gl' inimici sian forti e potenti, pur li vince, non però senza gran difficoltà e pericolo; ma la temperanza libera da ogni perturbazione è simile a quel capitano, che senza contrasto vince e regna; ed avendo in quell'animo, dove si ritrova, non solamente sedato, ma in tutto estinto il fuoco della cupidità, come buon principe in guerra civile distrugge i sediziosi nemici intrinsechi, e dona scettro e dominio intero alla ragione. Così questa virtù non isforzando l'animo, ma infondendogli per vie placidissime una veemente persuasione che lo inclina alla onestà, lo rende quieto e pien di riposo, in tutto eguale e ben misurato, e da ogni canto composto d'una certa concordia con sè stesso, che lo adorna di così serena tranquillità, che mai non si turba, ed in tutto diviene obbedientissimo alla ragione, e pronto di volgere ad essa ogni suo movimento, e seguirla ovunque condur lo voglia, senza repugnanza alcuna, come tenero agnello che corre, sta e va sempre presso la madre, e solamente secondo quella si muove. CAPO VI. Se al principe convenga la temperanza, Qu uesta virtù adunque è perfettissima, e conviensi massimamente ai principi, perchè da lei ne nascono molte altre. Allora M. Cesare Gonzaga, Non so, disse, quai virtù convenienti a signore possano nascere da questa temperanza, essendo quella che leva gli affetti dell'animo, come voi dite; il che forse si converrebbe a qualche monaco o eremita, ma non so già coine ad un principe magnanimo, liberale e valente nell' arme si convenisse il non aver mai per cosa che se gli facesse, nè ira, nè odio, nè benevolenza, nè sdegno, nè cupidità, è affetto alcuno, e come senza questo aver potesse autorità tra popoli e tra sudditi, Rispo se il signor Ottaviano: Jo non ho detto che la temperanza levi totalmente e svella dagli animi umani gli affetti; nè ben sarebbe il farlo; perchè negli affetti ancora sono alcune parti buone; ma quello che negli affetti è perverso e renitente allo onesto, riduce ad obbedire alla ragione; però non è conveniente, per levar le perturbazioni, estirpar gli affetti in tutto; chè questo sarebbe come se per fuggir la ebrietà si facesse un editto che niuno bevesse vino, o perchè talor correndo l'uomo cade, si interdicesse ad ognuno il correre. Eccovi che quelli che domano i cavalli, non vietano loro il correre e saltare, ma voglion che lo facciano a tempo e ad obbedienza del cavaliero. Gli affetti adunque modificati dalla temperanza, sono favorevoli alla virtù, come l'ira che aiuta la fortezza: l'odio contra gli scellerati aiuta la giustizia, e medesimamente l'altre virtù sono aiutate dagli affetti, li quali se fossero in tutto levati, lascerebbero la ragione debolissima e languida, di modo che poco operar potrebbe; come governator di nave, abbandonato da' venti in gran calma. Non vi maravigliate adunque, M. Cesare, s'io ho detto che dalla temperanza nascono molte altre virtù; che quando un animo è concorde di questa armonia, per mezzo della ragione poi facilmente riceve la vera fortezza, la quale lo fa intrepido e sicuro da ogni pericolo, e quasi sopra le passioni umane; non me. no la giustizia, vergine incorrotta, amica della modestia e del bene, regina di tutte l'altre virtù, perchè insegna a far quello che si dee fare e fuggir quello che si dee fuggire; e però è perfettissima, perchè per essa si fan l'opere dell'altre virtù, ed è giovevole a chi la possede, e per sè stesso, e per gli altri, senza la quale (come si dice) Giove istesso non potrebbe ben CAPO VII. Se sia migliore il governo del principe, Quiv o della repubblica. uivi avendo fatto il signor Ottaviano un poco di pausa, come per riposarsi, disse il signor Gasparo: Qual estimate voi, signor Ottaviano, più felice dominio, e più bastante a ri 1 |