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co e poco si vanti, che un altro, il qual sempre stia, in sul lodar sè stesso, e, bestemmiando co braveria, mostri minacciar al mondo! e niente al tro è questo che affettazione di voler parer ga gliardo. Il medesimo accade in ogni esercizio, an. zi in ogni cosa che al mondo fare o dir si possa.

Allora il signor Magnifico, Questo ancor, disse si verifica nella musica nella quale è vizio gran dissimo far due consonanze perfette l'una dopo l'altra; talchè il medesimo sentimento dell'udite nostro l'abborrisce, e spesso ama una seconda d settima, che in sè è dissonanza aspra ed intolle. rabile; e ciò procede, che quel continuare nelle perfette genera sazietà e dimostra una troppo affettata armonia; il che, mescolando le imperfette, si fugge, col far quasi un paragone, donde più le orecchie nostre stanno sospese, e più avidamente attendono e gustano le perfette, e dilettansi talor di quella dissonanza della seconda o settima, come di cosa sprezzata. Eccovi adunque, rispose il Conte, che in questo nuoce' l'affettazione, come nell' altre cose. Dicesi ancor essere stato proverbio appresso ad alcuni eccellentissimi pittori antichi, troppo diligenza esser nociva, e essere stato biasimato Protogene: da Apelle che non sapea levar le mani dalla tavola. Disse allor M. Cesare: Questo medesimo difetto parmi che abbia il nostro Serafino, di non saper levar le mani dalla tavola, almen fin che in tutto non ne sono levate ancora le vivande. Rise il Conte e soggiunse: Voleva dire Apelle, 'che Protogene nella pittura non conoscea quel che bastava; il che non era altro che riprenderlo d'esser affettato nelle opere sue. Questa virtù adunque, contraria alla affettazione la qual noi per ora chiamiamo sprezzatura, oltre che ella sia il vero fonte donde deriva la grazia, porta ancor seco un altro ornamento; il quale

accompagnando qualsivoglia azione umana, per minima ch'ella sia, non solamente subito scopre Il saper di chi la fa, ma spesso lo fa estimar molto maggior di quello che è in effetto; perchè negli animi delli circostanti imprime opinione che chi così facilmente fa bene, sappia' molto più di quello che fa; e se in quello che fa ponesse studio e fatica, potesse farlo molto meglio; e, per replicare i medesimi esempii, eccovi che un uom che maneggi l'arme, se per lanciar un dardo, ovver tenendo la spada in mano o altr' arma, si pone sen、 za pensare scioltamente in una attitudine pronta, con tal facilità che paia che il corpo e tutte le membra stiano in quella disposizione naturalmenle, e senza fatica alcuna, ancorchè non faccia altro, ad ognuno si dimostra esser perfettissimo in quello esercizio. Medesimainente nel danzare, un passo solo, un sol movimento della persona grazioso e non isforzato, subito manifesta il sapere di chi danza. Un musico, se nel cantar pronunzia una sola voce terminata con soave accento in un groppetto, duplicato con tal facilità che paia che Così gli venga fatto a caso, con quel punto solo fa conoscere che sa molto più di quello che fa. Spesso ancor nella pittura una linea sola non istentata, un sol colpo di pennello tirato facilmente, di modo che paia che la mano, senza esser guidata da studio o da arte alcuna, vada per sè stessa al suo termine, secondo la intenzion del pittoe re, scopre chiaramente la eccellenza dell' artefice, circa la opinion della qualé ognuno poi si estende secondo il suo giudizio. E'l medesimo interviene 0 quasi d'ogni altra cosa.

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Se scrivendo e parlando si debbano usare le parole introdotte dalla consuetudine in tutta Italia o le adoperate dagli antichi Toscani.

Sarà adunque il nostro cortigiano estimato eccellente ed in ogni cosa avrà grazia, e massimamente nel parlare, se fuggirà l'affettazione; nel qual errore incorrono molti, e talor, più che gli altri, alcuni nostri Lombardi i quali, se sono stati un anno fuor di casa, ritornati, subito cominciano a parlare romano, talora spagnuolo o francese, e Dio sa come; e tutto questo procede da troppo desiderio di mostrar di saper assai, ed in tal modo l'uomo mette studio e diligenza in acquistar un vizio odiosissimo. E certo a me sarebbe non piccola fatica, se in questi nostri ragionamenti io volessi usar quelle parole antiche toscane, che già sono dalla consuetudine dei Toscani di oggidi rifiutate; e con tutto questo credo che ognun di me riderebbe.

Allor M. Federico, Veramente, disse, ragionando tra noi, come or faceiamo, forse sarebbe male usar quelle parole antiche toscane, perchè, come voi dite, darebbero fatica a chi le dicesse e a chi le udisse, e non senza difficoltà sarebbero da mol-~ti intese. Ma chi scrivesse, crederei ben io che facesse errore non usandole, perchè danno molta grazia ed autorità alle scritture, e da esse risulta una lingua più grave e piena di maestà, che dalje moderne. Non so, rispose il Conte, che grazia o autorità possan dar alle scritture quelle parole che si deono fuggire, non solamente nel modo del parlare, come or noi facciamo (il che voi stesso confessate), ma ancor in ogni altro che immaginar

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IL CORTIGIANO LIBRO PRIMO.

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si possa chè se a qualsivoglia uomo di buon giudizio occorresse far una orazione di cose gravi nel senato proprio di Fiorenza, che è il capo di Toscana, ovver parlar privatamente con persona di grado in quella città, di negozii importanti, o ancor, con chi fosse dimestichissimo, di cose piacevoli, con donne o cavalieri, d'amore, o burlando o scherzando in feste, giuochi, o dove si sia, o in qualsivoglia tempo, luogo o proposito, son certo che si guarderebbe d'usar quelle parole antiche loscane; ed usandole, oltre al far far beffe di sè, darebbe non poco fastidio a ciascun che lo ascoltasse, Parmi adunque molto strana cosa usare ǹelda lo scrivere per buone quelle parole che si fuggono ja per viziose in ogni sorte di parlare; e voler che quello che mai non si conviene nel parlare, sia il b più conveniente modo che usar si possa nello Scrivere; chè pur (secondo me ) la scrittura non è altro che una forma di parlare che resta ancor di poichè l'uomo ha parlato ; e quasi una immagine o più presto vita delle parole; e però nel parlare, il qual, subito uscita che è la voce, si disperde, son forse tollerabili alcune cose che non sono nello scrivere, perchè la scrittura conserva le parole e le sottopone al giudizio di chi legge, e dà tempo di considerarle maturamente. E perciò è ragionevole che in questa si metta maggior diligenza, per farla più colta e castigata; non però di modo, che le parole scritte siano dissimili dalle dette, ma che nello scrivere si eleggano delle più belle che dusano nel parlare. E se nello scrivere fosse lequello che non è lecito nel parlare, ne nasterebbe un inconveniente, al parer mio, grandissimo, che è, che più licenza usar si potrebbe quella cosa nella qual si dee usar più studio; industria che si mette nello scrivere, in luo godi giovar, nocerebbe. Però certo è che quello Castiglione, fasc. 104.

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che si conviene nello scrivere, si convien ancor a nel parlare; e quel parlar è bellissimo che è simile agli scritti belli. Estimo ancora che molto più sia necessario l'esser inteso nello scrivere che nel parlare; perchè quelli che scrivono non son sempre presenti a quelli che leggono, come quelli che parlano a quelli che parlano. Però io loderei che l'uomo oltre al fuggir molte parole antiche toscane, s'assicurasse ancor d'usare scrivendo e parlando, quelle che oggidì sono in consuetudine in Toscana e negli altri luoghi della Italia, e che hanno qualche grazia nella pronunzia. E parmi che chi s' impone altra legge, non sia ben sicuro di non incorrere in quella affettazione tanto biasimata, della quale dianzi dicevamo.

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Allora M. Federico, Signor Conte, disse, io non posso negarvi che la scrittura non sia un modo di parlare. Dico ben che se le parole che si dicono hanno in sè qualche oscurità, quel ragionamento non penetra nell' animo di chi ode, e pas sando senza essere inteso, diventa vano; il che non interviene nello scrivere, chè se le parole che usa lo scrittore, portan seco un poco, non dirò di difficoltà, ma d'acutezza recondita, e non così nota, come quelle che si dicono parlando ordinariamente, danno una certa maggior autorità alla scrittura e fanno che'l lettore va più ritenuto e sopra di sè, e meglio considera e si diletta dello ingegno e dottrina di chi scrive; e col buon giudizio, affaticandosi un poco, gusta quel piacere che s'ha nel conseguir le cose difficili. E se la ignoranza di chi legge è tanta che non possa superar quelle difficoltà, non è la colpa dello scrittore, nè per questo si dee stimar che quella lingua non sia bella. Però nello scrivere credo io che si convenga usar le parole toscane, e solamente le

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