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DEL CONTE BALDASSARE CASTIGLIONE

NUNZIO IN ISPAGNA

ALLA LETTERA DEL SEGRETARIO VALDES.

Signor Valdes. Volendo rispondere alla let

tera vostra parmi bene, che, prima ch' io cominci a dir altro, vi dia conto di tutto quello, che è passato per me circa la materia, di che voi mi scrivete. Però dico, che stando la corte in Burgos, fummi detto da alcuni miei amici e signori, che voi avevate fatto un Dialogo, nel quale erano molte cose a disonore del papa e non molto cristiane. E perchè mi parve che all'officio mio si appartenesse di sapere la cosa, e rimediarla, per quanto era in poter mio, propurai di veder il libro di esso dialogo; ma non cotei. In Valenza poi e in Monzon ne feci qualche diligenza, nè con tutto ciò mi venne fatto di vederlo, e piacquemi: perchè non potendolo io vedere, pensai che per ordine vostro egli fosse sepolto, e più non fosse in mano d'altri, e che voi l'aveste ricuperato affinchè non si pubblicasse. Ultimamente, essendo in questa villa di Madrid, da molte persone sono stato avvisato, che di tal libro si erano fatte molte copie, e che si pensava di stamparlo e man darlo in Italia e nella Magna, e in diverse altre parti; e da tutti coloro, che me ne hanno ragionato, mi è sempre stata falta pessima re

lazione, e anche quasi riprensione perch'io sia stato tepido in risentirmi di cosa scritta tanto vituperosamente contra la Chiesa e contra il papa, e quasi su gli occhi miei, massimamente tenendo io qui il carico che tengo da sua san. tità. Così essendomi pur venuto esso libro alle mani, l'ho letto tutto e ben considerato più di una volta, e sentitone quel dispiacere, che al parer mio dovrebbono sentir tutti i buoni, e massimamente quelli che fanno professione di esser veri cristiani, e servitori del papa e dell'imperatore. E questo dico perchè sappiate, che delle due querele, che nella vostra lettera fate di me, ne cessa una, cioè ch' io abbia detto male del libro per udita, e senza averlo veduto. L'altra cosa poi di che vi dolete di me, è ch'io abbia informato l'imperatore, e detto che nel vostro libro sieno molte cose contra la religione cristiana, e contra la determinazione de' concilii approvati; e che io abbia detto che sopra di questo vi ho parlato, e che voi non avete perciò voluto rimanervi di perseverare. E veramente, siccome voi dite che non potete restare di lamentarvi di me, che mostrando io di tenervi tanto per amico, tratto una cosa, che torna a tanto pregiudizio dell' onor vostro, e che mai non l'avreste potuto credere; io ancora dico, che voi dovevate credere, che se 'l rispetto mio non ha rimosso voi da quello che era mal fatto, il vostro non doveva rimover me da quello che era bene, e a che io era obbligato per l'ufficio e debito mio. E ancora che io non inten. da di tener amicizia mai con quelli, che non sono buoni, fatisfeci però al debito di essa, e forse più di quello ch' io doveva, quando per Gabriele mio secretario, come voi nella vostra lettera rammemorate, mandai ad avvertirvi e a farvi

intendere, che mi era pervenuto agli orecchi che voi scrivevate una cosa non buona, e ignominiosa contra il papa; e che io vi pregava a considerarla bene, e non far cosa non conveniente a voi. Ma che voi voleste rimovervene, ovvero perseverare, vedesi per il medesimo vostro libro. Ora venendo a quello che dite, che s' 'io voglio affermare, che in quel dialogo sia cosa alcuna contra la religione cristiana e alle determinazioni della Chiesa (perchè quello toccherebbe all'onor vostro), ch'io lo miri prima molto bene, essendo voi per mantenere tutto quello che avete scritto: torno a replicare, e dico che io l'ho mirato, e dopo l'averlo ben considerato, ho detto al'imperatore che nel vostro dialogo sono molte sentenze empie totalmente, e contrarie alle costituzioni della Chiesa; e che oltre alla ingiuria che perciò ne viene alla religione cristiana, la fate ancora particolarmente alla persona del papa; perchè con molta iniquità cercate di biasimarlo falsamente, onde ne meritate aspro castigo. Ho ancora supplicato a sua maestà, che si degni leggerlo, perchè conoscerà esser vero quel ch' io dico. Se voi adunque per questo vi dolete di me, non me ne curo molto; perchè so che tutti i buoni, che leggeranno il vostro libro, vedranno ch' io tengo molta ragione, e conosceranno in quello la molta malizia vostra e poca prudenzia congiunta con tanta confusione, che non che altri, ma forse voi stesso non sapete ciò, che vi abbiate voluto dire; se non che trasportato da una certa malignità, avete voluto gettar fuori quel veleno di maledicenza, che avevate chiuso nelanima, pensando che per la qualità de' tempi poteste anche far peggio. E perchè la materia principale del vostro libro è di dir male del pa

pa, come ognuno vede, e voi stesso confessate nella lettera quando dite di aver passato il termine in dir male di sua santità, perchè la materia vi sforzava: penso che questo solo basti per dichiarare a tutto il mondo, s'io ho avuto legittima causa d'informar l' imperatore di questa verità, e di tutto il rimanente che si contiene nel vostro libro. E perchè in questa ruina di Roma si sono fatti mali non mai più in tesi, a voi è parso buon modo tra gli altri, che avete usati per calunniar sua santità, il dir che i mali che facevano il papa e chierici in Roma erano molto maggiori di quelli che hanno fatto i soldati; e volete in ogni modo che sieno proceduti per colpa del papa e per permissione divina, e niuna cosa rispondete giammai a quello che si può dire dei mali fatti da' soldati, se non che è cosa costumata tra la gente di guerra, e giudizio di Dio, e che peggio era quello che facevano i chierici; di modo che per troppa avidità d' aggravare que sta colpa, che falsamente vorreste pur dare al papa e alla corte di Roma, vi lasciate indurre in tal inconveniente, che biasimate il culto divino e le cerimonie e i riti cristiani, e calunniate tutti quelli che ouorano le croci e le statue di Cristo e di Nostra Signora, e le reliquie de' santi: e per escusar coloro che han no ruinato Roma, la Chiesa e il papa, laudate gl'incendii, le ruine, i tormenti, i sacrilegii, le morti, e tutte le immanità ed empietà, che si possono immaginare. Ma per essere questa vostra intenzione tanto abborrente dalla ragione, e contraria a Dio e alla natura, penso che a niun buono abbiate potuto persuaderla, ancora che vi pensiate di esser molto eloquente, e da voi stesso vi prezziate di sapere distinguere e

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conoscere la diversità degli argomenti, se ben siete così giovane. E perchè avete forse letto tra gli antichi che sono stati alcuni, che per mostrar la forza dell' eloquenza, si sono posti a laudar cose non molto lodevoli; credo che voi ancora con tale esempio abbiate tolto questa impresa ad imitazione di quel Marco Antonio oratore, il quale difendendo Norbano laudò le sedizioni e i tumulti popolari (1), e così bene il fece, che persuase e ottenne quanto desiderava. Ma voi al parer mio dovevate considerare, che per indurre ad effetto la intenzione vostra era necessario che foste tanto più eloquente di Marcantonio, quanto che le cose fatte nella ruina di Roma sono più atroci che le sedizioni e tumulti popolari. Quello poi, di che particolarmente avete voluto incolpar il papa, è tanto alieno dalla verità, che quando tutte le altre cose del vostro dialogo così fossero vere, come sono false, questo solo basterebbe per farle parere ed esser tutte falsissime. Nè questo dico, perch' io volessi che così empia lingua, com' è la vostra, s' adoperasse in lodar il papa, non istimando io alcuna lode maggiore, che lo essere biasimato da chi loda quello che voi lodate. Ma perchè la relazione, che voi fate, potrebbe forse in qualche parte ingannare coloro, che fossero mal informati delle cose, voglio riferire anch'io qualche vostro particolare. Voi nel principio del vostro dialogo con certe sentenze gravi e non molto a proposito cercate di nasconder quello che avete nell' animo, dicendo che la ignoranza del mondo è tanto gran. de (2), che non vi maravigliate dei falsi giudizii,

(1) Veggasi Cicerone de Oratore lib. 2. cap. 48. (2) Il proemio del Dialogo comincia appunto in questo

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