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la paura che tutti avevamo già adempiuta, on accade farne menzione. Credo che monsignor Paolo d'Arezzo sia o sia stato con vostra signoria, e da quello sarà informata delle cose occorse in Roma. Noi l'aspettiamo qui: nè altro mi oc

corre ec.

Di Granata alli IX di novembre MDXXVI.

V.

All' arcivescovo di Capua.

Alla breve lettera di vostra signoria, dove mi avvisa la partita di monsignor Andrea (1) per Mantova, e della immeritamente a lei attribuita colpa de'presenti inconvenienti (2), rispondo io ancora brevemente, e non con minor dispiacere di quello con che ella mi scrive. Nè so qual di noi due meriti maggior compassione: io la ho di vostra signoria, e prego lei ad averla di me, che non so se altro sia in palazzo che me l'abbia. Pur fin ch'io avrò punto di vita farò il mio debito, se sarò da tanto che il conosca, e con questo andrò per il mio cammino della sincera verilà.

Qui aspettiamo con molto desiderio M. Paolo d'Arezzo, secondochè vostra signoria mi scrive; e maravigliamci estremamente che ormai non compara: piaccia Dio, che di Francia non l'abbiano fatto tornar addietro con qualche sillogismo. Il signor Cesare viene con intenzione di far tutti i beni che potrà, e parlerà molto libe

(1) Andrea Piperario Mantovano, scrittore apostolico, e agente del Castiglione in Roma.

(2) Forse attribuivano questa colpa a monsignor Scombergo per avere consigliato il papa a fidarsi degl' imperiali.

ramente con vostra signoria; ella faccia il medesimo con lui, e piaccia a Dio che giovi.

Ho scritto molte volte che questa donna Ca stigliana (1) mi pare una matta pericolosa, e penso che il reverendissimo legato avrà fatto testimonio del medesimo. S'io pensassi non er rare me la leverei da dosso; ma il favore che lei mostra avere dal papa, mi fa star sospeso. Vostra signoria di grazia mi avvisi in che conto sua santità la tiene e ciò che ho da fare con lei.

Questo poscritto inchiuso non lo mando a vostra signoria per altro se non perch'ella sappia il || tutto; nè le dico che lo mostri al papa nè ancora glielo vieto: ma potrebbe venir a tal proposito, chie sarebbe bene, che sua santità lo sapesse; e a vostra signoria sempre mi raccomando.

Di Granata alli VII di novembre MDXXVI.

Poscritto.

Io sono stato in dubbio di scrivere a vostra signoria quello che pure poi mi sono risoluto di scrivere; ed è ch'io non conosco Roberto Acciaiolo per vista, ma da molti Toscani emmi stato detto che egli è il più savio uomo che sia stato in Firenze gran tempo, e che s'io gli parlassi ne resterei più satisfatto che di uomo con chi parlassi mai (2). Per questo non posso se non

(1) Donna Castigliana di Belviso, che andava spesso di Spagna a Roma e da Roma in Ispagna con importantissime commissioni, com'ella diceva, per servizio del рара. Benchè il nostro conte non se ne fidasse gran fatto, le fece però una lettera di raccomandazione al capitano Andrea Doria, che è la ventunesima del sesto libro.

(2) II Varchi gli attribuisce queste lodi medesime nella sua Storia, chiamandolo, alla pag. 87, uomo grave molto, e severo, e di lanta prudenza quanto alcun altro cittadino

credere molto bene di lui: pur alli di passati ebbi certe lettere sue che non mi parvero molto prudenti, anzi aver un poco del ridicolo: niente di meno diedi la colpa al mio giudizio, e pensai ch'io errava, e non esso. Ultimamente me ne ha scritto alcun'altre, le quali m'hanno pur ancora fatto ridere, ma con un poco di dispetto, perchè dice che'l papa mi ha scritto un breve, dove mi commette che nelle occorrenze presenti mi governi secondo ch'esso mi avviserà di Francia, e così mi scrive quello ch'io debbo fare; e quando l'imperatore mi dice una cosa, ciò ch'io debbo rispondere; e dice ch'esso e il re di Francia hanno pensato che sia bene far così, e che se l'imperator vuol entrare nella lega, non è bisogno altrimenti che noi altri qui abbiam mandato di promettergli cosa alcuna; ma che gli diciamo che sua maestà adempia le condizioni della lega; e che se pur volesse saperne i particolari, mandi un uomo suo in Francia, che se gli diranno. In ultimo dice che se pur l'imperatore si volesse accordare col papa, ch'io non me ne tiri indietro, ma che conforti sua maestà a mandare un uomo in Francia a trattare alla corte per non aver a consumar tanto tempo di mandar a Roma ed aspettarne le risposte; e ch'io gli scriva con diligenza e la verità delle cose acciocchè possa risolversi con Francia e Inghilterra; e certe altre belle cose 'le quali io non vorrei per un mondo

di Firenze; e alla pag. 201, una delle più savie teste d'Italia. Il Castiglione però n'avea formato un giudizio assai diverso; parendogli che con troppa saccenteria volesse fram. mettersi nelle cose che non gli spettavano; e che mostrasse troppo ridicola opinione del suo gran senno, nel pretendere di obbligarea governarsi secondo il suo consiglio coloro massimamente, che per dottrina, per esperienza e per ogn'altra qualità che a gran ministro si appartiene, gli andavano gran. dissimo tratto innanzi.

che fossero capitate in man di costoro, perchè sono in tutto contrarie, secondo me, al bisogno nostro. Parmi che questo buon uomo mi tenga per una bestia, e che pensi ch'io sia suo nuuzio e non del papa; il che, quando io non credessi che fosse in tutto alieno dalla mente di nostro signore, non potrei sopportare. E però ho voluto che vo stra signoria lo sappia, e benchè, come ho detto, m'abbia fatto ridere, non ho però potuto contenermi di non gli rispondere di modo ch'ei co nosca ch'io mi credo così saper far l'officio mio, com'esso il suo, e che se mi vorrà comandare, io non l'obbedirò. E quello che mi par peggio, dubito che non faccia qualche errore che sia nocivo alla negoziazione con questa sua sapienza tanto grande: la quale insin qui io non ho saputo conoscere se non in non aversi voluto partire di Firenze fin che 'l papa non gli dava una buona pensione. Supplico vostra signoria mi risponda due parole sopra questo.

VI.

Al nunzio di Francia.

Molto magnifico signore.

Per la carestia di messi ho io ancora differito insin qui di mandare a vostra signorią la qui alligata lettera de' 9 di novembre, come ella vedrà; e per questo medesimo messo che ora ritorna verso Inghilterra, dal quale ho ricevuto le sue de' 28 di settembre e 5 e 8 di ottobre, io le rispondo e dico, che, dopo aver considerato il contenuto di esse, trovomi molta confusione nell'animo, perchè dall'una parte penso che sia conveniente credere e ancora rimettersi al giudicio

di una persona tanto prudente e veridica, e amorevole a nostro signore quanto è vostra signoria, il che sua santità ha fatto gran testimonio di credere dandole un tal carico con libertà di fare a modo suo (1) in negozio così grande e importante, dove va l'interesse e salute, non solo di sua santità, ma della chiesa di Dio e di tutti i cristiani, è ancora verisimile per questo, che vostra signoria usi ogni estrema diligenza, nè fugga alcun travaglio o fatica per dimostrar ad ognuno che sua santità non ha errato nella elezione della persona. Dall'altra parte, tenendomi io ancora obbligato per li medesimi rispetti a sforzarmi con ogni industria di corrispondere alla confidenza che il papa ha mostrato di me in questo medesimo caso, e non potendo credere quello che la ragione non mi persuade, il che forse procede dal mio debile giudicio, che non penetra quanto farebbe bisogno, parmi esser debitore nelle commissioni ch'io tengo da sua santità non passare i termini convenienti, e ancora nell'osservarli usare il mio giudicio, al poco sapere del quale forse supplisce l'infinito desiderio, ch'io tengo di servir nostro signore, e di veder nascere qualche principio di rimedio alla universal ruina della cristianità non solo imminente, ma tanto propinqua, che quasi potiamo dire di vederla in captività miserabile, e degna d'essere deplorata più che quella di Gerusalem me. E perchè (come oguun consente) non si può estinguere questo incendio se non con la pace tra' principi cristiani, parmi che tutti quelli che non aiutano secondo le lor forze questa santa in.. tenzione, non meritino d'essere chiamati cristiani; e perchè i ministri de'principi in questo mol

(1) Qui il conte si burla con molta grazia del nunzio Acciaiuolo; e gl'insegna quel che dovea fare un savio ministro nelle circostanze d'allora.

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