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non è di consentimento suo; e vedremo se vi basterà la scusa che -fate, vi accorgerete che molto meglio e con più ragione potranno dire coloro che vi castigheranno, che la giustizia gli ha sforzati a levarvi questa superba arrogan za, che non potrete dir voi che la materia del lbro vi ha sforzato a calunniar con bugie chi siete obbligato onorare e ubbidire come capo della cristianità, se siete cristiano. E se pur nasceste in così mal punto, e foste formato dalla natura di così perversa condizione che non possiate restar di dir male e,bugie per obbedire all'instinto Vostro, dichiarando la malignità ch'avete nel cuore, la quale però ancora senza parlare vi si vede dipinta nella pallidezza di quel volto pestilente (1) e in quegli occhi velenosi, e risi sforzati che par sempre spirino tradimenti; dovevate pi gliare soggetto meno importante, e fare come quelli, che per passar tempo esercitandosi tirano di balestra, e mettono il bersaglio in luogo dove non passi persona; ma voi l'avete posto dove più vi è paruto di poter offendere, e indrizzate al cuore tutte le saette, le quali forse potrebbono riflettersi e tornare a voi. Io voglio che questo mi basti per risposta di quella parte della lettera vostra, dove dite che 'l soggetto del libro vi ha sforzato a dir male del papa; replicandovi per conchiusione di quanto ho detto, che non era conveniente pigliare tal soggetto. Nè vi dovete maravigliare s' io non ho potuto scrivervi senza molto sdegno e dolore; perchè mi pare troppo insopportabil cosa, che un così vil verme, come siete voi, abbia tanto veleno che presuma

(1) Anche il Bonfadio in una lettera al Carnesecchi (tra le sue opere tom. I. pag. 31) pare che accenni questa sparutezza dal Valdes dicendo, ch'egli reggeva con una particella dell'animo il suo corpo debole e magro.

di fare vane tutte le fatiche di coloro, che studiano di metter pace nella cristianità, l'effetto della quale desidero io sopra tutte le cose del mondo; e per vederlo una volta ho patito molti affanni, e per diversi mezzi trattato a questo fine tutto quello che è stato in poter mio; e perciò gli porto una particolare affezione; parendomi avervi interesse fuori dell'ordinario, e più che gli altri: e perciò non posso rimanermi di sentir ancora più che gli altri dispiacere e pas. sione, che un tanto bene si ponga in pericolo; perchè non è persona così dappoco, che non basti talora per far gran male. E chi potesse vedere la cagione delle presenti ruine d'Italia, sono certo che troverebbe che ebbero minor principio che non è questo, che voi con il vostro dialogo preparate di dare ad una nuova discordia del mondo.

Ora vengo all' altro articolo della vostra lettera, dove dite, che volendo scusar l'imperatore non potevate lasciar di accusare il papa. E veramente io mi maraviglio molto di tale presupposto, e quanto più lo considero, tanto maggior confusione mi nasce nell' animo. Perchè sebben voi non dite che cosa sia quella della quale non potete scusar lo imperatore se non accusate il papa, si conosce però chiaramente che è la ruina di Roma, della quale voi al principio del dialogo dite di voler mostrare che l'imperatore non ha avuto colpa alcuna. E perchè due modi solamente hanno di scusarsi tutti coloro, che sono accusati; l'uno il negar quello, che se gli oppoue; l'altro il confessarlo, ma dite d'averlo fatto con ragione, o per altra urgente necessità: certo è che l' imperatore appresso coloro che lo imputassero del male che si è fatto in Roma, non può essere scusato se non con uno di questi

due modi; e se voi voleste scusarlo con la negativa, cioè che non ha fatto nè consentitc la ruina di Roma, come nel principio del vosro libro dite, non è dubbio che questa scusa ma sarebbe a proposito per accusare il papa; il che ad ognuno è manifestissimo. Resta dunque ch voi lo vogliate scusare confessando ch'egli ha fatto quello di che è accusato, ma che l'ha fatto con giustizia e con ragione; perchè in questo solo modo lo accusar il papa viene a proposito e concorda con lo scusar l'imperatore secondo la intenzione vostra, la quale voi ancora dimostrate, dove dite che la differenza è tra l'imperatore e il papa, nè altra conclusione al parer mio si può cavare dal presupposto che voi fate. Sto io adunque maravigliato, e con molta ragione, donde nasca questa vostra doppiezza di parlare; e qual cagione in ciò v'induca così a contraddire a voi medesimo. Ma a chi vuole ben considerare, pare quasi che conoscendo voi che nel vostro dialogo non era alcun' altra verità, se non che l'imperatore non avea colpa delle cose fatte in Roma, siate pentito d'averla detta; e così con la lettera abbiate voluto correggerla è ritrattarla. Ma ancora che abbiate tanto amore alle bugie, che vi paia forse che adornino il vostro dialogo, dovevate pur sofferire che almeno vi fosse questa sola verità, e non volere che più forza avesse in voi l' odio, che naturalmente le portate, che l'onor dell' imperatore, sapendo (come sa ognuno) che questo principe è tanto amico del vero, che più presto vorrebbe restar senza scusa, che scusarsi con bugie; essendo specialmente questa scusazione tanto ignominiosa per S. Maestà, che si può chiamar più presto accusa che scusa. Perchè non dite voi adunque la pura verità senz'altro inganno? cioè, che

imperatore non comandò mai, nè consenti al nale, che si fece in Roma, nè contra il papa, è contra i cardinali; anzi n'ebbe estremo dispiacere. E dicendo questa verità non sarete forzato d'accusar il papa, nè mentirete così senza vergogna come fate; nè direte cose tanto Doco verisimili, e tanto contrarie l'una all' altra, che non possano star insieme. Perchè col presupposto, che fate nella lettera consentite chiaramente che l'imperatore ha fatto contra il papa, e nel dialogo dite ch' egli non comandò, ne seppe cosa alcuna di quelle cose che si fecero in Roma. Soggiungete ancora nel medesimo dialogo, che l'imperatore non castiga i malfattori, perchè non vuole render male per bene, e perchè stima la distruzione di Roma essere stata cosa più presto divina che umana. Queste cose, se non dimostrano che l'imperatore il comandò, dimostrano almeno che l'approvò e tenne per buono ; sicchè in queste ambiguità io non so determinare qual sia la intenzion vostra. E poichè avete presupposto di accusare e dir male del papa, il che non può proceder da altro che dall'odio che tenete alla religione cristiana, di questo non voglio_ragionar più, lasciando che ne diate ragione a Dio e ad altri a chi tocca. Il che stimo che sarà presto: Ma non posso già restar di dire, ch' io non so immaginarmi per qual cagione vogliate indurre con bugie gli uomini a creder una tanto gran falsità e malizia di così buon principe, com'è l' imperatore, essendo pubblico che S. Maestà non solamente non comandò, nè consentì, nè approvò mai il male, che si fece in Roma; ma ne ebbe grandissimo dispiacere: e di questo ne ha più volte fatto testimonio parlando pubblicamente con qualunque gli è venuto a proposito. Il me18⭑ Castiglione fasc. 105.

desimo ha detto agli ambasciatori del re di Francia, del re d'Inghilterra, de' Veneziani e de' Fiorentini: il medesimo ha scritto al papa di man propria più volte con lettere umanissi me e piene d'affezione figliale (1); e mandato uomini a posta a condolersi della prigionia di S. Santità, e comandar che subito fosse liberato. Adunque poichè così è, perchè volete voi far credere al mondo, che queste dimostrazioni e tutte queste parole sieno state finte? perchè volete che all'imperatore si dia la colpa dei peccati del suo esercito? perchè volete che sia tenuto per un uomo falso e ingannatore, chi una cosa dica con la lingua, e il contrario abbia nel l'animo? Guardate, signor Valdes, che niuna cosa hanno procurato maggiormente gl'inimici dell' imperatore, che di far credere quello che voi cercate di dimostrare; e molto più fede si darà in questo alle parole vostre, che a quelle di coloro, che per ogni via o falsa o vera cercano di biasimarlo. Che cosa diremo adunque che vi ha mosso a questo? Certo dopo l'aver pensato lungamente, io non ritrovo, nè so immaginarmi altro, se non quello che poco di sopra ho accennato; ed che, siccome il soggetto principale del vostro libro è il dir male del papa, così la cagione, per la quale avete preso questo soggetto, non è odio che propriamente portiate alla persona di S. Santità, ma universalmente alla religione cristiana per la qual cosa vi è nato un desiderio estremo d'impedir la pace, e rappic care nuova inimicizia tra il papa e l'imperatore per veder nuove distruzioni e ruine del cielo e

(1) Una di queste, tradotta dallo'spagnuolo, si vede stampata a cart. 80 (ed. Comin.) del volume secondo delle lettere di principi; e in una nota vi si dice: Questa leuera era tul ta di mano dell'imperator Carlo V in lingna spagnuola.

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