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che si prestasse lor tanta fede, non è maraviglia ch'io la prestassi alle parole della bocca propria dell'imperatore, dettemi più volte e con mag. gior efficacia che nou si può scrivere: e se io ini sono sforzato persuadere a vostra santità quello che io credeva e ancor credo,. l'ho fatto a buon fine: e se da questo è successo male, mi pesa in estremo; e vorrei non essere stato creduto nel resto, come sono stato in questo. Nella lettera ancora si dice, che, essendo stata data commissione a messer Paolo d'Arezzo, che portasse provvisione, ed essendo Borbone in un luogo e il vicerè in un altro, uno non disfacesse quello che faceva l'altro: che io doveva molto ben guardare, come mi confidava di promettere in questa parte tanta sicurtà quan ta mandai a dire; e che quando il tempo non bastava ad esser le lettere a mezzo cammino, io non dovea scrivere che desiderava di sapere la renitenza che faceva Borbone di non obbedire. Io non dissi mai a messer Paolo che parlasse più gagliardamente sopra questo particolare che sopra gli altri: vero è che mi parve che la lettera ch'ei portava dell' imperatore a Borbone, fosse provvisione bastante; nè io avrei per me saputo immaginar qual altra se ne avesse da domandare. Scrissi ancora che avrei desiderato che mi fosse scritto della renitenza di Borbone: e questo, perchè per le lettere che si videro dipoi qui, del signor Cesare e d'altri, ancorchè venissero tardi, si mostrava, subito che fu conchiusa la tregua e ancora prima che si conchiudesse, una gran sospizione che, Borbone non andasse con animo sincero : e quando io ebbi avviso della tregua, erano già passati quattro mesi ch'ella era conchiusa, e pochi erano in questa corte che non avessero lettere, eccetto che io. Perciò

non crederei che questo mio desiderio di aver saputo in tempo la volontà di Borbone, meritasse biasimo; perchè in simili bisogni gli uomini talora per troppa passione desiderano non solamente le cose difficili, ma ancora le impossibili. Non è maraviglia che io desiderassi lettere, essendone stato tanto tempo senza che poichè il signor Cesare Feramosca si partì di Spagna, non ebbi mai lettere infino alla venuta di messer Paolo d'Arezzo, che fu di decembre; intervallo di parecchi di e dalla (1) pratica di messer Paolo di Spagna io non ne ebbi insino al principio di giugno; e allora intesi tutto insieme la conclusione e la non osservazione della tregua, e il sospetto che Borbone andasse con l'esercito a Roma, come avea fatto; e questa carestia d'avvisi causava ch' io non poteva parlare nè ingerirmi per saper le cose. Il che, ancorchè passasse con poco onor mio, non era molto servizio di vostra santità; e se quella si degnerà far veder le lettere mie, troverà ch' io ho scritto convenientemente, e che gli accidenti degni di sapersi non son passati ch'io non ne abbia dato notizia: nè credo, che mai mi sia intravenuto tardar di scrivere un mese da una lettera all'altra, come di molto più mi s'imputa: anzi, e per Francia e per via de'mercanti, ho scritto sempre quello che mi pareva importare, e credo ancor che siano pochi gran principi o prelati in Ispagna, o forse di quelli che tutto questo tempo sono stati alla corte ch'io non gli abbia sollicitati e stimolati a parlar all' imperatore, e dolersi dei casi di vostra santità acerbamente: di ricordarli la riverenza de're passati e di questa nazione alla Sede apostolica; per la qual cosa Dio ha

(1)Forse vuol dire partita. Castiglione fasc. 105.

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e

dato loro tante vittorie. Il che essi principi e prelati hanno fatto con ogni instanza, come veri cristiani, devotissimi di vostra santità: e non ho lasciato ancor di procurare che i prelati di questi regni cessassero nelle lor chiese dagli offizii divini, e tutti uniti, o i più, andassero all'imperatore vestiti di lutto, e gli domandassero loro il lor capo e vicario di Cristo, di tal modo, che bastassero a commover sua maestà, e che tutti li capi di Spagna mandassero uomini a tal effetto. E avendosi praticato, e convenendo molti in questa opinione, ed essendo più d'una volta adunati, la cosa si seppe, e parve avesse forma di nuova comunità e fuvvi posta la mano interrotta con qualche riprensione. Questi sono, padre beatissimo, i rimedii che io ho potuto fare, o alimentar con maggior sollecitudine ch'io non so, nè mi eleggo scrivere; perchè la causa che mi ha mosso a travagliar omai quattr'anni in negozi tanto aspri, che mai non ho avuto un'ora di riposo, ma continua discontentezza, non è stata il voler gloriarmene con lettere appresso la santità vostra, ma servirla con tutto il cuore; e non fuggir fatica, nè alcuna sorte di affanni per far opera tanto buona; aspettandone più la rimunerazione da Dio e dalla conscienza mia che i premi del mondo. Quanto a quello che in nome di vostra santità mi si scrive, che ella avrebbe desiderato veder nelle mie lettere pensieri e proposte e instanze simili a quelle che mi si scrive; cioè che io dovea dire, che per molte cause l'imperator ha in mauo di non solamente star sicuro, ma di obbligar vostra santità perpetuamente, con trattarla di modo che, mancandogli, sarebbe maggior vituperio a lei che danno a sua maestà: le rispondo, che in presenza d'alcuni del consiglio io ho detto, che

il dover e la ragione vorrebbe, che non solamente si rimettesse in mano di vostra beatitudine una parte delle differenze, ma ancor totalmente in arbitrio suo i figliuoli del cristianissimo (1), e glieli lasciasse usar per istrumento della pace, come a lei paresse; il che sarebbe una catena indissolubile di obbligazione, che quella non avesse mai da scordarsi tanto onor fatto a lei, e servizio fatto a Dio. Queste cose, beatissimo padre, io mi sono sforzato d'imprimer nell'animo dell'imperatore: e ancorchè sino qui non sia successo, come io desiderava, forse che presto se ne vedrà qualche frutto migliore che non sarebbe stato lo scriverle a vostra santità; che certo in questo caso mi pareva molto più necessario operar, s'io poteva, che scriver minutamente quel ch'io faceva o che disegnava. E perchè nella detta lettera mi si dice, che non solo in un tanto interesse, ma nelle azioni più leggiere e di poco momento, quando si è così lontano, si scrive ogni giorno e in ogni evento quello che si ba da fare; e perciò molto più si doveva in questo; che se non fosse stato necessario, si sarebbe almeno mostrato quella buona volontà e se fosse stato necessario, i rimedii eran più pronti: parmi, che lo scriversi ogni giorno e in ogni evento quello che si ha da fare, era molto più conveniente ch'io lo aspettassi da Roma, che in Roma fosse aspettato da me: ma con tutto ciò non si è già restato di mandar messi per diverse vie in nome di Cesare, coi rimedii, secondo che in quella lettera mi si dice, ch'io doveva fare: non si è restato, dico, perchè io non abbia fatto ogni prova, e perchè il

(1) II delfino el duca d'Orleans dati per ostaggi dai re Francesco, quando fu liberato di prigione.

negozio non mi paresse della maggior importanza ch'alcun altro che possa occorrer nel mondo mai, ma per la difficoltà di cavar questi rimedii, i quali, se si fossero potuti avere, come sono stati da me domandati, sarebber venuti con ogni possibil diligenza: ma non si può pigliar più di quello che altri vuol dare. Ora avendo poi anco intesa la morte del vicerè prima che ne avessi lettere, fui a sua maestà, supplicandola che mandasse in diligenza un uomo in Italia a rinnovar la commissione di sua maestà, o farla di nuovo più ampla che la prima; e io mi offeriva trovar i danari per la spesa del viaggio; e ancor non s'è potuto tirar a capo per la difficoltà del salvo condotto di passar per Francia; e pur si sollecita con importunità la maggior che si può, che si mandi per mare e per terra, per cinque o sei vie; ancorch'io spero, che nostro signore Dio ci farà grazia d'udir tosto nuova di qualche buon frutto della giunta del generale. E perchè ancor in nome di vostra santità mi si scrive, ch' io nella mia lettera dico, che, trovandosi una certa forma, si avrebbe dall'imperatore ciò che vostra santità sapesse desiderare; e che ella avrebbe pur voluto saper un poco più particolarmente, che forma avesse da esser questa; io per certo non mi ricordo di tal parola, nè la ritrovo nella copia delle mie lettere; e se pur vi è, stimo che significhi la sicurezza, che la santità vostra non fosse nimica dell'imperatore; della qual sospizione, ancorchè sia facilissima a cancellarsi, l'ho jo però fatto chiaro, come nell'altre mie lettere ho scritto. Piacesse a Dio che'l vescovo di Verona (1) fosse venuto in Ispagna, o ancor venis

(1) Munsignor Giammatteo Giberto datario, e ministro fa voritissimo del papa,

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