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anario dove era la signora duchessa Elisabetta > Gonzaga a quell' ora si riduceva; dove ancor sempre si ritrovava la signora Emilia Pia (2), la qual per esser dotata di così vivo ingegno e giudizio, come sapete, pareva la maestra di tutti, e che ognuno da lei pigliasse sennò e valore.

Quivi adunque i soavi ragionamenti e le oneste facezie s'udivano; e nel viso di ciascuno dipinta si vedeva una gioconda ilarità, talmente che quella casa certo dirsi poteva il proprio albergo della allegria: nè mai credo che in altro luogo si gustasse quanta sia la dolcezza che da una amata se cara compagnia deriva, come quivi si fece un tempo; che lasciando, quanto onore fosse a ciascan di noi servir a tal signore, come quello che già di sopra ho detto, a tutti nascea nell' animo - una somma contentezza ogni volta che al cospetto della signora Duchessa ci riducevamo, e parea * che questa fosse una catena che tutti in amor tenesse uniti, talmente che mai non fu concordia di volontà o amore cordiale tra fratelli maggior di quello che quivi tra tutti era. Il medesimo era tra le donne; con le quali si aveva liberissimo ed onestissimo commercio, che a ciascuno era lecito parlare, sedere, scherzare e ridere con chi gli parea; ma tanta era la riverenza che si portava al voler della signora Duchessa, che la medesima libertà era grandissimo freno; nè era alcuno ché non estimasse per lo maggior piacere che al mondo aver potesse, il compiacer a lei, e la maggior

() La signora Emilia Pia, sorella di Ercole Pio signor di Carpi, castello nel Modanese, e vedova del conte Antonio da stefeltro fratello del duca Guidubaldo, alle altre doti ua castità singolare, onde sapeva istillar negli animi delle altre dame sentimenti d'onestà e di pudicizia, e però fu costa degnissima e compagna indivisibile della duchessa Eli

rare,

pena, i dispiacere. Per la qual cosa, quivi one. stissimi costumi erano con grandissima libertà congiunti, ed erano i giuochi e i risi al suo cospetto conditi, oltre agli argutissimi sali, d'una graziosa e grave maestà che quella modestia e grandezza che tutti gli atti e le parole ed i gesti componeva della signora Duchessa, motteggiando e ridendo facea che, ancor da chi mai più veduta non l'avesse, fosse per grandissima signora conosciuta. E così nei circostanti imprimendosi, parea che tutti alla qualità e forma di lei temperasse; onde ciascuno questo stile imitare si sforzava, pigliando quasi una norma di bei costumi dalla presenza d'una tanta e cosi virtuosa signora; le ottime condizioni della quale io per ora non intendo narnon essendo inio proposito, e per esser assai note al mondo e molto più ch' io non potrei nè con lingua nè con penna esprimere ; e quelle che forse sariano state alquanto nascoste, la fortuna, come ammiratrice di cost rare virtù, ha voluto con molte avversità e stimoli di disgrazie scoprire, per far testimonio che nel tenero petto d'una donna, in compagnia di singolar bellezza possono stare la prudenza e la fortezza di animo e tutte quelle virtù che ancor ne' severi uomini sono rarissime. Ma lasciando questo, dico che consuetudine di tutti i gentiluomini della casa era ridursi subito dopo cena alla signora Duchessa; dove, tra l'altre piacevoli feste e musiche e danze che continuamente si usavano, talor si proponeano belle questioni, talor si faceano alcuni giuochi ingegnosi ad arbitrio or d'uno or d'un altro, nei quali, sotto varii velami spesso scoprivano i circonstanti allegoricamente i pensier suoi a chi più loro piaceva. Qualche volta nasceano altre disputazioni di diverse materie, ovvero si mordea con prouti detti; spesso si faceano

imprese, come oggidì chiamiamo, dove di tali ragionamenti maraviglioso piacere si pigliava, per esser, come ho detto, piena la casa di nobilissimi ingegni; tra i quali, come sapete, erano celeberrimi il signor Ottavian Fregoso, M. Federico suo fratello, il Magnifico Giulian de' Medici, M. Pietro Bembo, M. Cesar Gonzaga, il conte Lodovico da Canossa, il signor Gaspar Pallavicino, il signor Lodovico Pio, il signor Morello da Ortona, Piefro da Napoli, M. Roberto da Bari ed infiniti altri nobilissimi cavalieri; oltrechè molti ve n'erano, i quali avvengachè per ordinario non istessero quivi fermamente, pur la maggior parte del tempo vi dispensavano; come M. Bernardo Bibiena, l'Unico Aretino, Giovan Cristoforo Romano, Pietro Monte, Terpandro, M. Nicolò Frisio (1); di modo che, sempre poeti, musici e d'ogni sorte uomini piacevoli, ed i più eccellenti in ogni facoltà che in Italia si trovassero, vi concorrevano. Avendo adunque papa Giulio ut con la presenza sua e con

(1) M. Bernardo Bibiena, cioè Bernardo Doviz'i o Dovizio da Bibiena, terra in Toscana, autore della Calandra, che forse fa la prima commedia italiana scritta in prosa. Era egli uomo di meravigliosa destrezza nel maneggio degli affari, ed il Ban dini ne scrisse la vita col titolo: Il Bibiena ossia il Ministro di Stato.

L'Unico Aretino, cioè Bernardo Accolti detto Aretino perchè nato in Arezzo, e soprannomato l'Unico per la sua eccellenza nel poetare improvvisamente. Convien distinguerlo dal famoso Pietro Aretino detto il Flagello dei Principi.

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Giovan Cristoforo Romano, scultore, lodato nel capo XVII questo libro.

Intorno a Pietro Monte, vedi il capo IX, ed il libro III, tapo II.

M. Niccolo Frisio,uomo Germano ed avvezzo a'costumi dell'Italia, famigliare dell' imperator Massimiliano, a nome del quale si trovò al chinder della lega di Cambrai contro i Vene. siani, nel 1510 noiato del mondo si fece monaco,

La maggior parte di questi personaggi sono lodati o nella dedica dell'Autore, o nel proemio del IV libro.,

l'aiuto de' Francesi ridotto Bologna alla obbedienza della Sede apostolica, nell'anno 1506, e ritornando verso Roma, passò per Urbino; dove, quanto era possibile, onoratamente e con quel più magnifico e splendido apparato che si avesse potuto fare in qualsivoglia altra nobil città d'Italia, fu ricevuto; di modo che, oltre al papa, tutti signori cardinali ed altri cortigiani restarono sommamente satisfatti; e furono alcuni i quali, traîţi dalla dolcezza di questa compagnia, partendo il papa e la corte, restarono per molti giorni ad Urbino; nel qual tempo non solamente si continuava nell'usato stile delle feste e piaceri or dinarii, ma ognuno si sforzava d' accrescere qualche çosa e massimamente nei giuochi ai quali quasi ogni sera s'attendeva; e l'ordine d'essi era tale, che subito giunti alla presenza della signora Duchessa, ognuno si ponea a sedere a piacer suo, o, come la sorte portava, in cerchio; ed erano sedendo divisi un uomo ed una donna, fin che donne v'erano; che quasi sempre il numero degli uomini era molto maggiore; poi come alla signora

Duchessa pareva, si governavano, la quale per

lo più delle volte ne lasciava il carico alla signora Emilia.

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CAPO IV.

Si propongono parecchi giuochi, Così il giorno appresso la partita del papa,

essendo all' ora usata ridotta la compagnia al solito luogo, dopo molti piacevoli ragionamenti, la signora Duchessa volle pur che la signora Emilia cominciasse i giuochi, ed essa, dopo l'aver al quanto rifiutato tal impresa, così disse: Signora mia, poichè pur a voi piace ch'io sia quella che dia principio ai giuochi di questa sera, non po-,

tendo ragionevolmente mancar d' obbedirvi, deli bero proporre un giuoco, del qual penso dover aver poco biasimo e men fatica, é. questo sarà à che ognun proponga secondo il parer suo un giuoco non più fatto; da poi si eleggerà quello che parerà esser più degno di celebrarsi in questa compagnia: e così dicendo si rivolse al signor Gaspar Pallavicino, imponendogli che 'l suo dicesse; il qual subito rispose: A voi tocca, signora, dir prima il vostro. Disse la signora Emilia : Eccovi ch' io l'ho detto; ma voi, signora Duchessa, comandategli ch'e'sia obbediente. Allor la signora Duchessa ridendo, Acciò, disse, che ognuno abbia ad obbedire, vi faccio mia luogotenente, e vi do tutta la mia autorità. Gran cosa è pur, rispose il signor Gaspar, che sempre alle donne sia lecito aver questa esenzione di fatiche; e certo ragion saria volerne in ogni modo intender la cagione; ma per non esser io quello che dia principio a disobbedire, lascierò questo ad un altro tempo, e dirò quello che mi tocca; e cominciò:

A me pare che gli animi nostri, siccome nel resto, cosi ancor nell'amare siano di giudizio diverst, e perciò spesso interviene che quello che all' uno è gratissimo, all'altro sia odiosissimo; ma con tutto questo sempre però si concordano in aver ciascuno carissima la cosa amata; talmente che spesso la troppa affezion degli amanti di modo inganna il lor giudizio che estiman quella persona che amano esser sola al mondo ornata di ogni eccellente virtù e senza difetto alcuno; ma perchè la natura umana non ammette queste cosi compite perfezioni, nè si trova persona a cui qualche cosa non manchi, non si può dire che questi tali non s'ingannino e che lo amante non divenga cieco circa la cosa amata. Vorrei adun

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