Immagini della pagina
PDF
ePub
[ocr errors]

principe è legge e maestra dei cittadini (1); e. forza è che dai costumi di quello dipendan tutti gli altri: nè si conviene a chi è ignorante, insegnare, nè a chi è inordinato, ordinare, nè a chi cade, rilevare altrui. Però se'l principe ba da far ben questi officii, bisogna ch' egli pong ogni studio e diligenza per sapere; poi formi dentro a sè stesso, ed osservi immutabilmente in ogni cosa la legge della ragione, non iscritta in carte o in metallo, ma scolpita nell' animo suo proprio; acciocchè gli sia sempre, non che familiare, ma intrinseca, e con esso viva, come parte di lui; perchè giorno e notte in ogni luogo e tempo lo ammonisca, e gli parli dentro al cuore, levandogli quelle perturbazioni che ser tono gli animi intemperati, i quali, per essere oppressi da un canto quasi da profondissimo son no della ignoranza, dall' altro dal travaglio che ricevono dai loro perversi e ciechi desiderii, sono agitati da furore inquieto, come talor chi dorme, da strane ed orribili visioni. Aggiungendosi poi maggior potenza al mal volere, vi si aggiun ge ancora maggior molestia; e quando il prin cipe può ciò che vuole, allor è gran pericol che non voglia quello che non deve; però ben disse Biante (2) che i magistrati dimostrano qua li sian gli uomini; chè come i vasi mentre son vôti, benchè abbiano qualche fissura, mal si possono conoscere, ma se liquore dentro vi si mette, subito mostrano da qual banda sia il vizio; così gli animi corrotti e guasti rare volte scoprono i loro difetti, se non quando s'empio no d'autorità; perchè allora non bastano per

() Regis ad exemplum totus componitur orbis. Claud, (2) Biante, uno de' sette sapienti della Grecia, fioriva ver to l'anno 6o8 avanti l' era volgare,

sopportare il grave peso della potenza; e perciò s'abbandonano e versano da ogni canto la cupidità, la superbia, la iracondia, la insolenza e quei costumi tiraunici che hanno dentro; onde senza risguardo perseguono i buoni e i savii ed esaltano i mali; nè comportano che nelle città siano amicizie, compagnie, nè intelligenze tra i cittadini, ma nutriscono gli esploratori, accusatori, omicidiali, acciocchè spaventino e facciano divenir gli uomini pusillanimi, e spargono discor die, per tenerli disgiunti e debili; e da questi modi procedono poi infiniti danni e ruine ai miseri popoli, e spesso crudel morte, o almen tinor continuo ai medesimi tiranni; perchè i buoni principi temono non per sè, ma per quelli a' quali comandano; e i tiranni temono quelli medesimi a' quali comandano; però quanto a maggior numero di gente comandano, e son più potenti, tanto più temono ed hanno più ne. mici. Come credete voi che si spaventasse, e stesse con l'animo sospeso quel Clearco, tiranno di Ponto, ogni volta che andava nella piazza o nel teatro, o a qualche convito o altro luogo pubblico? che (come si scrive) dormiva chiuso in una cassa; ovver quell' altro Aristodemo Ar. givo? il qual a sè stesso del letto aveva fatta quasi una prigione; che nel palazzo suo tenea una piccola stanza sospesa in aria, ed alta tanto, che con iscala andar vi si bisognava, e quivi con una sua femmina dormiva, la madre della quale la notte ne levava la scala, la mattina ve la rimetteva. Contraria vita in tutto a questa deve adunque essere quella del buon principe, libera e sicura, e tanto cara ai cittadini, quanto la loro propria, ed ordinata di modo, che partecipi dell' attiva e della contemplativa, quanto si conviene per benefició dei popoli.

e

Se al principe s' appartenga la vita attiva o la contemplativa. Qual debba essere il fine quali le virtù del principe nella guerra e nella pace.

Allora il signor Gasparo, E qual disse, di queste due vite, signor Ottaviano, parvi che più s' appartenga al principe? Rispose il signor Ottaviano ridendo: Voi forse pensate ch'io mi persuada esser quello eccellente cortigiano che deve saper tante cose, e servirsene a quel buon fine che io ho detto, ma ricordatevi che questi signori l'hanno formato con molte condizioni che non sono in me; però procuriamo prima di trovarlo, che io a lui mi rimetto e di questo e di tutte l'altre cose che s' appartengono a buon principe. Allora il signor Gasparo, Penso, disse, che se delle condizioni attribuite al cortigiano alcune a voi mancano, sia più presto la musica e'l danzare e le altre di poca importanza, che quelle che appartengono alla instituzion del principe, ed a questo fine della cortigiania. Rispose'il signor Ottaviano: Non sono di poca importanza tutte quelle che giovano al guadagnar la grazia del principe, il che è necessario (come abbiamo detto) prima che'l cortigiano si avventuri a volergli insegnar la virtù; la qual estimo avervi mostrato che imparar si può, e che tanto giova, quanto nuoce la ignoranza, dalla quale nascono tutti i peccati, e massimamente quella falsa persuasion che l'uom piglia di sè stesso; però parmi d'aver detto abbastanza, e forse più ch' io non aveva promesso. Allora la signora duchessa, Noi saremo, disse, tanto più tenuti alla cortesia vostra, quanto la soddisfazione avanzerà

IL CORTIGIANO LIBRO QUARTO

327

la promessa; però non v' incresca dir quello che vi pare sopra la dimanda del signor Gasparo; e per vostra fè diteci ancora tutto quello che voi insegnereste al vostro principe, s'egli avesse bisogno d'ammaestramenti, e presupponetevi di avervi acquistato compitamente la grazia sua, tanto che vi sia lecito dirgli liberamente ciò che vi viene in mano.

e

e

Rise il signor Ottaviano e disse: 'S' io avessi la grazia di qualche principe ch' io conosco, e gli dicessi liberamente il parer mio, dubito che presto perderei; oltra che per insegnargli bi sognerebbe ch' io prima imparassi; pur poichè a voi piace ch' io risponda ancora circa questo al signor Gasparo, dico che a me pare che i principi debbano attendere all' una e l'altra delle due vite, ma più però alla contemplativa, perchè questa in essi è divisa in due parti; delle quali l'una consiste nel conoscer bene e giudicare, l'altra nel comandare drittamente, con quei modi che si convengono, le cose ragionevoli, e quelle di che hanno autorità, comandarle a chi ragionevolmente ha da obbedire, e nei luoghi e tempi appartenenti; e di questo parlava il duca Federico quando diceva che chi sa comandare, è sempre obbedito: e il comandare è sempre il principal officio dei principi, li quali debbono però ancora spesso veder con gli occhi ed esser presenti alle esecuzioni; e secondo i tempi e i bisogni ancora, talor operar essi stessi; e tutto questo pur partecipa del. l'azione; ma il fin della vita attiva deve esser la contemplativa; come della guerra la pace, riposo delle fatiche: però è ancor officio del buon principe instituire talmente i popoli suoi, e con tai leggi ed ordini che possano viver nell'ozio e nella pace, senza pericolo e con dignità; e go

il

dere lodevolmente questo fine delle sue azioni, che deve esser la quiete; perchè sonosi trovate spesso molte repubbliche e principi i quali nella guerra sempre sono stati fiorentissimi e grandi, e subito che hanno avuta la pace, sono iti in rovina e hanno perduto la grandezza e lo splendo re,, come il ferro non esercitato; e questo non per altro è intervenuto, che per non avere buona instituzione di vivere nella pace, nè saper fruire il bene dell'ozio: e lo star sempre in guer ra, senza cercar di pervenire al fine della pace, non è lecito; benchè estimano alcuni principi, il loro intento dover esser principalmente il do minare ai lor vicini, e però nutriscono i popoli in una bellicosa ferità di rapine, d' omicidii e tai cose; e lor danno premii per provocarla, e la chiamano virtù; onde fu già costume fra gli Sciti che chi non avesse morto un suo nemico, non potesse bere ne' conviti solenni alla tazza che si portava intorno ai compagni. In altri luoghi s'usava indrizzare intorno il sepolcro tanti obelischi, quanti nemici avea morti quello che era sepolto; e tutte queste cose ed altre simili si facevano per far gli uomini bellicosi, solamente per dominare agli altri; il che era quasi im. possibile, per esser impresa infinita, insino a tanto che non s'avesse soggiogato tutto'l mon do, e poco ragionevole secondo la legge della natura, la qual non vuole che negli altri a noi piaccia quello che in noi stessi ci dispiace: però debbon i principi far i popoli bellicosi, non per cupidità di dominare, ma per poter difendere sè stessi e i medesimi popoli da chi volesse ridurli in servitù, ovver far loro in giuria in parte alcuna; ovver per discacciar i tiranni, e governar bene quei popoli che fossero maltrattati; ovvero per ridurre servitù quelli che fossero tali

« IndietroContinua »