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tro Goffredo, imperiosamente imprigionando Argillano, reprime la sedizione, per darci a divedere, che la potestà della mente sopra il corpo è regia e signorile. L'altra cosa degna di considerazione è, che siccome la parte ragionevole non dee (che molto in ciò s' ingannarono gli Stoici) escludere l' irascibile dalle azioni, nè usurparsi gli ufficj di lei, che questa usurpazion sarebbe contra la giustizia naturale, ma dee farsela compagna e ministra, così non doveva Goffredo tentar la ventura del bosco egli medesimo, nè attribuirsi gli altri uffici debiti a Rinaldo. Minor artificio dunque si sarebbe dimostro, e minor riguardo avuto a quella utilità, la quale il Poeta, come sottoposto al Politico, deve aver per fine, quando si fosse finto, che da Goffredo solo fosse stato operato tuttociò, che era necessario per la espugnazion di Gerusalemme. Non è contrario, o diverso da quello, che s'è detto ponendo Rinaldo, e Goffredo per segno della ragionevole, e della irascibile virtù, quel che dice Ugone nel sogno, quando paragona l' uno al capo, e l' altro alla destra; perchè il capo (se crediamo a Platone) è sede della ragione, e la destra, se non è sede dell'ira, è almeno suo principalissimo instrumento. Ma per venir finalmente alla conclusione, l'Esercito, in cui già Rinaldɔ, e tutti gli altri Cavalieri per grazia d' Iddio, e per umano avvedimento sono ritornati e sono ubbidienti al Capitano, significa l'uomo già ridotto nello stato della giustizia naturale quando le potenze superiori comandano, come debbono, e le in

feriori ubbidiscono, e oltre a ciò nello state della ubbidienza divina: allora facilmente è disincantato il bosco, espugnata la Città, e sconfitto l'Esercito nemico, cioè, superati agevolmente tutti gli esterni impedimenti, l' uomo conseguisce la felicità politica. Ma perchè questa civile beatitudine non deve esser ultimo segno dell' uomo Cristiano, ma deve egli mirar più alto alla Cristiana felicità, per questo non desidera Goffredo d' espugnar la terrena Gerusalemme per averne semplicemente il dominio temporale, ma perchè in essa si celebri il culto divino, e possa il Sepolcro liberamente esser visitato da' pii, e divoti peregrini, e si chiude il Poema nell' adorazione di Goffredo, per dimostrarci, che l'intelletto affaticato nelle azioni civili deve finalmente riposarsi nelle orazioni, e nelle contemplazioni de' beni dell' altra vita beatissima, ed immortale.

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Manda a Tortosa Dio l'Angelo, u' poi
Goffredo aduna i Principi Cristiani.
Quivi concordi que famosi Eroi
Lui Duce fan degli altri Capitani.
Quinci egli pria vuol rivedere i suoi
Sotto l'insegne, e poi gl' invia ne' piani,
Che a Sion vanno: intanto di Giudea
Il Re si turba alla novella rea.

1.

Canto l'armi pietose, e 'l Capitano,
Che 'l gran Sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò col senno, e con la manɔ;
Molto soffri nel glorioso acquisto :
E invan l'Inferno a lui s'oppose, e invano
S'armò d'Asia, e di Libia il popol misto;
Che il Ciel gli diè favore, e sotto ai santi
Segni ridusse i suoi compagni erranti.

2. O Musa tu, che di caduchi allori
Non circondi la fronte in Elicona,
Ma su nel Cielo infra i beati cori
Hai di stelle immortali aurea corona;
Tu spira al petto mio celesti ardori,
Tu rischiara il mio canto, e tu perdona
Se intesso fregi al ver, s'adorno in parte
D'altri diletti, che de' tuoi, le carte.

3. Sai, che la corre il mondo, ove più versi
Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
E che vero condito in molli versi
I più schivi allettando ha persuaso.
Così all' egro fanciul porgiamo aspersi
Di soave licor gli orli del vaso :
Succhi amari ingannato intanto ei beve,
E dall'inganno suo vita riceve.

4. Tu magnanimo Alfonso, il qual ritogli
Al furor di fortuna, e guidi in porto
Me peregrino errante, e fra gli scogli,
E fra l'onde agitato, e quasi assorto,
Queste mie carte in lieta fronte accogli
Che quasi in voto a te sacrate i' porto
Forse un di fia, che la presaga penna
Osi scriver di te quel ch' or n' accenna.
5. È ben ragion (s'egli avverrà, che in
pace
Il buon popol di Cristo unqua si veda
E con navi, e cavalli al fero Trace
Cerchi ritor la grande ingiusta preda)
Ch'a te lo scettro in terra, o se ti piace,
L'alto imperio de mari a te conceda.
Emulo di Goffredo i nostri carmi
Intanto ascolta, e t'apparecchia all'armi.

6. Già sesto anno volgea, ch' in Oriente
Passo il Campo Cristiano all'alta impresa;
E Nicea per assalto, e la potente
Antiochia con arte avea già presa.
L'avea poscia in battaglia incontro a gente
Di Persia innumerabile difesa ;

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E Tortosa espugnata: indi alla rea Stagion diè loco, e 'l novo anno attendea . 7. El fine omai di quel piovoso inverno, Che fea l'armi cessar, lunge non era, Quando dall'alto soglio il Padre Eterno Ch'è nella parte più del Ciel sincera, E quanto è dalle stelle al basso inferno Tanto è più in su della stellata sfera, Gli occhi ingiu volso,e in un sol punto,e in una Vista mirò cio, ch'in se il mondo aduna. 8. Mirò tutte le cose, ed in Soria S'affisso poi ne' Principi Cristiani; E con quel guardo suo, ch' addentro spia Nel più secreto lor gli affetti umani, Vede Goffredo, che scacciar desia Dalla santa Città gli empj Pagani, E pien di fè, di zelo, ogni mortale Gloria, imperio, tesor mette in non cale. 9. Ma vede in Baldovin cupido ingegno, Ch'all' umane grandezze intento aspira: Vede Tancredi aver la vita a sdegno; Tanto un suo vano amor l'ange, e martira: E fondar Boemondo al nuovo Regno Suo d'Antiochia alti principj mira, E leggi imporre, ed introdur costume, Ed arti, e culto di verace Nume;

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