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servato la dignità e 'l splendor loro, quando per le guerre e ruine d'Italia si son fatte le mutazioni della lingua, delli edifizii, delli abiti e costumi; oltra che sia difficile, par quasi una impietà. Perciò, se io non ho voluto scrivendo usare le parole del Boccaccio che più non 70 s'usano in Toscana, né sottopormi alla legge di coloro che stimauo che non sia licito usar quelle che non usano li Toscani d'oggidi, parmi meritare escusązione. Penso adunque, e nella materia del libro e nella lingua, per quanto una lingua po aiutar l'altra, aver imitato autori tanto degni di laude quanto è il Boccaccio: né credo che mi si debba 75 imputare per errore lo aver eletto di farmi piuttosto conoscere per Lombardo parlando lombar lo, che per non Toscano parlando troppo toscano: per non fare come Teofrasto, il qual, per parlare troppo ateniese, fu da una semplice vecchiarella conosciuto per non Ateniese. Ma perché circa questo nel primo Libro si parla a bastanza, non so dirò altro, se non che, per rimover ogni contenzione, io confesso ai miei riprensori, non sapere questa lor lingua toscana tanto difficile e recondita e dico aver scritto nella mia, e come io parlo. ed a coloro che parlano come parl' io: e cosi penso non avere fatto ingiuria ad alcuno che, secondo me, non è proibito a chi si sia scrivere e par85 lare nella sua propria lingua: né meno alcuno è astretto a leggere o ascoltare quello che non gli aggrada. Perciò. se essi non vorran leggere il mio Cortegiano, non mi tenerò io punto da loro ingiuriato.

66. Quando per le guerre ecc. Qui il C. allude certamente agli sconvolgimenti, alle invasioni barbariche che afflissero la penisola durante il Medio Evo, e delle quali, in relazione con la lingua, parlarono il Bembo (Prose, lib. I, pp. 32-3) ed il Varchi (Ercolano, ed. cit. pp. 119-21).

75. Imputare per errore. Mettere in conto di errore; più comune la costruzione con a.

77. Per non fare come Teofrasto ecc. Allusione evidente ad un passo del Brutus sive De claris oratoribus di Ciceroue, il quale (XLVI, 172) cosi narra il fatterello avvenuto a Teofrasto: Cum percontaretur ex anicula quadam, quanti aliquid venderet; et respondisset illa, atque addidisset: Hospes, non pote minoris; tulisse eum moleste, se non effugere hospitis speciem, cum aetatem ageret Athenis, optimeque loqueretur. L'aneddoto è citato anche dal Varchi (Ercolano, ed. cit. p. 105) per dimostrare l'importanza della pronunzia.

78. Vecchiarella. Diminutivo corrispondente all'anicula latino, che serve ad indicare, oltre l'età avanzata, l'umile condizione della povera rivendugliola.

79. Nel primo Libro. Cioè dalla fine del cap. XXIX sino a tutto il xxxix, dove, a proposito dell'affettazione, Ludovico da Canossa e Federico Fregoso discutono circa l'uso di parole e frasi arcaiche nello scrivere e nel parlar volgare.

80. Contenzione. A farlo apposta, è forma latineggiante Più comuni: contesa, controversia, contrasto, questione.

Io confesso ecc. Dichiarazioni simili a questa si trovano, quasi con le stesse parole, fatte dal Bandello e da altri Cinquecentisti non toscani, sovrattutto dell'Italia superiore.

S2. E come io parlo. Solita illusione. Anche un affrettato confronto fra la prosa del Cortegiano e le lettere famigliari del C. quali ci sono conservate negli autografi (non quali furono edite dal Serassi), dimostra come in queste ultime egli fosse assai più trascurato e lombardeggiante che non in quella, pel lessico non meno che per la grafia.

87. Tenerò. Forma oggi scaduta dall'uso, che preferi la contratta terró, che incontreremo più avanti (¡II, 30) nella forina composta terrollo.

III. Altri dicono, che essendo tanto difficile e quasi impossibile trovar un omo cosi perfetto come io voglio che sia il Cortegiano, è stato superfluo il scriverlo, perché vana cosa è insegnar quello che imparar non si po. A questi rispondo, che mi contenterò aver errato con Platone, Senofonte e Marco Tullio, lassando il disputare del mondo 5 intelligibile e delle Idee; tra le quali, si come (secondo quella opinione) è la Idea della perfetta Repubblica, e del perfetto Re, e del perfetto Oratore, cosi è ancora quella del perfetto Cortegiano: alla imagine della quale s'io non ho potuto approssimarmi col stile, tanto minor fatica averanno i cortegiani d'approssimarsi con l'opere al 10 termine e meta, ch'io col scrivere ho loro proposto: e se, con tutto questo, non potran conseguir quella perfezion, qual che ella si sia, ch'io mi sono sforzato d'esprimere, colui che più se le avvicinerà sarà il più perfetto; come di molti arcieri che tirano ad un bersaglio quando niuno è che dia nella brocca, quello che più se le accosta 15 senza dubbio è miglior degli altri. Alcuni ancor dicono, ch' io ho creduto formar me stesso. persuadendomi che le condizioni ch'io al Cortegiano attribuisco, tutte siano in me. A questi tali non voglio già negar di non aver tentato tutto quello ch'io vorrei che sapesse

III. 4. Con Flatone ecc. Allude alla Repubblica di 1 latone, alla Ciropedia di Senofonte e al De oratore di Ciceroue, alle quali opere il C. accenna anche qui appresso. Ma egli poteva ag. giungere anche Quintiliano, che s'era proposto di formare l'orator perfectus, e, per tacere dei nostri umanisti del Quattrocento, il Palmieri, che nella Vita civile, aveva ritratto l'ottimo citta dino».

7. La Idea. L'A. adopera qui il vocabolo secondo l'opinione platonica », nella quale significava forma esemplare e intelligibile, per usar le parole d'un suo amico, Mario Equicola, nel libro Di Natura d'Amore, lib. I., c. 30 v. dell'ediz. Venezia, 1587.

12. Perfezion. Questo vezzo (che ben tosto diventò un abuso) di troncare le parole naturalmente parossitone, per accrescere suono al periodo, fu assai diffuso presso i nostri prosatori del Ciuquecento, dietro l'esempio del Boccaccio E in questo il C. non fu da meno degli altri.

15. Brocca. Brocco, segno, centro del bersaglio; la quale forma femmin. era nel Cinquecento più comune in senso figurato (Cas.), e assai frequente, e vivo ancora in Toscana e altrove, è imbroccare. In una variante di questo proemio pubblicata la prima volta dal Se

rassi (Cfr. ediz. Le Monnier, p. 315) il C. scriveva La idea dunque di questo perfetto Cortegiano formeremo al meglio che si potrà, acciò che chi in questa mirerà, come buono arciero si sforzi d'accostarsi al segno, quanto l'occhio e il braccio suo gli comporterà ». Cfr. lib. IV. cap. XL. 20. E il Machiavelli in una lettera al Vettori: ... e fugli in tanto favorevole la fortuna, che la prima mira che pose, la pose al vero brocco ». (Lettere fam., ed. Firenze, Sansoni, 1883, p. 310); e prima di lui, un altro toscano, il Poliziano, in una lettera ad Alessandro Cortese (ripubblicata da I. Del Lungo in Florentia, p. 252): Se voi aguzzerete la coujettura, darete in brocco».

16. Alcuni ecc. Probabilmente il C alludeva al seguente passo della lettera citata che Vittoria Colonna gli aveva scritta il 20 settembre del 1524: Che abbia ben formato un perfetto cortegiano non me ne maraviglio, che con solo tenere uno specchio denanzi, et considerare le interne et externe parti sue, posseva descriverlo qual lo ha descritto; ma essendo la maggior difficultà che habbiamo conoscer noi stessi, dico che più difficile li è stato formar sé che un altro... ». E l'Ariosto nell'Orl. fur. (xxxvII, 8), raffigurando il nostro C.: ... C'è chi qual lui Veggiamo la tali i Cortegian formati».

20 il Cortegiano; e penso che chi non avesse avuto qualche notizia delle cose che nel libro si trattano, per erudito che fusse stato, mal averebbe potuto scriverle: ma io non son tanto privo di giudicio in conoscere me stesso, che mi presuma saper tutto quello che so desiderare.

25 La difesa adunque di queste accusazioni, e forse di molt' altre, rimetto io per ora al parere della commune opinione; perché il più delle volte la moltitudine, ancor che perfettamente non conosca, sente però per instinto di natura un certo odore del bene e del male, e, senza saperne rendere altra ragione, l'uno gusta ed ama, e l'altro 30 rifiuta ed odia. Perciò, se universalmente il libro piacerà, terrollo per bono, e penserò che debba vivere; se ancor non piacerà, terrollo per malo, e tosto crederò che se n'abbia da perder la memoria. E se pur i miei accusatori di questo commun giudicio non restano satisfatti, contèntinsi almeno di quello del tempo; il quale d'ogni 35 cosa al fin scopre gli occulti difetti, e, per esser padre della verità e giudice senza passione, sol dare sempre della vita o morte delle scritture giusta sentenzia.

BALDESAR CASTIGLIONE.

25. Accusazioni. Forma latineggiante, che corrisponde alla preced. calunnie. 26. Della commune opinione. Commune scrive normalmente il C. secondo la grafia 'atina, come, poco prima, aveva scritto nagine. E quella che oggi si chiama Opinione pubblica, e che, nei modi e coi caratteri e secondo le tendenze moderne, non cominciò ad affermarsi e ad operare vigorosa che nel Rinascimento. Di essa appunto comprese il segreto e la forza, facendone strumento efficace la stampa, quel Pietro Aretino che, come fu più volte osservato, si deve perciò considerare come il primo e più abile e audace precursore del giornalismo moderno. Circa poi il valore e l'estensione di quella che nel Dugento si diceva pubblica voce e fama, vedasi l'osservazione di I. Del Lungo (Dante ne' tempi di Dante, Bologna, Zanichelli, 1888, p. 143).

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simo, di orlore, deriva direttamente dai classici latini. Cicerone infatti, fra gli esempi di frasi metaforiche da usarsi dall'oratore, cita anche l'odor urbanitatis (De orat. III, 40). Del resto l'idea qui espressa ci apparisce, sotto forma alquanto diversa, nel trito vox populi, rox Dei.

35. E, per esser padre della verità ecc. Sono concetti, questi, comuni e tradizionali, ma che il C. dovette attingere a fonti classiche. Anche per Aulo Gellio il tempo è pater veritatis e Tacito scrive: Suum cuique decus posteritas rependit. Più tardi, Quintiliano (Instit. orat. lib. III, 7) scriveva : .. quidam, sicut Menander, iustiora posterorum quam suae aetatis iudicia sunt consecuti». Ma il Foscolo (Articolo intorno ad un sonetto del Min• zoni): La comune sentenza che il tempo sia giudice imparziale del merito è vera, ma il tempo sarebbe più utile alla letteratura, ov' ei non fosse giudice debole ».

6...

IL PRIMO LIBRO DEL CORTEGIANO

DEL CONTE BALDESAR CASTIGLIONE

A MESSER ALFONSO ARIOSTO

I. L'A. scrisse del perfetto Cortegiano ad istanza di messer Alfonso Ariosto, e in forma dialogica, per riferire certi ragionamenti tenuti alla Corte d'Urbino. II-III. Descrizione e lodi d'Urbino e dei Signori Feltreschi: il Duca Federico e il figlio Guidobaldo. IV-V. La Corte urbinate, i convegni, i principali personaggi di essa, i < nobilissimi ingegni che la frequentavano e partecipavano ai consueti ragionamenti. VI. Occasione straordinaria di questi discorsi: il passaggio di papa Giulio II. VII-XI. I sei giuochi proposti successivamente da Gaspar Pallavicino, da Cesare Gonzaga, da fra Seratino, dall' Unico Aretino, da Ottaviano Fregoso e da Pietro Bembo. XII. E scelto il settimo giuoco, proposto da Federico Fregoso, consistente in < formare con parole un perfetto Cortegiano ». XIII-XVI. Il Conte Lodovico da Canossa, avutone l'incarico da madonna Emilia Pia, prende ad annoverare le qualità del Cortegiano, parlando anzitutto della nobiltà. A lui contraddice il Pallavicino. XVII-XVIII. Quella dell'arme dev'essere la principale e vera professione del Cortegiano, il quale peraltro deve evitare di fare il bravo, fuggendo sovrattutto l'ostentazione e la millanteria. XIX-XXII. II Bibbiena e il Canossa trattano della forma esteriore, del tipo estetico del Cortegiano e dei principali esercizi cavallereschi. XXIII. Breve incidente e interruzione del ragionamento. XXIV-VI. In che cosa consista e come si acquisti la grazia negli esercizi del corpo e in ogni altra cosa. - XXVII-XXVIII. Del fuggire l'affettazione. XXIX-XXXIX. Dell'affettazione nella lingua e dei modi di evitarla. Disputa fra il Canossa e Federico Fregoso circa la lingua da usarsi dal Cortegiano, circa le parole e le espressioni arcaiche e i precetti del parlare e dello scrivere bene e circa l'imitazione. XL. Dell'affettazione anche nelle donne. XLI. Qualità morali del Cortegiano; la bontà. - XLII-XLVI. Il Cortegiano cultore anche di lettere; pregi di queste e disputa fra il Canossa ed il Bembo circa la preminenza delle lettere e delle armi. XLVII-XLVIII. La cognizione della musica indispensabile al Cortegiano. Lodi di essa. XLIX. La cognizione della pittura. L-LIII. Disputa fra il Canossa e Giovan Cristoforo romano circa la superiorità della pittura o della statuaria. LIV-VI. Arrivo del Prefetto di Roma, Francesco Maria della Rovere, col suo seguito. La trattazione, promessa dal Canossa, intorno ai modi di applicare le buone condizioni », finora esposte, del Cortegiano, viene rimandata affidandola a Federigo Fregoso. La prima serata si chiude fra suoni e danze.

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I. Fra me stesso lungamente ho dubitato, messer Alfonso carissimo, qual di due cose più difficil mi fusse; o il negarvi quel che con tanta instanzia più volte m'avete richiesto, o il farlo perché da un canto mi parea durissimo negar alcuna cosa, e massimamente laude

I. 1. Fra me stesso lungamente ho dubitato ecc. Similmente Cicerone nell'Orator ad M. Brutum (I, 1): Utrum difficilius aut maius esset negare tibi saepius idem roganti an efficere id, quod rogares diu multumque, Brute, dubitavi. Nam et negare ei, quem unice diligerem cuique carissimum me esse sentirem,

praesertim et iusta petenti et praeclara cupienti, durum admodum mihi videbatur, et suscipere tantam rem, quantam non modo facultate consequi diffi. cile esset, sed etiam cogitatione complecti, vix arbitrabar esse eius, qui vereretur reprehensionem doctorum atque prudentium ».

5 vole, a persona ch' io amo sommamente, e da cui sommamente mi sento esser amato; dall'altro ancor, pigliar impresa, la qual io non conoscessi poter condurre a fine, pareami disconvenirsi a chi estimasse le giuste riprensioni quanto estimar si debbano. In ultimo, dopo molti pensieri, ho deliberato esperimentare in questo, quanto 10 aiuto porger possa alla diligenzia mia quella affezione e desiderio intenso di compiacere, che nelle altre cose tanto sole accrescere la industria degli omini.

Voi adunque mi richiedete ch'io scriva, qual sia al parer mio la forma di Cortegiania più conveniente a gentilomo che viva in corte 15 de' principi, per la quale egli possa e sappia perfettamente loro servir in ogni cosa ragionevole, acquistandone da essi grazia, e dagli altri laude; in somma, di che sorte debba esser colui, che meriti chiamarsi

6. Pigliar impresa ecc. Nel cod. laur. leggesi, di mano del copista: la quale io non conoscessi poter perfettamente condur, e poscia, la prima correzione del C.: la quale io conoscessi non po

ter ecc..

9. Ho deliberato ecc. E Cicerone (Ib. 1, 2): Quod quoniam me saepius rogas aggrediar non tam perficiundi spe, quam experiundi voluntate ».

13. Voi adunque ecc. Preso anche dall'Orator (1, 3): Quaeris igitur idem iam saepius quod eloquentiae genus probem maxime ecc. ».

14-18. Cortegianía. Astratto di corteviano, ed è quel complesso di costumi, consuetudini, pratiche ed offici, che ap partengono e son propri all'uomo di corte, e che nel 500, come, del resto, otto forme naturalmente diverse anche nel Medio Evo (specie nella società anglo-normanna, che ebbe il suo codice di cortegiania, Le doctrinal de Courtoisie), assumevano cuasi il carattere e il valore d'una vera e propria istituzione. Sebbene non potesse avere un'idea esatta della storia della cortegiania e dei suoi precursori medievali, il C. mostrò di comprendere egregiamente quale carattere diverso essa avesse preso col Ri nascimento, favorita dal mecenatismo fiorente di arti e di studi nuovi, allorquando, nel secondo dei Proemi da lui rifiutati (ed. Lem., pp. 314-5) scriveva:

Però tra l'altre cose, che nate sono a' tempi oltre i quali noi abbiam notizia, e non molto da' nostri secoli lontani, veggiamo essere invalsa questa sorte d'omini che noi chiamiamo cortegiani; della qual cosa quasi per tutta Cristianità si fa molta professione». Ché, sebbene sieno esistite sempre e corti e principi e gran Signori e molti servitori »

loro di vario valore, non è però forsi mai per lo addietro, se non da non molto tempo in qua, fattasi tra gli uomini professione di questa Cortegiania, per dire cosi, e ridottasi quasi in arte e disciplina come ora si vede, talmente che, come d'ogni altra scienzia, cosi ancor di questa si potrebbono dare alcuni precetti, e mostrare le vie per conseguirne il fine, quale noi estimiamo che sia il sapere e potere perfettamente servire con dignità ogni gran principe in ogni cosa laudabile, acquistandone grazia e laude da esso e da tutti gli altri ». Apostolo Zeno (Annotazioni alla Biblioteca dell'Eloq. ital. del Fontanini, ed. Parma, 1801, t. II. p. 390) considerò questo vocabolo cortegiania come forma lombarda di fronte alla toscana cortigianeria; ma piuttosto il segno lombardo del vocabolo sta in quella e che apparisce anche nel titolo del libro, che è cortegiano e non cortigiano. Gentilomo, cortegiano, spesso nell'uso comune del 500, nelle lettere stesse del C. appariscono perfettamente sinonimi; ma questo cortegiano, era ben diverso dal cortegiano, dall'uomo di corte (curialis) del tempo di Dante, del Boccaccio e del Sacchetti; tanto è vero, che anche quei nostri antichi facevano distinzione fra il semplice e volgare uomo di corte (buffone, giullare e simili) e il nobile uomo di corte, come è appellato, ad esempio, nelle Novelle antiche, Marco Lombardo. 11 carattere del nobile cortigiano del sec. XI e XIV è ritratto dal Boccaccio in Guglielmo Borsiere (Giorn. I, Nov. 8; cfr. Inferno, xXVI, 70). Tuttavia in documenti del sec. xv troviamo distinti i cortesani dai zentilomini, come in uno pubbl. dal Rosmini, Ist. di Mi lano, t. IV (Milano, 1820), p. 148. Si veda

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