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le (1). E Cicerone in molti luoghi riprende mol suoi antecessori; e per biasimare Sergio Galba a ferma che le orazioni sue aveano dell'antico; dice che Ennio ancora sprezzò in alcune ccse i su antecessori (2), di modo che se noi vorremo im tar gli antichi, non gl'imiteremo. E Virgilio ch voi dite che imitò Omero non lo imitò nella lingu lo adunque queste parole antichi (quanto per m fuggirei sempre d'usare, eccetto però che in cer luoghi, ed in questi ancor rare volte; e parmi ch chi altrimenti le usa, faccia errore, non meno ch chi volesse, per imitar gli antichi, nutrirsi anco di ghiande, essendosi già trovata copia di grano. perchè voi dite che le parole antiche solament con quello splendore d'antichità adornan tant ogni subbietto, per basso che egli sia, che posson farlo, degno di molta lode, io dico che non sol mente di queste parole antiche, ma nè ancor del buone faccio tanto caso, ch'estimi debbano senza suco delle belle sentenze esser prezzate ragionevo mente; perchè il dividere le sentenze dalle parol è un divider l'anima dal corpo, la qual cosa n nell' uno nè nell'altro senza distruzione far si pu

Quello adunque che principalmente importa, e è necessario al cortigiano per parlare e scriver b ne, estimo io che sia il sapere; perchè chi non s e nell'animo non ha cosa che meriti esser intes non può nè dirla nè scriverla. Appresso, bisogn dispor con bell'ordine quello che si ha a dire o scr vere, poi esprimerlo ben con le parole; le qual s'io non m'inganno, debbono esser proprie, elet te, splendide e ben composte, ma sopra tutto usa te ancor dal popolo; perchè quelle medesime far

(1) Di Plauto parla Orazio nell'Arte, poetica V. 279 e se e 48 e seg.

(2) Di Sergio o per meglio dire Servio Galba parla Cice rone nel Bruto cap. XXI, e di Ennio nell'Oratore, capo 51

no lasgrandezza e pompa dell' orazione, se colui tiche parla ha buon giudizio e diligenza, e sa pigliarafe più significative di ciò che vuol dire ed innalCarle e come cera formandole ad arbitrio suo, colalocarle in tal parte e con tal ordine, che al primo mispetto mostrino e faccian conoscere la dignità e che splendor loro, come tavole di pittura poste al oro buono e natural lume. E questo così dico delmeo scrivere come del parlare ; al qual però si richieertiouo alcune cose, che non son necessarie nello che scrivere, come la voce buona, non troppo sottile o chelle come di femmina, nè ancor tanto austera ed ora orida che abbia del rustico; ma sonora, chiara, E Soave e ben composta, con la pronunzia espedita, Entee coi modi e gesti convenienti; li quali, al parer antonio, consistono in certi nuovi movimenti di tutto'l cono o corpo, non affettati nè violenti, ma temperati con ola-bo volto accomodato e con un mover d' occhi che elledia grazia e s'accordi con le parole e più che si zano significhi ancor coi gesti la intenzione ed afvolletto di colui che parla. Ma tutte queste cose sarebole,bero vane e di poco momento, se le sentenze 'es; a ne presse dalle parole non fossero belle, ingegnose, pacate, eleganti e gravi, secondo 'l bisogno. Dubito, edisse allora il signor Morello, che se questo corti. beno parlerà con tanta eleganza e gravità, fra noi on sa troveranno di quei che non lo intenderanno: tesa i da ognuno sarà inteso, rispose il Conte, per de la facilità non impedisce la eleganza. Nè io voscri- o ch'egli parli sempre in gravità, ma di cose piaalili, di giuochi, di motti e di burle, secondo il elet lempo; del tutto però sensatamente e con prontezRecopia non confusa; nè mostri in parte alcuna fan Maila o sciocchezza.puerile. E quando poi parlerà est con le sentenze ben distinte, esplichi sottil cosa oscura o difficile, voglio che e con le paroe la intenzion sua, ed ogni ambiguità faccia

ogna

usa

Cice

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chiara e piana con un certo modo diligente senza molestia. Medesimamente, dove occorrerà, sappia parlar con dignità e veemenza, e concitar quegli affetti che hanno in sè gli animi nostri ed accen derli o moverli secondo il bisogno, talor con una semplicità di quel candore che fa parer che la natura istessa parli, intenerirli e,inebbriarli di dolcezza, e con tal facilità, che chi ode, estimi ch' egli ancor con pochissima fatica potrebbe conseguir quel grado, e quando ne fa la prova, se gli trovi lontanissimo, lo vorrei che'l nostro cortigiano parlasse o scrivesse di tal maniera; e non solamente pigliasse parole splendide ed eleganti d'ogni parte della Italia, ma ancor loderei che talor usasse al cuni di quei termini, e francesi e spagnuoli, che già sono dalla consuetudine nostra accettati. Pero a me non dispiacerebbe che, occorrendogli, dicesse primor; dicesse accertare, avventurare; dicesse ripassare una persona con ragionamento, volendo intendere riconoscerla e trattarla, per averne perfetta notizia; dicesse un cavalier senza rimprocchio, attillato, creato d'un principe (1), ed altri tai termini, pur che sperasse esser inteso. Talor vorrei che pigliasse alcune parole in altra significazione che la lor propria; e trasportandole a proposito, quasi le inserisse, come rampollo d'albero, in più felice tronco, per farle più vaghe e belle, e quasi per accostar le cose al senso degli occhi proprii, e, come si dice, farle toccar con mano, con diletto di chi ode o legge. Nè vorrei che temesse formarne ancor di nuove e con nuove figure di di

(1) Primor, voce spagnuola che significa eccellenza, e non si usa in italiano,

Cavalier senza rimprocchio, dal francese Chevalier sans reproche non si usa in lingua italiana, e vi corrisponde Cavaliero irreprensibile.

Per l'altre voci e maniere di dire qui riferite Vedi il Vocabolario,

re, deducéndole con bel modo dai Latini; come già i Latini le deducevano dai Greci.

Se adunque degli uomini letterati e di buon ingegno o giudizio, che oggidì tra noi si ritrovano, fossero alcuni li quali ponessero cura di scrivere, del modo che s'è detto, in questa lingua cose degne d'esser lette, tosto la vedremmo colta ed abbondante di termini e di belle figure, e capace che in essa si scrivesse così bene come in qualsivoglia altra; e se ella non fosse pura toscana antica, sarebbe italiana, comune, copiosa e varia, e quasi come un delizioso giardino, pien di diversi fiori e frutti. Nè sarebbe questo cosa nuova ; perchè delle quattro lingue che aveano in consuetudine gli scrittori greci, eleggendo da ciascuna parole, modi e figure, come ben loro veniva, ne facevano nascere un'altra che si diceva comune, e tutte cinque poi sotto un sol nome chiamavano lingua greca; e benchè l'ateniese fosse elegante, pura e faconda più che l'altre, i buoni scrittori che non erano di nazion ateniesi, non la affettavan tanto, che nel modo dello scrivere e quasi all'odore e proprietà del loro natural parlare non fossero conosciuti: nè per questo però erano sprezzati; anzi quei che volevan parer troppo Ateniesi, nė rapportavan biasimo. Tra gli scrittori latini ancor furono in pregio a' loro dì molti non Romani, benchè in essi non si vedesse quella purità propria della lingua romana, che rare 1 volte possono acquistar quei che son d'altra nae zione. Già non fu rifiutato T. Livio, ancora che colui dicesse aver trovato in esso la patavinità (1);

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(1) Era Asinio Pollione che tacciava Tito Livio di Patavinita. Se questo difetto era veramente nell' opera di Livio, e of non solo nella gelosa critica di Pollione, forse consisteva o in alcune espressioni più Padovane che Rimane, e così pensa ancora il Castiglione, o nel partito Pompeiano, che Tito Li. vio manifestava nelle sue storie, come i Padovani suoi compatrioti lo avean mostrato coi. fatti.

nè Virgilio, per essere stato ripreso che non parlava romano. E, come sapete, furono ancor letti ed estimati in Roma molti scrittori di nazione Barbari. Ma noi, molto più severi che gli antichi, imponiamo a noi stessi certe nuove leggi fuor di proposito; ed avendo innanzi agli occhi le strade battute, cerchiamo andar per diverticoli; perchè nella nostra lingua propria, della quale (come di tutte le altre) l'officio è esprimer bene e chiaramente i concetti dell' animo, ci dilettiamo della oscurità; e chiamandola lingua volgare, vogliamo in essa usar parole che non solamente non son dal volgo, ma nè ancor dagli uomini nobili e letterati intese, nè più si usano in parte alcuna; senza aver rispetto che tuttii buoni antichi biasimano le parole rifiutate dalla consuetudine; la qual voi, al parer mio, non conoscete bene, perchè dite, che se qualche vizio di parlare è invalso in molti ignoranti, non per questo si dee chiamar consuetudine, nè esser accettato per una regola di parlare; e (secondochè altre volte vi ho udito dire) volete poi che in luogo di Capitolio si dica Campidoglio; per Hieronymo, Girolamo; aldace per audace, e per patrone, padrone, ed altre tali parole corrotte e guaste, perchè così si trovano scritte da qualche antico Toscano ignorante, e perchè così dicono oggidì i contadini toscani. La buona consuetudine adunque del parlare credo io che nasca dagli uomini che hanno ingegno e che con la dottrina ed esperienza s? hanno guadagnato il buon giudizio, e con quello concorrono e consentono ad accettar le parole che lor paion buone le quali si conoscono per un certo giudizio naturale, e non per arte o regola alcuna. Non sapete voi che le figure del parlare, le quali dauno tanta grazia e splendor alla orazione, tutte sono abusioni delle regole gramaticali, pia accettate e confermate dalla usanza,

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