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venti anni, s'infermò di podagre, le quali con atrocissimi dolori procedendo, in poco spazio di tempo talmente tutti i membri gl' impedirono, che né stare in piedi né mover si potea; e cosí restò un dei 15 piú belli e disposti corpi del mondo deformato e guasto nella sua verde età. E non contenta ancor di questo la fortuna, in ogni suo disegno tanto gli fu contraria, ch'egli rare volte trasse ad effetto cosa che desiderasse; e benché in esso fusse il consiglio sapientissimo e l'animo invittissimo, parea che ciò che incominciava, e nell'arme e 20 in ogni altra cosa o picciola o grande, sempre male gli succedesse: e di ciò fanno testimonio molte e diverse sue calamità, le quali esso con tanto vigor d'animo sempre tolerò, che mai la virtú dalla fortuna non fu superata; anzi, sprezzando con l'animo valoroso le procelle di quella, e nella infermità come sano e nelle avversità come fortuna25 tissimo, vivea con summa dignità ed estimazione appresso ognuno; di modo che, avvenga che cosi fusse del corpo infermo, militò con onorevolissime condizioni a servizio dei serenissimi re di Napoli Alfonso e Ferrando minore; appresso con papa Alessandro VI, coi signori Veneziani e Fiorentini. Essendo poi asceso al pontificato 30 Julio II, fu fatto Capitan della Chiesa; nel qual tempo, seguendo il suo consueto stile, sopra ogni altra cosa procurava che la casa sua fusse di nobilissimi e valorosi gentilomini piena, coi quali molto familiarmente viveva, godendosi della conversazione di quelli : nella qual cosa non era minor il piacer che esso ad altrui dava, che quello 33 che d'altrui riceveva, per esser dottissimo nell'una e nell'altra lingua, ed aver insieme con la affabilità e piacevolezza congiunta ancor la cognizione d'infinite cose: ed, oltre a ciò, tanto la grandezza dell'animo suo lo stimulava, che, ancor che esso non potesse con la persona esercitar l'opere della cavalleria, come avea già fatto, pur si

26. Militò ecc. Delle varie imprese guerresche di Guidobaldo parla più diffusamente il C. nella epistola ora citata. Questo fatto del militare agli stipendi di altri signori o città, ci mostra come in Guidobaldo, accanto al principe nobile e mecenate, sopravvivesse ancora il capitano di ventura. (Cfr. Burckhardt, La civiltà del secolo del Rinascimento ecc., Firenze, Sansoni, 1899, con aggiunte dello Zippel, I. 22 sgg.).

35. Per esser dottissimo ecc. Fu discepolo dell'Odasi, che celebrò le sue lodi, non senza molta esagerazione retorica, nella orazione funebre già ricordata. Altrove il C. ebbe a scrivere di lui:

liberalia studia ab aetate prima cupide semper ac diligenter exercuit; utramque linguam (cioè la latina e la greca) pari studio feliciter excoluit, sed Graecarum litterarum praecipuo tene

batur amore, ejusque linguae tam exactam adeptus erat cognitionem, ut non minus quam patriam in promptu haberet; diffondendosi a parlare più particolarmente dei suoi studi e degli autori suoi prediletti.

36. Insieme con la affabilità e piacevolezza ecc. E altrove il C.: Eadem verborum gratia in domesticis rebus narrandis usus est; privatim facetissimus; dicteriis (motti arguti) totus scaturiens; comis ac facilis ecc. ».

39. Come avea già fatto ecc. Bella e viva, e certo alquanto idealizzata, ci apparisce la giovinezza cavalleresca di questo infelice principe del Rinascimento, nella efficace prosa latina del suo degno cortegiano; che ce lo rappre senta mirabile in tutti gli esercizi convenienti a nobili cavalieri, nonostaute la malattia che cominciava ad

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pigliava grandissimo piacer di vederle in altrui; e con le parole, or 10 correggendo or laudando ciascuno secondo i meriti, chiaramente dimostrava quanto giudicio circa quelle avesse; onde nelle giostre, nei torniamenti, nel cavalcare, nel maneggiare tutte le sorti d'arme, medesimamente nelle feste, nei giochi, nelle musiche, in somma in tutti gli esercizii convenienti a nobili cavalieri, ognuno si sforzava di mo. 45 strarsi tale, che meritasse esser giudicato degno di cosi nobile commercio.

IV. Erano adunque tutte l'ore del giorno divise in onorevoli e piacevoli esercizii cosi del corpo come dell'animo; ma perché il signor Duca continuamente, per la infirmità, dopo cena assai per tempo se n'andava a dormire, ognuno per ordinario dove era la signora duchessa Elisabetta Gonzaga, a quell'ora si riduceva; dove ancor sempre 5 si ritrovava la signora Emilia Pia, la qual per esser dotata di cosí vivo ingegno e giudicio, come sapete, pareva la maestra di tutti, e che ogniuno da lei pigliasse senno e valore. Quivi adunque i suavi ragionamenti e l'oneste facezie s'udivano, e nel viso di ciascuno dipinta si vedeva una gioconda ilarità, tálmente che quella casa certo 10 dir si poteva il proprio albergo della allegria: ne mai credo che in altro loco si gustasse quanta sia la dolcezza che da una amata e cara compagnia deriva, come quivi si fece un tempo; ché, lassando quanto onore fusse a ciascun di noi servir a tal signore come quello che già di sopra ho detto, a tutti nascea nell'animo una summa con- 15 tentezza ogni volta che al conspetto della signora Duchessa ci riducevamo; e parea che questa fusse una catena che tutti in amor tenesse uniti, talmente che mai non fu concordia di voluntà o amore

athiggerlo: «Verum non ob id ludo pilae (cujus erat scientissimus) abstinebat. Equitabat praeterea quotidie; arma ge. stabat, hastis concurrebat.... Spectabant omnes et admirabantur dulcem oris fe. rociam, totum denique corpus adeo concinne compositum, ut quidquid ageret, ipsum semper deceret ». E di lui ci ha lasciato questo ritratto: Statura procerus fuit, colore candido, ore non admodum pleno, sed forma eximia, et per omnes aetates venustissima; negligens tamen omnis lenocinii, et circa cultum ad mundiciam et decentiam tantum curiosus: glaucis oculis, capillis aureis primum, mox subnavis, iisdem planis nec multis; tereti collo, latis humeris, toroso pectore, castigato ventre, plenis femoribus, tibiis autem decenter exili. bus. E, fatto singolare e caratteristico, questo giovane principe, in mezzo agli strazi del male, spira mormorando (paene subcinens) quasi in un canto sommesso, rivolto al suo fedele cava

liere, il C., i versi del poeta prediletto, Virgilio.

46. Commercio. Qui è il conversare; relazione, convivenza » Cas.

IV. 4-5. La signora duchessa Elisabetta. Notizie intorno ad essa si vedano nel Dizion. biogr.

— a quell'ora ecc. Sul far della notte si raccoglieva.

6. La signora Emilia Pla. Sulla vita e sull'indole di questa che è la figura femminile dominante nei ritrovi urbi. nati, si consulti il cit. Dizion.

8. Quivi ecc. L'A. porge in questo passo come una sintesi felice di tutto il libro.

11. Il proprio albergo. In forma meno latineggiante e più comune: proprio l'albergo.

17. Questa. Cioè la ◄ summa contentezza che nasceva nell'animo di ognuno alla presenza della Duchessa. Qui e nelle linee seguenti il C. si mostra un fine e fedele psicologo.

cordiale tra fratelli maggior di quello, che quivi tra tutti era. Il 20 medesimo era tra le donne, con le quali si aveva liberissimo ed onestissimo commercio; ché a ciascuno era licito parlare, sedere, scherzare e ridere con chi gli parea: ma tanta era la reverenzia che si portava al voler della signora Duchessa, che la medesima libertà era grandissimo freno; né era alcuno che non estimasse per lo maggior 25 piacere che al mondo aver potesse il compiacer a lei, e la maggior pena il dispiacerle. Per la qual cosa, quivi onestissimi costumi erano con grandissima libertà congiunti, ed erano i giochi e i risi al suo conspetto conditi, oltre agli argutissimi sali, d'una graziosa e grave maestà; che quella modestia e grandezza che tutti gli atti e le pa30 role e i gesti componeva della signora Duchessa, motteggiando e ridendo, facea che ancor da chi mai più veduta non l'avesse, fusse per grandissima signora conosciuta. E cosi nei circustanti imprimendosi, parea che tutti alla qualità e forma di lei temperasse; onde ciascuno questo stile imitare si sforzava, pigliando quasi una norma di bei 35 costumi dalla presenzia d'una tanta e cosi virtuosa signora: le ot time condizioni della quale io per ora non inten lo narrare, non es

26. Onestissimi costumi. Il C. tradisce quasi una singolare preoccupazione di rilevare la massima onestà di parole e di atti e di costumi, che regnava nella Corte urbinate, accanto alla massima libertà e vi insiste più d'una volta in questo stesso capitolo. Non dobbiamo però credere che quella Corte fosse so. stanzialmente diversa dalle altre di quel tempo, o avesse un carattere di austerità morale che, attese le condizioni generali degli spiriti, sarebbe stata allora impossibile. Certo, la presenza della Duchessa e della signora Emilia, e la impor tanza che ne conseguiva, maggiore che in qualsiasi altra Corte italiana contemporanea, dell'elemento femminino verainente e squisitamente signorile, servivano ad escludere ogni crudezza e vol. garità di parole e di atti. Ma ciò non toglieva che, sebbene rivestita di forme raffinate, l'immoralità non esistesse anche nella società aulica d'Urbino. E di ciù possiamo trovare documenti, meglio che nel Cortegiano, nei Motti del Bembo, nei carteggi, in molta parte inediti, di quel tempo, dai quali ricaviamo un'immagine meno gradevole, ma certo più fedele, delle condizioni morali della Corte urbinate. Anzi, ciò che è più notevole, lo stesso C. in una redazione primitiva del suo libro, aveva adoperato una libertà, talvolta perfino una licenziosità di parola e di concetto tale, da fare un singolar contrasto con la quasi costante

correttezza della redazione definitiva. Segno cotesto, che egli senti poi il bisogno di assoggettare la materia tratta dalla realtà storica ad un processo trasformativo, che, senza falsarla, la idealizzasse ai fini suoi morali ed artistici, come idealizzava dalla esperienza reale il suo tipo del cortigiano.

29. Ché quella modestia e grandezza ecc. Il Bembo, l'Odasi ed altri parlarono con lodi altissime della quasi sovrumana virtù da lei dimostrata nel matrimonio non consolato dalle gioie maritali e materne, e durante la sua triste vedovanza. Casta e severa ella si mantenne sempre a in mariti domo, in splendore conventuque hominum, in jocis, in licentia, in libertate maritali, in audiendis iis quae virginibus reticentur, come scrive il Bembo, che cosi ne esalta l'amabilità, la liberalità: .. quanta in hospites elegantia, liberalitas, quanti honores, quam larga, quamque hilaris susceptio...», e soggiunge: &... ...ita graviter, ita prudenter, ita scite, ita blande ac lepide loquitur... ut is lapideus plane sit, qui una cum illa muliere sessiunculam omnibus mulierum deliciis voluptatibusque non praeferat » !

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33. Temperasse ecc. Contemperasse, cioè adattasse correggendo, accordasse, quasi suoni d'una musica ideale.

35. Le ottime condizioni ecc. Le qualità, le doti morali.

sendo mio proposito, e per esser assai note al mondo, e molto più ch'io non potrei né con lingua né con penna esprimere; e quelle che forse sariano state alquanto nascoste, la fortuna, come ammiratrice di cosí rare virtù, ha voluto con molte avversità e stimuli 40 di disgrazie scoprire, per far testimonio che nel tenero petto d'una donna in compagnia di singular bellezza possono stare la prudenzia e la fortezza d'animo, e tutte quelle virtù che ancor ne severi omini sono rarissime.

V. Ma lassando questo, dico, che consuetudine di tutti i gentilomini della casa era ridursi subito dopo cena alla signora Duchessa: dove, tra l'altre piacevoli feste e musiche e danze che continuamente si usavano, talor si proponeano belle questioni, talor si faceano alcuni giochi ingeniosi ad arbitrio or d'uno or d'un altro, nei quali 5

38. E quelle che forse ecc. Il C. allude qui e alle tristi vicende politiche alle quali andò soggetta la Duchessa prima sotto Alessandro VI, poscia sotto Leone X, pontefice tirannicamente nepotista; e fors anche alludeva alla durissima prova a cui furono sottoposte le sue più care aspirazioni di donna e di moglie, e sulla quale il Bembo stendeva un pudico velame petrarchesco in quel sonetto a lei indirizzato, che diede tanto da arzigogolare e da fantasticare agli interpreti, quello che incomincia: Del cibo onde Lucrezia e l'altre han vita, In cui vera onestà mai non morio. L'un pasca il digiun vostro lungo e rio, Donna, più che mortal saggia e gra dita».

V. 4. Questioni. Fu antica consuetu. dine tradizionale della società colta e signorile e poscia anche della miglior borghesia, questa di proporre e risolvere questioni ingegnose e sottili, specialmente in materia d'amore; e ad essa si devono certo far risalire le tanto dibattute Corti d'Amore (Cfr. Rajna, Le Corti d'Amore, Milano, Hoepli, 1890, p. 41, un articolo di Gaston Paris nel Journal des savants del 1888 e il libro del Trojel recensito dal Renier nel Giornale stor. d. Letter. ital., xm, 352 sgg.). Degno di particolare menzione è l'episodio delle questioni di Amore nel Filocolo boccaccesco (lib. IV), del quale si conosce una redazione in terza rima del sec. xv nel poema delle Definitioni, dovuto al Senese Iacomo di Giovanni di Ser Minoccio (V. Un capitolo delle DeAnizioni ecc. in Firenze, 1857, edito da P. Papa per nozze Renier-Campostrini). Quest'uso cavalleresco medievale piacque anche alla società e agli scrittori del Rinascimento, che di siffatti ragio

namenti, con l'intervento della donna. trovavano riscontri nell'antichità classica e che, appunto per questo, dal consueto novellare e dalla casistica amorosa dell'Età media passarono gradatamente alle astratte filosofiche tenzoni a dialogo proprie del sec. xvI. Le discussioni del Paradiso degli Alberti appartengono a quel periodo di transizione che fu acutamente studiato dal Wesselofscky (Il Paradiso degli Alberti ecc. di Giovanni da Prato, vol. I, P. I, Bologna, 1867, p. 65).

Al C. non doveva poi essere ignoto il Libro della natura d'Amore dell'amico suo Mario Equicola, nel quale abbondano questioni simili a quelle proposte qui nei capitoli vin e IX. E neppure doveva essergli ignoto il libro intitolato Aura, ora perduto, composto da un altro amico suo, il mantovano Gian Giacomo Calandra, e del quale s'intrattiene lo stesso Equicola nel libro citato. Propone (egli scrive) circa 70 dubbi d'amore, dei quali noi abbiamo eletti questi: qual sia maggior difficultà finger amore, ovvero amando dissimular non amare...; se amore può esser senza gelosia; se l'amante po morir per troppo amore. Naturalmente chi è più costante l'homo o la donna... Se di fama uno si po innamorar di donna

ecc. ».

5. Giochi ingeniosi. In servizio appunto di questi giochi della Corte urbinate dovettero essere composti dal Bembo, fra il 1506 e il 1507, i Motti già citati, da me editi e illustrati (Venezia, 1888). Intorno ai giochi più in uso nella societa elegante del Cinquecento si vedano gli articoli di A. Solerti, Trattenimenti di società nel sec. XVI (nella Gazzetta letter. di Torino, a. XII, 1888, n. 48-50).

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sotto varii velami spesso scoprivano i circunstanti allegoricamente i pensier sui a chi più loro piaceva. Qualche volta nasceano altre disputazioni di diverse materie, ovvero si mordea con pronti detti; spesso si faceano imprese, come oggidi chiamiamo: dove di tali ra10 gionamenti maraviglioso piacere si pigliava, per esser, come ho detto, piena la casa di nobilissimi ingegni; tra i quali, come sapete, erano celeberrimi il signor Ottaviano Fregoso, messer Federico suo fratello, il Magnifico Juliano de' Medici, messer Pietro Bembo, messer Cesar Gonzaga, il conte Ludovico da Canossa, il signor Gaspar Pal15 lavicino, il signor Ludovico Pio, il signor Morello da Ortona, Pietro da Napoli, messer Roberto da Bari, ed infiniti altri nobilissimi cavalieri: oltra che molti ve n'erano, i quali, avvenga che per ordinario non stessino quivi fermamente, pur la maggior parte del tempo vi dispensavano; come messer Bernardo Bibiena, l'Unico Aretino, 20 Joan Cristoforo Romano, Pietro Monte, Terpandro, messer Nicolò

8. Pronti detti. Motti arguti, leggia dre risposte, che erano considerate fino dagli antichi, come il condimento necessario di una geniale conversazione. Questi detti, che si conformavano mirabilmente all'indole degli Italiani e specialmente dei Fiorentini, porsero ricca e viva materia ai nostri novellieri, e meglio che ad altri, al Boccaccio, il quale (Giorn. VI, Nov. 1) faceva dire alla Filomena: «Come ne' lucidi sereni sono le stelle ornamento del cielo, e nella primavera i fiori de' verdi prati. e de' colli i rivestiti albuscelli, cosi de' laudevoli costumi e de' ragionamenti belli sono i leggiadri motti.... » (Cfr. le stesse parole nel principio della Nov. 10, Giorn. I).

9. Imprese. Erano quelle « invenzioni » tanto in voga specialmente nel 500, « le quali i gran signori e nobilissimi cavalieri a' nostri tempi sogliono portare nelle sopravvesti, barde e bandiere per significare parte de' loro generosi pensieri ». Cosi scriveva il Giovio, uno dei piú autorevoli fra i molti, troppi, trattatisti di questa materia, nel suo Ragionamento sopra i motti e disegni d'arme e d'amori che comunemente chiamano imprese, composto verso il 1550 (V. ristampa di Milano, Daelli, 1863). L'impresa consisteva in una figura, o corpo figurato, e in un motto o anima, che quasi sempre era in latino, sebbene alle volte il motto si intralasciasse del tutto. Il primo fra noi a coltivarla letterariamente fu il Poliziano; e d'allora in poi diventò un componimento speciale, trastullo di poeti, di letterati e anche di artisti. Per notizie anche biblio

grafiche su questo argomento rimando al bel saggio di A. Salza Imprese e divise d'arme e l'amore nel Giornale Stor. d. Lett. ital., vol. xxxvIII e p ancora alla I delle Appendici da lui accodate alla monogratia su Luca Contile, Firenze, 1903, dal titolo La letteratura delle. Imprese e la fortuna di esse nel 500.

11. Tra i quali ecc. Intorno a questi più celebri e più assidui frequentatori della Corte d'Urbino, si consulti il Dizion. biogr.

13. Il Magnifico Juliano de' Medici non credo s'intrattenesse in Urbino « parecchi anni di seguito, come afferma il Serassi (Annotazione alla st. 13 del Tirsi). Forse, più che un vero soggiorno continuato, egli ebbe a fare visite frequenti e non brevi alla Corte urbinate, talvolta insieme col fratello cardinale, approfittando con una certa indiscrezione della ospitalità di quei buoni Signori, verso i quali poi i Medici si mostrarono - non però Giuliano cosi bruttamente ingrati. Il Bembo infatti, in una lettera da Urbino del 10 dicembre 1506 (Lett. II, III, 1) scriveva ad un amico che il Magnifico Giuliano, ricchissimo fratello d'un ricchissimo cardinale, era vissuto con molto seguito e cavalcatura da sei mesi alle spese della Duchessa.

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16. Ed infiniti altri ecc. Qui il C., per quella tendenza all'iperbole che abbiamo notato essere propria del tempo suo, amplifica più che mediocremente il numero e la qualità dei personaggi che soggiornavano abitualmente alla Corte urbinate.

18. Fermamente. Stabilmente.

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