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sarà per nulla obbligato, anche se il tempo glielo conceda, a farle leggere nella scuola.

Anche sullo stile del Cortegiano, come della maggior parte dei libri più famosi del Cinquecento, si potrà discutere, e giungere a quelle conclusioni generali nelle quali è ormai concorde la critica; ma non potrò approvare, pur senza gridare al sacrilegio, ciò che fu fatto dal Finzi, il quale pensò di ridurre il dialogo dalla forma indiretta alla diretta.

Perciò la presente edizione, rispecchiante, nella integrità sua, l'ultima volontà dell'autore, servirà ai giovani che vorranno proseguire negli studî letterarî, pur oltre la soglia del Liceo, e sarà citabile anche dagli studiosi.

Il testo, mercé l'opera intelligente ed accurata del siguor Iso Ciabattari che qui vivamente ringrazio insieme col dott. cav. Guido Biagi, intermediario gentile, esemplai fino dal 1889 sul codice Ashburnhamiano-laurenziano 409, scritto dal copista del Castiglione, sparso di correzioni di mano sua e di altri, fra i quali, io credo, anche il Bembo. Ed era naturale che ciò facessi, dacché questo codice, rappresentando la redazione definitiva del libro, quale fu dall'autore preparata per la stampa, che fu la principe aldina del 1528, aveva diritto d'esser posto a fondamento di questa nuova edizione; eccezion fatta per la lettera dedicatoria al De Silva, che, composta più tardi, non compare nel manoscritto e perciò fu collazionata con la lezione di Aldo.

Ma non perciò questa ristampa doveva riuscire una semplice riproduzione, come si suol dire, diplomatica del codice. Anche se si fosse trattato d'una edizione non destinata alle scuole, ne avrei respinta senz'altro l'idea come d'una pedanteria biasimevole per molte ragioni.

Anzitutto serbai quella divisione tradizionale del libro in capitoli, che, se non apparisce nel manoscritto laurenziano

1 Fu scritta in Ispagna, certo dopo il gennaio 1526, e inviata per la stampa probabilmente nel 1527.

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e neppure nelle più antiche edizioni, riesce utile, non solo agli insegnanti e agli studenti, ma anche ai lettori e agli studiosi, specialmente per le citazioni, e che, tranne pochi casi, è abbastanza ragionevole e razionale. Inoltre, non ispinsi il mio ossequio al testo fissato nel codice, sino a riprodurre tali e quali certe forme grafiche, che, pur essendo tutt'altro che peculiari del nostro autore, non avrebbero servito se non a rendere oggi più ostica e faticosa la lettura, specie nelle scuole. Di che non sentivo davvero il bisogno. Riservandomi di trattare in proposito, altrove, la questione della lingua del Cortegiano, mi limiterò a dire che eliminai risolutamente, sempre e dovunque, tutti quegli inutili detriti di grafia latineggiante o arbitraria, che, se compaiono nel manoscritto originale e nelle edizioni del secolo XVI, avevano perduto ormai, fin d'allora, qualsiasi ragione d'essere, e storica e pratica e teorica. A me basti citar qui, una volta per sempre, alcuni esempi più notevoli: Hieronymo, cythara, Atheniese, et, diligentia, homo, hora, alhor, talhor, hiersera, fluxo, exito, exemplo, excepto, phtisici, obsequente, corruptibile, diffetto, diffendere, pallazzi e simili. L'analogia basterà ad un giudizioso lettore per ricostruirsi senz' altro le sembianze dell' originale laurenziano, il quale, del resto, non differisce punto, a tale ri guardo, dagli altri della prima metà del Cinquecento.

Invece cercai di riprodurre fedelmente, anche a rischio di riuscir pedautesco e meticoloso, la lezione del codice in tutte quelle peculiarità e grafiche e fonetiche e morfologiche, che sono in buona parte proprie dell'autore, e che ri specchiano in lui, forse più che in qualunque altro contemporaneo, quelle continue oscillazioni di criterî tra l'uso let

1 Anche perché corrisponde in gran parte a quelle distinzioni che il Castiglione medesimo, inviando dalla Spagna il manoscritto a Venezia per la stampa, volle additare al tipografo, con la seguente avvertenza che si legge a c. 4v di esso: «Il stampatore ha da advertire, che dove si vedeno i segni grandi a questo modo (segue un segno grafico convenzionale] bisogna lasciar spatio larghetto, e cominciare la clausula con lettera un poco più maiuscula dellaltre, ma non ci si metta già il segno ».

terario tradizionale, toscano e toscaneggiante, e l'uso vivo lombardo, che lo spingono a incoerenze flagranti, anche a poche pagine, a poche righe di distanza. Siffatte incertezze e contraddizioni formano di questo libro un documento. notevole in quella storia della lingua e della ortografia italiana, alla quale alcuni egregî consacrarono in questi ultimi tempi ricerche ed osservazioni nuove e curiose, ma sulla quale molto ancora è da fare. Questi ondeggiamenti si possono seguire nel manoscritto laurenziano e, meglio ancora che in esso, nelle precedenti redazioni interamente autografe, le quali tradiscono nel Castiglione quelle preoccupazioni, quei dubbî teorici e pratici, in fatto di lingua e in fatto di ortografia, onde sono indizî notevoli certi passi della dedicatoria ed altri dei dialoghi nostri (cfr. lib. I, capp. XXIX-XXXIX).

Nel che sarebbe e sarà in altro luogo curioso ed istruttivo i raffronto tra la forma del Cortegiano e quella delle lettere autografe del Castiglione, le famigliari sovrattutto, ma queste studiate sugli originali, non sulla lezione raffazzonata ed arbitraria, anche nella contenenza, offertaci dal pur sempre benemerito abate Pierantonio Serassi.

Pertanto i lettori non si meraviglieranno, attribuendole forse a negligenza dell'editore, dinanzi a forme varie e incoerenti fra loro, come queste onde porgo qui un breve saggio: discepoli e discipuli, pericoli e periculi, for e fuor, argomenti e argumenti, sottilità e suttilità, hosteria e hostaria, subditi e sudditi, inamorati e innamorati, dubio e dubbio, Franzesi (sostituito nel codice al Francesi primitivo) e Francia (sostituito a Franza), e in generale nelle uscite delle prime persone plurali dell' indicativo presente, nelle uscite dei futuri e dei condizionali. Per quanto la natura ed i limiti d'un'edizione scolastica me lo permettevano, raccolsi, di quando in quando, le varianti più notevoli contenute anche nelle redazioni anteriori più antiche di altri codici autografi, che mi riservo di illustrare in luogo opportuno. E queste varianti cosi di contenenza, come di forma, trascelsi nella certezza che esse permetteranno e ai

giovani e ai più maturi lettori di vedere per quali vie, attraverso a quali faticosi procedimenti si venissero a mano a mano affinando e trasformando, sotto i colpi di lima, la materia e la veste del Cortegiano.

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Il quale, checché possa parere a primo aspetto ad un malaccorto lettore, abbisognava più che altri libri d'un accurato commento. Allorquando, per consiglio gentile di uno dei miei amici più cari e per l'eccitamento e con l'approva zione lusinghiera dell'illustre uomo che dirige questa rac colta, l'editore Sansoni mi affidava l'incarico di compilare un'edizione illustrata del Cortegiano per la sua Collezione scolastica, io, grazie ad una certa dimestichezza che avevo presa con l'autore e con l'età sua, non esitai ad accettare. Ma certo non sospettavo neppur lontanamente le difficoltà dell'opera cui mi accingevo con tanto ardore ed ardire: difficoltà molte e varie, che tuttavia ho la coscienza di non avere evitate, anzi di avere troppo spesso affrontate con perdita grande di tempo e con pazienza e fatica tali « che intender non le può, chi non le prova ».

Compresi súbito (e a meglio convincermene venne in buon punto l'edizione del Barbèra, curata dal Rigutini) che un commento puramente e rigorosamente scolastico, almeno nel vecchio senso della parola, sarebbe stata opera presso che vana. Compresi súbito, che, trattandosi d'un libro assegnato alla seconda e alla terza liceale, a giovani cioè che una certa preparazione di storia letteraria e una certa educazione del senso storico ed estetico devono già possedere, avevo il dovere di allargare i limiti, elevare la portata delle mie illustrazioni, e tendere con le mie note a dichiarare specialmente le fonti classiche e gli elementi storici, cioè i due tratti più caratteristici del libro. Nel citare i passi degli antichi scrittori che si possono considerare come fonte sicura o probabile, oppure come riscontro utile ai

1 [Ahimė, dirigeva allora! Ricordando anche qui, con vivo rimpianto, Giosuè Carducci, non posso non esprimere tutta la mia riconoscenza per gl' incoraggiamenti ed il consenso avuti da lui in questa mia fatica).

passi corrispondenti del nostro autore, non mi sono ristretto a semplici rinvii delle opere e dei capitoli, ma volli rife rire quasi sempre il brano per disteso, perché so per prova quanto siano pochi i lettori, specialmente fra i giovani, che si dieno la briga di ricorrere, per riscontri e ricerche, a libri che non abbiano pronti alla mano. Di qui, nel mio commento, una sovrabbondanza nelle citazioni, giustificata appunto dalla necessità di porre sott'occhio ai lettori gli elementi essenziali del raffronto e del giudizio. Ogniqualvolta mi occorse di citare passi d'autori greci, mi valsi delle versioni latine dei nostri umanisti, oppure di versioni italiane classiche o lodate, e, da pochissimi casi in fuori, mi guardai bene dal riprodurre l'originale greco; e non senza ragione, anzi per quelle cento ed una ragione che è inutile dire, perché tutti conoscono. Nella illustrazione storica del libro, la più ardua certo, ma appunto per questo la più doverosa ed efficace, omisi tutte quelle notizie più comuni riguardanti personaggi e soggetti già noti agli stessi studenti delle due ultime classi liceali; e per contro abbondai in quelle notizie che mi parevano più rare e talora inedite e non facilmente accessibili al più degli studiosi, anche documenti sincroni, lettere dell'autore o di contemporanei che servissero a far sentire meglio e rinforzare agli occhi dei giovani lettori quel colorito storico, che è tanta e cosi mirabil parte dell'opera. Non poche notizie biografiche dei personaggi che parteciparono ai dialoghi del Cortegiano, raccolsi, anche per ragioni di spazio, nel Dizionarietto biografico, che va innanzi al volume. Cosi, con questo commentario storico e coi documenti che ho disseminati nelle note e con le sobrie osservazioni, vorrei fare l'ufficio che uno scrupoloso restauratore compie sopra una tela, alla quale il tempo e l'incuria degli uomini abbiano smorzate e alterate le tinte.

Anche a rischio che altri mi accusasse di « erudizione spiombante », volli qua e là largheggiare in citazioni di lavori critici, specie recenti, perché queste notizie bibliografiche, chiarite dalla viva voce dal professore, favorite dalla

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