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tatté l'altre proprietà e buone condizioni siano di poco valore. E veramente credo io, che ognun facilmente in ciò si lascerebbe persuadere, perchè per la forza del vocabolo si può dir che chi ba grazia, quegli è grato; ma perchè voi diceste questo spesse volte esser don della natura e dei cieli, ed ancor quando non è così perfetto, potersi con istudio e fatica far molto maggiore; quegli. che nascono così avventurosi, e tanto ricchi di tal tesoro, come alcuni che ne veggiamo, a me par che in ciò abbiano poco bisogno d' altro maestro; perchè quel benigno favor del cielo, quasi al suo dispetto li guida più alto che essi non desiderano; e li fa uon solamente grati, ma ammirabili ) a tutto il mondo. Però di questo non ragiono non essendo in poter nostro per noi medesimi l'acquistarlo. Ma quegli che da natura hanno tanto solamente, che son atti a poter essere aggraziati, aggiugnendovi fatica,*industria e studio, desidero io di saper, con qual arte, con qual disciplina e con qual modo possono acquistar que sta grazia, così negli esercizii del corpo, nei quali voi estimate che sia tanto necessaria, come ancor 4 in ogni altra cosa che si faccia o dica, Però, se- . condo che col lodarci molto questa qualità, a tutti avete, credo, generato una ardente sete dr conseguirla, per lo carico dalla signora Emilia impostovi, siete ancor con lo insegnarci obbligato ad estinguerla. Obbligato non son io, disse il Con te, ad insegnarvi a diventar aggraziati nè altro, ma solamente a dimostrarvi qual abbia ad essere un perfetto cortigiano. Nè io già piglierei impresa di insegnarvi questa perfezione, massimamente avendo, poco fa, detto che ' cortigiano abbia d'a aper lottare e volteggiare e tant' altre cose, le quali come io sapessi insegnarvi, non le avendo mai imparale, so che tutti lo conoscete: basta Castiglione fusc. 104.

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che siccome un buon soldato sa dire al fabbro, di che foggia e garbo e boutà hanno ad esser l'ar me, nè però gli sa insegnar a farle, nè come le martelli o tempri, cosí io forse vi saprò dir qual abbia ad esser un perfetto cortigiano, ma non insegnarvi come abbiate a fare divenirne. Pur, per per soddisfare ancor, quanto è in poter mio, alla domanda vostra (benchè e' sia quasi in proverbio, che la grazia non s'impari), dico, che chi ha da esser aggraziato negli esercizii corporali, presupponendo prima che da natura non sia inabile, dee cominciar per tempo ed imparar.i principii da ottimi maestri; la qual cosa quanto paresse a Filippo, re di Macedonia, importante, si può comprendere, avendo voluto che Aristotile, tanto famoso filosofo, e forse il maggior che sia stato al mondo mai, fosse quegli che insegnasse i primi elementi delle lettere ad Alessandro suo figliuolo. E degli uomini che noi oggidì conosciamo, considerate, come bene e aggraziatamente fa il signor Galeazzo Sanseverino, grande scudiero di Francia, tutti gli esercizii del corpo; e questo perchè, oltre alla natural disposizione ch'egli tiene della persona, ha posto ogni studio d'imparare da buoni maestri, ed aver sempre presso di sè uomini eccellenti, e da ognuno pigliar il meglio di ciò che sapevano chè, siccome del lottare, volteggiare e maneggia molte sorti d'armi ha tenuto per guida il nostr M. Pietro Monte il quale, come sapete, è il ver e solo maestro d'ogni artificiosa forza e leggerez za, così del cavalcare, giostrare e qualsivoglia al tra cosa, ha sempre avuto innanzi agli occhi i pi perfetti che in quelle professioni siano stati co

nosciuti.

Chi adunque vorrà esser buon discepolo, oltr al far le cose bene, sempre ha da metter ogu diligenza per assimigliarsi al maestro e, se possi

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bil fosse, trasformarsi in lui. E quando già si sente aver fatto profitto, giova molto veder diversi uomini di tal professione; e governandosi con quel buon giudizio che sempre gli ha da esser guida, andare scegliendo, or da uno, or da un altro, varie cose. E come la pecchia nei verdi prati sempre tra l'erbe va carpendo i fiori, così il nostro cortigiano avrà da rubare questa razia da que'che a luj parerà che la tengano, e da ciascun quella parte che più sarà lodevole; e non lar come un amico nostro, che voi tutti conoscete, che si pensava esser molto simile al re Ferrando minore d'Aragona (1), nè in altro avea posto cura d'imitarlo che nello spesso alzar il capo, torcendo una parte della bocca, il qual costume il re avea contratto così da infermità. E di questi molti si ritrovano che pensan far assai, purchè sian simili ad un grand' uomo in qualche cosa, e spesso si appigliano a quella che in colui è sola viziosa. Ma avendo io già più volte pensato meco, onde nasca questa grazia, lasciando quelli che dalle stelle l'hanno, trovo una regola universalissima la qual mi par valer, circa questo, in tutte le cose umane che si facciano o dicano, più che alcan' altra; e ciò è fuggir quanto più si può, e come un asprissimo e pericoloso scoglio, la affetazione; e, per dir forse una nuova parola, usar ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda arte, e dimostri, ciò che si fa e dice, venir fatto Senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo Credo io che derivi assai. la grazia; perchè delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficoltà, onde

Ferrando minore d' Aragona; più volte nominato in opera, era Ferdinando o Ferrante 11, re di Napoli. Bisodistinguerlo da Ferrando V, soprannominato il Cattolico, Aragona, marito d'Isabela regina di Castiglia, del quale arla nel cap. XI del terzo libro.

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in esse la facilità genera grandissima maravigl e, per lo contrario, lo sforzare, e, come si di tirar per i capegli, dà somma disgrazia, e fa es mar poco ogni cosa, per grande ch'ella sis Però si può dir, quella esser vera arte che n appare esser arte; nè più in altro si ha da p re studio, che nel nasconderla; perchè se è s perta, leva in tutto il credito, e fa l'uomo p estimato. E ricordomi io già aver letto essere s ti alcuni antichi oratori eccellentissimi, i qua tra l'altre loro industrie, sforzavansi di far o dere ad ognuno, se non aver notizia alcuna lettere; e dissimulando il sapere, mostravan loro orazioni esser fatte semplicissimamente piuttosto secondo che loro porgea la natura verità, che lo studio e l'arte; la qual, se fo stata conosciuta, avrebbe dato dubbio negli a mi del popolo di non dover esser da quella gannati. Vedete adunque come il mostrar l'a ed un così intento studio, levi la grazia d'o cosa. Qual di voi è che non rida, quando il stro M. Pierpaolo danza alla foggia sua, con saltetti e quelle gambe stirate in punta di pi senza mover la testa, come se tutto fosse un gno, con tanta attenzione che di certo pare vada numerando i passi? Qual occhio è cieco che non vegga in questo la disgrazia d affettazione e la grazia in molti uomini e dor che sono qui presenti, di quella sprezzata di voltura che nei movimenti del corpo molti la chiamano) con un parlar o ridere o adatt mostrando non estimar e pensar più ad ogni tra cosa, che a quello, per far credere a chi quasi di non saper errare. Quivi non aspetta messer Bernardo Bibiena disse:

Eccovi che M. Roberto nostro ha pur tro chi loderà la foggia del suo danzare, poichè

=ti voi altri pare che non ne facciate caso; chè se - questa eccellenza consiste nella sprezzatura, e mo. strar di non estimare e pensar più ad ogni altra - cosa che a quello che si fa, M. Roberto nel danzare non ha pari al mondo; che per mostrar ben di non pensarvi, si lascia cader la roba spesso alle spalle e le pantoffole de' piedi, e senza rac→orre ne l'uno nè l'altro, tuttavia danza. Rispose · ilor il Conte: Poichè voi volete pur ch'io dica, drò ancor de' vizii nostri. Non v' accorgete, che E questo che voi in M. Roberto chiamate sprezzatara è vera affettazione? perchè chiaramente si. conosce che esso si sforza con ogni studio mostrar di non pensarvi, e questo è il pensarvi troppo; perchè passa certi termini di mediocrità, quella prezzatura è affettata e sta male, ed è una cosa the appunto riesce al contrario del suo presup posito, cioè di nasconder l'arte. Però non estimo Leo, che minor vizio della affettazion sia nella sprez-, atura, la quale in sè è lodevole, lasciarsi cadere i panni da dosso, che nella attillatura, che pur medesimamente da sè è lodevole, il portar il capo osi fermo per paura di non guastarsi la zazzera, tener nel fondo della berretta lo specchio e'l gettine nella manica, ed aver sempre dietro il paggio per le strade con la spugna e la scopetta; perche questa così fatta attillatura e sprezzatura endono troppo allo estremo; il che sempre è fizioso, e contrario a quella pura ed amabile semsplicita, che tanto è grata agli aními umani. Vedete come un cavalier sia di mala grazia, quando alsi sforza andare così stirato in su la sella, e d(come noi sogliam dire) alla veneziana, a compaLozion d'un altro che paia che non vi pensi e stia a cavallo così disciolto e sicuro come se fosse a piedi. Quanto piace più e quanto più è lodato un gentiluoi che porti arme, modesto, che parli po

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