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io subito sonomi sforzato con ogni industria di spegnerla, non per odio ch'io porti alle donne, come estimano queste signore, ma per mia salute. Ho poi conosciuti alcun'altri in tutto contrarii a questi 20 dolenti, i quali non solamente si laudaño e contentano dei grati aspetti, care parole, e sembianti suavi delle lor donne, ma tutti i mali condiscono di dolcezza; di modo che le guerre, l'ire, li sdegni di quelle per dolcissimi chiamano: perché troppo più che felici questi tali esser mi paiono. Che se negli sdegni amorosi, i quali da quel- 25 l'altri più che morte sono reputati amarissimi, essi ritrovano tanta dolcezza, penso che nelle amorevoli dimostrazioni debban sentir quella beatitudine estrema, che noi in vano in questo mondo cerchiamo. Vorrei adunque che questa sera il gioco nostro fusse, che ciascun dicesse, avendo ad esser sdegnata seco quella persona ch'egli ama, 30 qual causa vorrebbe che fusse quella che la inducesse a tal sdegno. Che se qui si ritrovano alcuni che abbian provato questi dolci sdegni, son certo che per cortesia desidereranno una di quelle cause

29. Il gloco nostro fusse ecc. Il gioco proposto dal Fregoso con grande diletto dei suoi uditori, rientra in quella cate goria assai numerosa di questioni, tanto sottili quanto frivole e inconcludenti, che nei secoli xiv, xv e xvi specialmente formarono le delizie delle corti italiane, e delle quali s'è già fatto cenno. Si noti che, in seguito, tali questioni, dalle conversazioni gentili e cortigiane, dai crocchi degli arguti borghesi novellanti fra il verde dei colli (come nei R2gionamenti del Firenzuola), finirono col passare nel chiuso delle Accademie e coll'assumerne la forma pretensiosa e pedantesca. Di che ci porge esempi notevoli il Varchi nelle sue Lezioni sopra Questioni d'Amore, lette nell'Accademia florentina.

Ma a questo punto non parrà inop. portuna la notizia d' un' operetta spagnuola, che al C. offriva ricca materia di ragionamenti e questioni d'amore, un esemplare della quale rinvenni fra i libri della sua famiglia, in Casatico. Importante operetta, auche perché avendo avuto larga diffusione in Italia (il Brunet rileva che la prima edizione conosciuta di essa, reca in fine questa av. vertenza: Hecha en Ferrara a XVII de Abril anno 1512; e una copia del volume è registrata nell'inventario dei libri posseduti dai Gonzaga al tempo del C.) ci permette di indagare l'efficacia sempre più grande che in questo campo cominciava ad avere la produzione importataci di Spagna. Eccone il

CASTIGLIONE, Пl Cortegiano.

titolo lungo, ma curioso, per le sue evidenti attinenze con la materia del Cortegiano: a Question de amor de dos enamorados: al uno era muerta su amiga: el otro sirue sin experança de galardon. Disputan qual de los dos sufre mayor pena. Entretexense en esta controuersia muchas cartas y enamorados razonamientos. Introduzense mas una coça. Y un juego de cannos. Y una egloga: Ciertas justas: E muchos caualleros et damas con diversos et muy ricos otarios: con letras et inuenciones. Concluye con la salida del senor Visorey de Naples: donde los dos enamorados al presente se hallauan: para socorrer al sancto padre. Donde se cuenta el numero de a quel luzido exercito: et la contraria fortuna de Ravena. La mayor parte de la obra es hystoria verdadera. Compuso esta obra un gentil hombre que se hallo presente a todo ello. E in fine: Fenese el libro llamado question de amor Emprimiose en la insigne ciudad de Salamanca: a espensa et industria del muy honrado Lorenço de Liom de det impressor y mercader de libros: Acabose a X dias de febrero Ano M.D.XIX. Cfr. B. Croce, Di un antico romanzo spagnuolo relativo alla Storia di Napoli. La Question de Amor, Napoli, 1894.

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che cosí dolci li fa; ed io forse m'assicurerò di passar un poco più 35 avanti in amore, con speranza di trovar io ancora questa dolcezza, dove alcuni trovano l'amaritudine; ed in tal modo non potranno queste signore darmi infamia più ch'io non ami.

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XI. Piacque molto questo gioco, e già ognuno si preparava di parlar sopra tal materia; ma non facendone la signora Emilia altramente motto, messer PIETRO BEMBO, che era in ordine vicino, cosí disse: Signori, non picciol dubio ha risvegliato nell'animo mio il 5 gioco proposto dal signor Ottaviano, avendo ragionato de' sdegni d'amore i quali, avvenga che varii siano, pur a me sono essi sempre stati acerbissimi, né da me credo che si potesse imparar condimento bastante per addolcirgli; ma forse sono più e meno amari secondo la causa donde nascono. Ché mi ricordo aver già veduto quella 10 donna ch'io serviva, verso me turbata o per sospetto vano che da sé stessa della mia fede avesse preso, ovvero per qualche altra falsa opinione in lei nata dalle altrui parole a mio danno; tanto ch'io credeva niuna pena alla mia potersi agguagliare, e parevami che 'l maggior dolor ch' io sentiva fusse il patire non avendolo meritato,

34. M'assicurerò ecc. Cioè piglierò animo, ardire di avanzare, di spingermi un po' più oltre nel mio amore.

XI. 8. Plú e meno amari ecc. Di queste amarezze il Bembo doveva intendersi bene, se di amari dell'amore son pieni, oltre i suoi versi, gli Asolani, specialmente il primo libro, dove Perottino arriva a dire che amore assai acconciamente fu detto da amaro, e afferma e dimostra che amare senza amaro non si può: né per altro rispetto si sente giammai e si pate alcuno amaro che per amore». E Gismondo, nel secondo libro, accingendosi a « raddolcire cotanta amaritudine dell'amico, ri corre anch'egli alle imagini del «< con. dimento e del condire. A tutti questi giochetti di amore e amaro aveva dato maggior voga il Petrarca con quei versi: · Questi è colui che 'l mondo chiama Amore, Amaro, come vedi ecc. »; seb. bene perfino in Plauto (Trinummus, a. II, sc. I) leggiamo: Amor amara dat sibi satis », e Plutarco nelle Dispute con. vivali, parlando degli innamorati, dice che dalla vista delle loro donne provano un piacere misto con dolore, che essi appellano dolci-amaro» (vers. Adriani). Ma, lasciando i classici latini ed i Greci che ci offrirebbero non pochi esempi, giova notare che ne troviamo parecchi anche nei lirici nostri del Dugento, come in Meo Abbracciavacca, un cui son. a dialogo fra il poeta e Amore

com.: ◄ Amore amaro, a morte m'hai feruto, in Federico dall' Ambra, un cui son. (Amor comenza dolce umile e piano) ha il verso sg. Amore, anzi amaro då grave affanno »; infine in Chiaro Davanzati, nella canz. Chi prima disse Amore, Fallò veracemente: Chi 'n lui crede presente, Puonne dire

amarore ecc. ».

10. Serviva. Servire, sercente sin dalle origini della nostra letteratura, e per derivazione provenzale, troviamo adoperati ad indicare quell'amore cavalleresco, o meglio, cortigianesco, raffinato e convenzionale, che aveva un codice proprio. Al costume che più tardi fu detto del cavalier servente, non mancano curiosi riscontri anche nel nostro Rinascimento (Cfr. Cian, Galanterie italiane del sec. XVI, Torino, 1888, p. 31, n.). L'Equicola, che nel suo libro Di Natura d'amore dà i precetti per ben ser vire la propria donna, quasi ad uso d'un cicisbeo del Rinascimento, parlando di Properzio e del suo auto-epitamo, osserva che servir diceano gli antichi latini amare, come oggi usano gli Spagnuoli Il che accenna all'influsso spagnolo venuto ad aggiungersi, in sul cadere del sec. xv, alla tradizione cavalleresco-poetica di origine provenzale ; com'è confermato dall'esempio del De Guevara, che nel suo libro sulla Cortegiania ha un capitolo, il 1x, sul « servir à las damas ».

ed aver questa afflizione non per mia colpa, ma per poco amor di 15 lei. Altre volte la vidi sdegnata per qualche error mio, e conobbi l'ira sua proceder dal mio fallo; ed in quel punto giudicava che 'l passato mal fusse stato levissimo a rispetto di quello ch'io sentiva allora; e pareami che l'esser dispiaciuto, e per colpa mia, a quella persona alla qual sola io desiderava e con tanto studio cercava di 20 piacere, fusse il maggior tormento e sopra tutti gli altri. Vorrei adunque che 'l gioco nostro fusse, che ciascun dicesse, avendo ad esser sdegnata seco quella persona ch'egli ama, da chi vorrebbe che nascesse la causa dello sdegno, o da lei, o da se stesso; per saper qual è maggior dolore, o far dispiacere a chi s'ama, o riceverlo pur 25 da chi s'ama.

XII. Attendeva ognun la risposta della signora Emilia; la qual non facendo altrimenti motto al Bembo, si volse e fece segno a messer FEDERICO FREGOSO che 'l suo gioco dicesse; ed esso subito cosí cominciò: Signora, vorrei che mi fusse licito, come qualche volta si sole, rimettermi alla sentenzia d'un altro; ch'io per me volentieri 5 approvarei alcun de' giochi proposti da questi signori, perché veramente parmi che tutti sarebbon piacevoli: pur, per non guastar l'ordine, dico, che chi volesse laudar la corte nostra, lassando ancor i meriti della signora Duchessa, la qual cosa con la sua divina virtú basteria per levar da terra al cielo i più bassi spiriti che siano al 10 mondo, ben poria senza suspetto d'adulazion dire, che in tutta Italia forse con fatica si ritroveríano altrettanti cavalieri cosi singulari, ed, oltre alla principal profession della cavalleria, cosi eccellenti in diverse cose, come or qui si ritrovano: però, se in loco alcuno son omini che meritino esser chiamati bon Cortegiani, e che sappiano 15 giudicar quello che alla perfezion della Cortegiania s'appartiene, ragionevolmente s' ha da creder che qui siano. Per reprimere adunque molti sciocchi, i quali per essere prosuntuosi ed inepti si credono acquistar nome di bon Cortegiano, vorrei che 'l gioco di questa sera

19. L'esser dispiaciuto ecc. Forse il C. ricordava l'ovidiano: «Propter me mota est, propter me desinat ira; Simque ego tristitiae causa modusque meae. (Heroid. Ep. III, v. 88).

22. Il gioco nostro ecc. La questione amorosa proposta dal Bembo fa pensare a quella additata da L. B. Alberti nelle sue Efebie (Opere volg. ed. Bonucci, V, 313): « E quale è maggior tormento a chi ama, o avere fatto dispiacere a chi egli ama, o averglielo a fare? ». Il quale dubbio è ripetuto poco più innanzi (p. 314) e occorre anche nell'Amator dello stesso Alberti (Opera ined. ed. Mancini, Fir. 1890, p. 13).

XII. 7. Per non guastar l'ordine ecc.

Per non violare la regola del gioco.

17. Per reprimere adunque molti scioeehl ecc. Per raffrenare, rintuzzare, ecc. Questa stessa idea dell'abuso e dell'usurpazione, che molti, per presunzione ed ignoranza, facevano del nome e della qualità di cortegiano, è espressa dal Bandello nella lettera dedicatoria d'una sua novella (P. II, nov. 57) al Signor Enea Pio da Carpi, nella quale deplora quanto poco si conosca ciò che importa questo nome di cortigiano », e soggiunge: Bene si spera che il nostro Signor Conte Baldassar Castiglione farà conoscere l'errore di questi magri cortigiant, come faccia imprimer l'opera sua del Cortegiano ».

20 fusse tale, che si elegesse uno della compagnia, ed a questo si desse carico di formar con parole un perfetto Cortegiano, esplicando tutte le condizioni e particular qualità che si richieggono a chi merita questo nome; ed in quelle cose che non pareranno convenienti sia licito a ciascuno contradire, come nelle scole de' filosofi a chi tien 25 conclusioni. Seguitava ancor più oltre il suo ragionamento messer Federico, quando la signora EMILIA, interrompendolo: Questo, disse, se alla signora Duchessa piace, sarà il gioco nostro per ora. — Rispose la signora DUCHESSA: Piacemi. Allor quasi tutti i circustanti, e verso la signora Duchessa e tra se, cominciarono a dir che 30 questo era il più bel gioco che far si potesse; e senza aspettar l'uno la risposta dell'altro, facevano instanzia alla signora EMILIA che or dinasse chi gli avesse a dar principio. La qual, voltatasi alla signora Duchessa Comandate, disse, Signora, a chi più vi piace che abbia questa impresa; ch'io non voglio, con elegerne uno più che l'altro, 35 mostrar di giudicare, qual in questo io estimi più sufficiente degli altri, ed in tal modo far ingiuria a chi si sia. Rispose la signora DUCHESSA: Fate pur voi questa elezione; e guardatevi col disubedire di non dar esempio agli altri, che siano essi ancor poco ubedienti.

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XIII. Allor la signora EMILIA, ridendo, disse al conte LUDOVICO DA CANOSSA: Adunque, per non perder più tempo, voi, Conte, sarete quello che averà questa impresa nel modo che ha detto messer Federico; non già perché ci paia che voi siate cosi bon Cortegiano, che 5 sappiate quel che si gli convenga, ma perché, dicendo ogni cosa al contrario, come speramo che farete, il gioco sarà più bello, che ognun averà che rispondervi; onde se un altro che sapesse più di voi avesse questo carico, non se gli potrebbe contradir cosa alcuna, perché diría la verità, e cosí il gioco saría freddo. Subito rispose il CONTE: 10 Signora, non ci saría periculo che mancasse contradizione a chi dicesse la verità, stando voi qui presente; ed essendosi di questa ri

21. Formar con parole ecc. Corrisponde, come s'è visto, al ciceroniano - oratione fingere ».

24. A chi tien conclusioni. Qui conclusione, espressione tutt'affatto scolastica, significa proposizione, o tesi filosofica affermata e sostenuta, e quindi anche disputa filosofica, didattica: onde la frase

tener conclusioni» equivale a disputare pubblicamente sopra materie filosofiche e scolastiche. Anche nelle Università italiane, al tempo del C. era tanto licito il contradire, che si nominava spesso l'antagonista officiale al lettore, o professore, officiale della stessa disciplina.

32. Gl. Riferito a gioco.

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34. Elegerne. Qui, come alla 1. 20 e altrove, il C. si attiene rigorosamente, ma arbitrariamente, alla gratia latina. 35. Piú sufficiente. Più atto, capace, abile.

XIII. 2. Adunque per non perder piú tempo ecc. Notisi l'accorgimento fine con cui la Signora Emilia cerca di attenuare negli altri il dispiacere della preferenza da lei data al Canossa, giustificandola con una ragione amabilmente arguta, che si risolve in una lode pel gentiluomo veronese. E notabile anche è il tuono di confidenza scherzosa con cui il Canossa rimprovera alla Signora Emilia quello spirito di contraddizione, che sembra fosse veramente in lei.

sposta alquanto riso, seguitò: Ma io veramente molto volentier fuggirei questa fatica, parendomi troppo difficile, e conoscendo in me, ciò che voi avete per burla detto esser verissimo; cioè ch'io non sappia quello che a bon Cortegian si conviene: e questo con altro 15 testimonio non cerco di provare, perché non facendo l'opere, si po estimar ch'io nol sappia; ed io credo che sia minor biasimo mio, perché senza dubbio peggio è non voler far bene, che non saperlo fare. Pur essendo cosi che a voi piaccia ch'io abbia questo carico, non posso né voglio rifiutarlo, per non contravenir all'ordine e giu- 20 dicio vostro, il quale estimo più assai che 'l mio. Allor messer CESARE GONZAGA, Perché già, disse, è passata bon'ora di notte, e qui son apparecchiate molte altre sorti di piaceri, forse bon sarà differir questo ragionamento a domani, e darassi tempo al Conte di pensar ciò ch'egli s'abbia a dire; ché in vero di tal subietto parlare impro- 25 viso è difficil cosa Rispose il CONTE: Io non voglio far come colui, che, spogliatosi in giuppone, saltò meno che non avea fatto col sajo; perciò parmi gran ventura che l'ora sia tarda, perché per la brevità del tempo sarò sforzato a parlar poco, e 'l non avervi pensato mi escuserà, talmente che mi sarà licito dir senza biasimo tutte le cose 30 che prima mi verranno alla bocca. Per non tenere adunque più lungamente questo carico di obligazione sopra le spalle, dico, che in ogni cosa tanto è difficil conoscer la vera perfezion, che quasi è impossibile; e questo per la varietà de' giudicii. Però si ritrovano molti,

16. Testimonio. Qui per testimonianza, prova, argomento. Perché non facendo ecc. 11 Canossa dice che la sua insufficienza in ciò che riguarda la pratica della cortegiania è prova ad un tempo e ragione della sua insufficienza o iguoranza nella parte teorica.

26. Io non voglio ecc. Cioè non voglio perdere la buona occasione che mi si presenta di cavarmela senza gran fatica.

27. Giappone. Più comune giubbone, era una veste stretta e succinta, che copriva il busto, più corta però del sajo o sajone e simile al farsetto. Nei Canti carnascialeschi si legge :

In camicia la state

Si giuoca, e 'l verno in colletto, o in giub-
Beuche certe brigate
[bone,
Trovinsi ancor, che lo fanno in sajone.

Presso i Toscani < spogliarsi in giub-
bone » valeva figuratamente mettere
ogni sforzo in far checchessia». Cfr.
lib. II, X, 31.

28. Perciò parmi gran ventura ecc. Anche nel De oratore (Lib. I, cap. 48) M. Antonio, invitato ad esporre le sue

idee sull'arte oratoria, risponde: « Deprehensum equidem me plane video atque sentio, non solum quod ea requiruntur a me, quorum sum ignarus atque insolens ecc. » e prosegue: Verum hoc ingrediar ad ea, quae vultis, audacius, quod idem mihi spero usu esse venturum in hac disputatione, quod in dicendo solet, ut nulla expectetur ornata oratio ».

34. Per la varietà de' giudicil. Verità proverbiale, che troviamo espressa nel terenziano: quot homines, tot senteutiae » (Form. II. 4, 14) e nell'oraziano: ... . quot capitum vivunt, totidem studiorum Millia... (Satir. II, 1. 27-8). Però si ritrovano molti ecc. Qui il C. non fa che parafrasare un passo della Sat., lib. I di Orazio, citato anche dal Pontano (De Sermone, lib. I): «Vellem in amicitia sic erraremus, et isti Errori nomen virtus posuisset honestum. At, pater ut nati, sic nos debemus amici, Si quod sit vitium, non fastidire. Strabonem Appellat paetum pater; et pullum, male parvus Si cui filius est... Parcius hic vivit? frugi dicatur. Ineptus Et jactantior hic paulo est? concinnus

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